Quel grido di pace da Verona
Culture ideali e politiche diversissime si sono trovate affratellate nella stessa accorata richiesta
Una folla straripante e commossa, che la più grande aula del palazzo della Gran Guardia nella centralissima piazza Bra non è riuscita a contenere: così si è conclusa sabato sera a Verona la grande mobilitazione «Natale tempo di pace», lanciata da Europe for Peace e svolta in numerose città europee, per chiedere un cessate il fuoco in Ucraina. Una serata intensa, dove culture ideali e politiche diversissime si sono trovate affratellate nella stessa accorata richiesta per una pace urgente e concreta.
C’è un sentire ampiamente diffuso fra gli italiani, che fatica a trovare ascolto nella politica nazionale, e trova poco eco nella stampa nazionale. La convinzione che fermare il massacro sia più importante che i calcoli di geopolitica, fermare la distruzione selvaggia sia più importante di presunte lezioni da impartire; che un confine non valga la vita di migliaia di giovani che muoiono, per ordine altrui, per spostarlo qualche chilometro più a Est o a più Ovest. E che aumentare la quantità di armi in un Paese in guerra non porta pace: al contrario, non fa che estendere il conflitto. Il vescovo di Verona, monsignor Domenico Pompili, Maurizio Landini, segretario nazionale della Cgil, il sindaco di Verona Damiano Tommasi, fresco di uno splendido successo elettorale che ha sorpreso molti in Italia, Andrea Riccardi, ex ministro, uno degli artefici degli accordi di pace che hanno posto fine al lungo conflitto in Mozambico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Vanessa Pellucchi, portavoce del Forum del Terzo settore, Rossella Miccio, presidente di Emergency, la donna che ha ricevuto e fa crescere la preziosa eredità di Gino Strada, e Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, che ha organizzato l’evento: a Verona linguaggi molto diversi hanno dato insieme una voce articolata ma coerente a questo diffuso sentire, che la politica fatica a riconoscere.
Andrea Riccardi ha esortato tutti a non lasciare decisioni importanti come quelle che riguardano guerra e pace nelle mani di pochi. Ha ricordato con tristezza come il governo ucraino abbia rifiutato il cessate il fuoco e predichi una guerra a oltranza fino alla completa vittoria, quando «completa vittoria», oggi, significa radere al suolo intere regioni, e decine di migliaia di morti. La guerra non la paga chi la proclama, ma i poveretti che la subiscono. Rossella Miccio ha ricordato come il rifiuto della guerra non sia ideologico, ma sia radicato nella conoscenza diretta della guerra, del suo orrore, dell’immenso dolore che porta. Ma credo che l’intervento che più ha lasciato un segno (lo scrivo da ateo) sia stato quello di monsignor Pompili, vescovo di Verona. Siamo sempre alla ricerca di un nemico, sia questo l’Islam, la Cina, o la Russia. Siamo alla ricerca dello scontro. Siamo istruiti, e la stampa non fa che istruirci, a scontri di civiltà. A demonizzare il nemico, ripetendo all’infinito le sue nefandezze (le nostre sono sempre veniali, irrilevanti). È questa demonizzazione degli altri a essere demoniaca in primo luogo. Non ci interroghiamo sulle ragioni degli altri, non vogliamo accettare la diversità, la pluralità, la possibilità di influire con dialogo ed esempio. Ci focalizziamo su alcuni orrori, per giustificare una pretesa di dominio su miliardi di esseri umani. Da questo scontro ideologico continuo dobbiamo uscire. A chi giova? — si chiede monsignor Pompili. Diciamo che abbiamo fatto della democrazia la nuova divinità da imporre al mondo, ma non è vero: la vera divinità vincente è il dio denaro, il dio potere. Il vitello d’oro della Bibbia. Dobbiamo ri-trasformare il nemico, noi per primi, nei nostri occhi, da demonio in fratello, e renderci conto che questo pianeta dobbiamo condividerlo nella fratellanza, non disputarcelo con le armi.
Io sono commosso di incontrare nella mia Verona, proprio a Verona, queste voci molteplici nelle quali pur nella grande diversità, come tantissimi italiani mi riconosco profondamente. Compagni di strada che oggi si adoperano per un immediato cessate il fuoco in Ucraina e per l’apertura di una immediata conferenza di pace internazionale. Penso che stiamo facendo un errore grave. Ci stiamo raccontando che siamo i buoni del mondo, i difensori della giustizia, ci stordiamo di chiacchiere sulla malvagità altrui. La realtà è tutt’altra. L’Occidente, che si autodefinisce «comunità internazionale», è una piccola isola nel pianeta, ha perso il dominio economico, ha perso il dominio culturale, mantiene uno strapotere militare con cui impone il suo predominio su una ben più vasta umanità, che sempre di più non ne vuole più sapere della nostra arroganza. Le base militari di questo piccolo ottavo degli abitanti del mondo, armato fino ai denti, costellano il pianeta. Mi sembra che l’Occidente sia di fronte a un bivio: o imparare a condividere il mondo, collaborare, rispettare gli altri Paesi, lavorare insieme agli altri, come ci chiedono gli altri, sui problemi veri e comuni, il riscaldamento climatico, le pandemie, la povertà... come non fanno che ripetere le voci migliori nelle istituzioni internazionali, i leader religiosi del mondo, l’intera comunità scientifica. Oppure continuare, come stiamo facendo, la logica della infinita competizione e di «chi comanda», il delirio guerresco di predominio militare globale, la logica dell’estenuante demonizzazione di chiunque non si sottometta. E così portare il mondo verso la catastrofe. Anche l’Italia ha un ruolo in questa scelta. Anche la nostra timida leadership. Anche ciascuno di noi. Anche questo giornale. Il futuro dipende anche da noi.
(fonte: Corriere della Sera, articolo di Carlo Rovelli 08/01/2023)