Il perdono è tema così decisivo nella vita umana e cristiana perché conosciamo il male, quella profonda contraddizione al bene che non possiamo rimuovere né negare. Il perdono ha intrinsecamente a che fare con il male, quello che facciamo a noi stessi e agli altri, e quello che gli altri fanno a noi. Il male – nelle sue varie forme del cattivo pensare, del malvagio agire, dell’offensivo parlare – è una realtà nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Il male, secondo le parole di Gesù, è ciò che nasce dal nostro cuore e diventa aggressività, violenza, odio verso gli altri e verso noi stessi (cf. Mc 7,20-23; Mt 15,18-20). Il male è ciò che io faccio nonostante voglia fare il bene, come confessa l’apostolo Paolo ai cristiani di Roma (cf. Rm 7,18-19).
Ora, il male commesso è irreversibile, resta male anche dopo il perdono, ma può essere trasceso. Con il perdono, chi ha subìto il male irreversibile ricrea le condizioni per un nuovo inizio nella relazione con l’altro: questa è l’azione dello Spirito santo il quale «è la remissione dei peccati», il perdono che ricrea vita là dove c’è morte, che rimette in piedi chi è caduto, che fa di un peccatore una nuova creatura.
Il perdono attesta che l’ultima parola non spetta al male commesso, ma alla grazia, all’amore! Perdonare richiede un sacrificio di se stessi in rapporto all’altro: si perdona affinché l’altro esista, ma questo contrasta non solo con l’egocentrismo, ma anche con la più sana autostima. Non è naturale perdonare, a tal punto che un perdono accordato facilmente ha molte probabilità di essere inautentico...
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