Benvenuto a chiunque è alla "ricerca di senso nel quotidiano"



martedì 31 gennaio 2023

DA LILIANA SEGRE UN MESSAGGIO PER NOI: BASTA CON LA RETORICA DEI RAGAZZI FRAGILI

DA LILIANA SEGRE UN MESSAGGIO PER NOI:
BASTA CON LA RETORICA DEI RAGAZZI FRAGILI

Gli ultimi testimoni della Shoah sono risaliti poco più che bambini dall'indicibile. Tocca a noi adulti fare di loro l'esempio per trasmettere ai ragazzi il concetto che chi ha la vita davanti ha sempre una possibilità di scelta


Turba il tormento di Liliana Segre: si chiede se la memoria della Shoah non stia diventando agli occhi delle ultime generazioni un rito stanco, teme la noia, l’assuefazione. L’anagrafe incombe, la sabbia corre veloce nella clessidra, sente che il tempo dei testimoni diventa corto e interroga noi, gli adulti che devono prendere il testimone dai testimoni. E intanto, però, al termine di ogni suo incontro ci dà anche la chiave: ai ragazzi ripete «Siete fortissimi».

Mentre noi, adulti di mezzo, nel dibattito privato e pubblico, non facciamo che ripetere loro che sono la generazione più colpita dalla pandemia, che nel dire loro che capiamo il loro disagio, corriamo il rischio di trasmettere tra le righe l'idea che in fondo non crediamo noi per primi che ce la possano fare a superare il trauma collettivo del Covid 19 e gli altri turbamenti della crescita. Ma se non diamo loro fiducia noi che abbiamo l’età dei loro genitori, dei loro nonni, come potranno credere in se stessi mentre ancora sono in piena muta, preda dell’età incerta?

Se guardiamo indietro, se ripensiamo ai nostri momenti da adolescenti in difficoltà, troviamo un genitore, un insegnante, un adulto autorevole che ci ha sfidati a superare il limite del momento. Se ogni volta che ci siamo sentiti persi chi c’era già passato ci avesse detto: «Non ce la farai mai» ci saremmo tutti arresi alla prima difficoltà della vita. Piccole cose, magari. A volte, purtroppo, grandi.

Ecco, i testimoni ancora in vita oggi, sono ragazzi dell’età di quelli che ora faticano a uscire dal lockdown. Ragazzi come loro che hanno visto il fondo di ben altro abisso e che gridano dalla testimonianza dei loro 90 e passa anni: «finché siete vivi potete scegliere, finché siete vivi potete ricominciare».

Cesare Segre, prima di diventare un geniale filologo romanzo, è stato un bambino di dieci anni cui è stato negato l’ingresso al Ginnasio per le leggi razziali. Via da scuola, per il suo cognome ebraico, nessuna possibilità di recuperarla con la tecnologia ovviamente, solitudine, paura, isolamento, rischio. Sfollato con la famiglia, dall’8 settembre del 1943 alla fine della guerra è stato nascosto da solo nell'istituto salesiano della Madonna dei Laghi di Avigliana in Val Susa. In quel tempo vuoto, recluso sotto falso nome per sfuggire alla deportazione, ha studiato, da solo: lingue classiche, francese, inglese e tedesco e cominciando a cimentarsi da completo autodidatta prima con il portoghese e il rumeno e poi con lo spagnolo. A 28 anni era su una cattedra universitaria. Nel 1991, aveva il cuore ballerino e parlava con un filo di voce, ma le sue lezioni all'Università di Pavia erano una calamita che attirava ventenni al suo sapere, mai calato dall’alto come solo i veri maestri sanno fare. Qualche graffio nell’anima l’aveva di certo ma ha fatto tanta strada. Ha certo sofferto, ma è stato fortunato non ha conosciuto il fondo dell’abisso.

Edith Eva Eger, invece, sì: ci siamo parlate al telefono nel 2018, in una lingua seconda per entrambe, con 9 ore di fuso orario, lei ormai ultranovantenne, sconosciute l’una all’altra. La situazione meno empatica che si possa immaginare per un’intervista eppure impossibile da dimenticare. La sua storia è di quelle che ti scorticano, la sua voce s’è incrinata solo una volta un attimo, ma non ci sono parole per rendere la voglia di vita caparbia corsa lungo il filo di quel telefono transoceanico: niente è più forte di chi ti dice che a 17 anni, sul punto di morire di fame Gunskirchen, un sottocampo di Mauthausen, ha scelto di mangiare erba non carne umana come facevano altri, perché hai sempre una scelta: a 17 anni! Il resto della sua esistenza è stato un inno la vita.

Come Edith Bruck, come Liliana Segre ha ricominciato dall’indicibile. Sono persone solide, forti, riuscite, sofferenti ma risolte. Con un’infinità di ferite dentro ma intere. Anche Andra e Tatiana Bucci, sorelle, tra le pochissime bambine sopravvissute ad Auschwitz sono così.

Il debito di far camminare la loro memoria sulle nostre gambe è il minimo, ma non basta: abbiamo il dovere di non limitarci alla memoria ma di fare della memoria ispirazione per trasmettere il concetto che chi ha la vita davanti ha il dovere di prenderla in mano e affrontarla, impegnandosi, sapendo di avere il privilegio del tempo dalla propria parte, perché arrendersi a una fatica di vivere “normale” è mancare di rispetto a chi sopravvissuto alla massima espressione della disumanità, ha trovato il coraggio di testimoniarla, rinnovando il dolore, e adesso sente il proprio tempo correre.

Da ragazzi magari non ci si arriva da soli, ma gli adulti non possono abdicare al dovere di dirlo loro con maggiore convinzione di quanto abbiamo fatto fino adesso.
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Elisa Chiari 27/01/2023)