Enzo Bianchi
Dalla fraternità la vera riforma della Chiesa
Senza una conversione non ha senso riunirsi per l’eucaristia né la predicazione del Vangelo
Pubblicato su: Vita Pastorale dicembre 2022
Il 27 ottobre 2022 è stato presentato in conferenza stampa il Documento per la Tappa Continentale del Sinodo sulla Sinodalità, sul tema: “Per una chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il Card. Mario Grech, con un intervento puntuale ed essenziale, ha sottolineato che il documento è una fedele restituzione delle sintesi espresse dalle diverse conferenze episcopali, mentre altri hanno cercato di illustrarne la struttura e le intuizioni. In tal modo le chiese possono mettersi in ascolto l’una dell’altra in vista delle assemblee continentali che si terranno nell’anno che inizia.
Indubbiamente questo documento è la testimonianza di una novità assoluta nella storia di tutte le chiese, e non solo della cattolica: per la prima volta si è prestato ascolto alla voce del popolo di Dio prima di prendere decisioni per la vita della chiesa. Alcune parrocchie, comunità e gruppi, luoghi di ricerca teologica e pastorale, vescovi, presbiteri e fedeli hanno potuto prendere la parola in ecclesia, e manifestare ciò che il sensus fidei che li abita suggerisce loro nella forza dello Spirito santo.
Non che tutto sia avvenuto con quella pienezza di coinvolgimento che Papa Francesco aveva auspicato, ma resta notevole la partecipazione registrata nonostante il disinteresse di alcune porzioni ecclesiali, resta importante l’ascolto e il dialogo attuati nonostante l’assenza dei giovani e dei tradizionalisti in alcune chiese.
Non era operazione facile l’elaborazione di un documento del genere, che non si proponeva di essere una sintesi di tutte le istanze, ma doveva piuttosto presentare una raccolta di istanze espresse, queste sì, sinteticamente. Vi si legge anche la volontà di non nascondere, non tacitare voci che potrebbero sembrare inaccettabili dai padri sinodali come decisioni al termine del percorso: ma si tratta di voci audaci, diverse, che, anche se non espresse da maggioranze, andavano registrate e condivise a livello di chiesa universale.
Alla guida del sinodo per ora oltre a Papa Francesco ci sono un Relatore, il Card. Öllerich, e un Segretario, il Card. Grech, che aderiscono in modo intelligente a questa iniziativa profetica, nella quale il tema del sinodo è già in atto come metodo concreto, vissuto da tutta la chiesa.
Tuttavia mi si permettano anche alcuni rilievi che non inficiano il giudizio positivo appena espresso. Innanzitutto anche in questo documento si è seguita una moda dominante da decenni, quella di proporre la cosiddetta “icona biblica”. Purtroppo lo si fa in modo superficiale in molte occasioni. Nel nostro documento si ricorre a una profezia di Isaia, che nel tempo della fine dell’esilio invita Gerusalemme a rallegrarsene e ad allargare lo spazio della tenda per la liberazione e la rinascita che Dio le concede. Già applicare questa immagine alla chiesa oggi, in una fase di diminuzione e di recessione della fede, è certamente una stranezza, ma poi leggere addirittura la chiesa come tenda del convegno o dell’incontro è errato perché in questa, contenente la presenza-Shekinah di Dio, non entrava il popolo, neppure i sacerdoti se non Mosè e più tardi il sacerdote dei sacerdoti una volta all’anno nel giorno dell’espiazione. Anche affermare che la chiesa prima di questa convocazione sinodale era in esilio mi sembra avventato: la chiesa è sempre in esilio, fino alla venuta del Regno e del Veniente, il suo Signore! Non è certo un evento ecclesiale che la può sottrarre alla sua condizione di pellegrinante nell’esilio del mondo.
Ma al di là di questi rilievi puntuali, confesso che resta deludente il punto 2 del documento: “In ascolto delle Scritture”, perché in realtà non mette in luce il primato e l’egemonia della Parola nella vita della chiesa. Certamente tale primato era già stato affermato nei documenti conciliari e nella Verbum Domini di Benedetto XVI, ma qui meritava una chiara proclamazione. Da mezzo secolo tutte le nostre parole appaiono piegate alla logica ecclesiocentrica, quasi ci fosse un’incapacità a mettere al centro Gesù Cristo, il Signore, e questo dovrebbe interrogarci anche sul cammino del sinodo!
Passiamo però a leggere alcune indicazioni profetiche del documento.
La prima è la fraternità, che appare come il compito primario per vivere da cristiani nella storia e nel mondo. Purtroppo abbiamo dimenticato che tra i nomi che il Nuovo Testamento assegna alla chiesa c’è adelphótes, fraternità (cf. 1Pt 2,17; 5,9), che ne è l’essenza. Se i cristiani vogliono prendere sul serio la sequela del Signore e la missione devono assolutamente vivere la fraternità, che richiede di incontrarsi, ascoltarsi, riconoscersi, attuare lo scambio dei doni e quindi amarsi fraternamente: una fraternità che non conosce frontiere e confini, ma può solo essere concepita, generata dai credenti che partecipano dell’Unico Corpo del Signore!
Proprio dall’opzione della fraternità, che richiede una vera conversione ecclesiale, deve iniziare la riforma della chiesa! Altrimenti non ha senso radunarsi nello stesso luogo per l’eucaristia, non ha senso la predicazione del vangelo, risulta priva di autorevolezza e fecondità la testimonianza. È giusto che si insista tanto sull’ascolto, ma in vista della fraternità, quella che rende così “bello e dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133,1). Se si cercasse innanzitutto la fraternità che è affetto reciproco, fine dell’isolamento, accoglienza dell’altro, allora anche chi ha scelto di non prendere parte al processo sinodale sarebbe invogliato a camminare con gli altri e si lascerebbe coinvolgere attratto da questo modo di vivere la chiesa, così cercato e desiderato in un mondo sfilacciato e anonimo.
Nel capitolo 3 si illustra la missione della chiesa, concepita non come un andare tra le genti per convertire, ma come un incontrare l’umanità sottraendosi alla tentazione di escludere, ergere muri, segnare frontiere. Una chiesa che accoglie senza giudicare, che discerne chi è escluso e lo va a cercare, una chiesa dotata di particolare sensibilità nel riconoscere chi è nel bisogno, chi soffre nel corpo e nello spirito, una chiesa che annuncia il perdono a chi ha peccato senza emettere condanne. Purtroppo la chiesa fin dalla sua nascita ha vissuto l’esclusione da parte dei giudei, e in seguito, non appena ha ricevuto un riconoscimento dal mondo, è diventata escludente. Peccatori, divorziati, eretici, persone con storie d’amore non conformi alla morale cristiana hanno conosciuto solo il volto di una chiesa matrigna e di un Dio spione, che tiene il conto dei peccati, pronto a sanzionarli in nome di una giustizia elaborata con rigidità da servi della legge e da aguzzini ecclesiastici.
Ma la voce dello Spirito che parla attraverso il popolo santo di Dio si leva da tutte le terre, dalle culture diverse e si fa sentire ovunque con posizioni diversificate e nel contempo capaci di convergere per alcune urgenze, come il riconoscimento pieno della soggettività delle donne nella chiesa, la partecipazione dei fedeli alle responsabilità e al governo attraverso il discernimento comunitario, la possibilità della predicazione del Vangelo riconosciuta anche a fedeli che abbiano il dono della predicazione. Anche la richiesta di una lettura della sessualità che sia fedele alla parola di Dio ma anche capace di accogliere l’antropologia emergente non deve spaventare, ma semplicemente essere presa sul serio perché si possa offrire una parola convincente agli uomini e alle donne di oggi.
Un’altra istanza molto diffusa, ben espressa dalla Conferenza episcopale francese, riguarda la liturgia, per la quale si chiede di riprendere una nuova riforma dopo quella di cinquant’anni fa, per una liturgia che sia inculturata nelle diverse chiese, capace di coinvolgere i fedeli attraverso parole e segni forgiati per l’uomo di oggi. Così com’è sovente celebrata, la liturgia eucaristica allontana, non convoca l’assemblea cristiana, non attrae, non crea fraternità. A questo proposito il popolo di Dio auspica che vescovi e presbiteri inaugurino un nuovo modo di rapportarsi con i fedeli, superando non solo il clericalismo, ma la logica sottile di chi sta sempre al centro della comunità, oscurando senza volerlo la centralità primaziale del Signore Gesù Cristo.
Restiamo con fiducia in attesa dei prossimi passi: con intelligente sollecitudine pastorale Papa Francesco ha predisposto per il sinodo una tappa ulteriore, nell’autunno 2023, perché ha compreso che la chiesa non è ancora pronta a fare delle scelte audaci dettate dallo Spirito santo, scelte che richiedono fede nel Signore e grande pazienza con i credenti, tempi di ascolto reciproco, di dialogo, di confronto, di correzione fraterna: la convergenza se la si cerca nell’umiltà e nell’ascolto dello Spirito santo è possibile, e questo darà al sinodo la possibilità di frutti abbondanti.
(fonte: blog dell'autore)