Il Giardino dei Giusti compie 20 anni:
un albero a ogni uomo che ha fatto del bene
di Gabriele Nissim*
Milano celebra con un concerto il ventennale del Giardino dei Giusti nato sulla collina del Monte Stella. La prima lezione che si impara qui è che «chi opera per il bene non è mai solo»
Il 24 gennaio, Milano celebra con un grande concerto a Palazzo Marino una data storica: il ventennale del suo Giardino dei Giusti, tre giorni prima della Giornata della Memoria che arriva a sua volta questa settimana, venerdì 27. L’istituzione nata sulla collina del Monte Stella è stata una vera e propria rivoluzione sul piano dell’elaborazione della memoria. Non si trattava solo di ricordare le responsabilità del nazifascismo e di tutte le complicità che hanno portato allo sterminio degli ebrei, ma di insegnare ai giovani un comportamento etico in grado di prevenire il male prima che si possa compiere nuovamente. Come sosteneva Zzvetan Todorov il grande problema della memoria non è solo quello del negazionismo, ma la riproducibilità del male e dell’odio nel mondo contemporaneo. La più grande offesa che possiamo fare alle vittime del passato è quella di rimanere passivi e indifferenti di fronte alle nuove tragedie che inquinano l’umanità. Ricordare senza assumersi una responsabilità nel proprio tempo è spesso una via di comodo e un grande equivoco. Ci si sente apparentemente a posto con la propria coscienza guardando al passato, ma non ci si mette in gioco nella propria vita politica e quotidiana.
La soluzione al problema non è per nulla facile, perché diventare argine al male richiede conoscenza, pensiero, carattere e volontà. Dare inizio ad una azione che possa introdurre nella società elementi positivi che blocchino possibili meccanismi di disprezzo e di intolleranza nella società democratiche è un compito arduo, e ancora più difficile è la possibilità dell’individuo di diventare strumento di resistenza con le sue azioni per tragedie terribili che si consumano in altri paesi. Pensiamo per esempio all’Ucraina, alla repressione della libertà delle donne in Iran, o ai campi di rieducazione degli Uiguri in Cina. Per certi versi ci si sente impotenti e spaesati. Ognuno è chiamato a un esame di coscienza la cui soluzione dipende sempre da un percorso personale. Marco Aurelio scriveva nei Ricordi che ogni persona ogni mattina dovrebbe interrogarsi sul compito più difficile: come esercitare al meglio il mestiere di uomo. È questa la chiave fondamentale per la prevenzione dei genocidi. Il punto comune che lega ogni deriva che può riportarci al peggio è sempre la disumanizzazione degli esseri umani.
Di conseguenza chi si interroga su se stesso e sulla sua voglia di umanità diventa parte di quella catena della Ginestra di cui scriveva Leopardi, che rappresenta la rete del bene possibile, che molto spesso riesce a creare dei miracoli inaspettati, quando tutto sembra perduto. È questo il senso più profondo del Giardino dei Giusti di tutto il mondo che è nato a Milano nel 2003 e che con la Giornata dei Giusti del 6 marzo votata dal Parlamento europeo e dal Parlamento italiano è diventato un esempio virtuoso per altre duecento città che hanno replicato l’esperienza del Mondo Stella. Insegnare alle persone di ogni nazione e cultura a diventare parte della grande catena dei Giusti che in ogni tempo ed in ogni luogo si assumono una responsabilità per il bene dell’umanità. I Giardini dei Giusti insegnano due cose fondamentali con il racconto delle storie migliori degli uomini. In primo luogo che chi opera per il bene non è mai solo, anche se molto spesso costa fatica e anche incomprensione, quando agisce come Antigone contro leggi ingiuste e comportamenti di una maggioranza che prende una cattiva direzione. Sentirsi parte di una rete di una rete della bontà infonde non solo coraggio, ma anche la forza di agire assieme agli altri, come sosteneva Baruch Spinoza, quando argomentava del “conatus collettivo” che permette al singolo uomo di superare la sua fragilità. E poi i Giusti hanno un messaggio sorprendente che può cambiare la vita di ognuno. Mostrano che nonostante tutto chi persegue il bene e la giustizia trova poi la strada migliore per realizzare la propria felicità possibile su questa terra. Chi non odia e sa ascoltare l’altro sta meglio con se stesso, perché si realizza al meglio come uomo.
Devo personalmente questa filosofia e l’intero progetto che ha portato al giardino di Milano a Moshe Bejski, uno dei mille e trecento della famosa lista di Oskar Schindler, che per gratitudine per essersi salvato in Polonia, divenne il grande artefice del Giardino dei Giusti di Yad Vashem. Poco prima di morire in una delle tante conversazioni che mi permisero la scrittura della sua storia nel libro Il Tribunale del bene mi consegnò il suo testamento spirituale con parole chiare e precise: «Devi sapere Gabriele due cose. In ogni luogo dell’Olocausto in tutte le stazioni del male era sempre possibile salvare degli ebrei. Pochi lo hanno fatto, ma quei pochi hanno dimostrato che era possibile farlo contro l’indifferenza dei più. In secondo luogo ricordati che Auschwitz non finisce mai, perché gli uomini continuano a riproporre nuovi genocidi. Eppure ogni volta che il male si ripresenta, nello stesso tempo nuovi uomini giusti hanno il coraggio di mettersi in gioco». È questa la speranza possibile a cui dobbiamo aggrapparci. Ecco perché Bejski desiderava dei giardini dei Giusti in tutto il mondo e non solo a Gerusalemme.
*Presidente di Gariwo
(fonte: Corriere della Sera - Buone Notizie 24/01/2023)