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sabato 14 gennaio 2023

Cosimo Scordato: Biagio Conte, diacono di fatto

Cosimo Scordato
Biagio Conte, diacono di fatto


La vicenda singolare di Biagio Conte riletta da don Cosimo Scordato, suo compagno di strada a Palermo. Ringrazio Cosimo per questo testo partecipato e intenso (Andrea Grillo)

L’amico

Conoscevo Biagio Conte dagli inizi della sua attività quando, di ritorno da Assisi, egli ancora doveva capire in che direzione fare le sue scelte. Egli cominciò a lavorare presso il nostro Centro sociale con i ragazzini, ma si rese conto che non era questo il suo compito; da allora cominciò a frequentare la Stazione centrale di Palermo assistendo di notte i barboni che lì si trovavano; così, a poco a poco si rese conto che la sua vocazione era il servizio ai più poveri dei poveri, a coloro che non riconoscevano a se stessi un posto all’interno della società. Da quel momento il suo itinerario cominciò a prendere forma come accompagnamento a loro, a partire dal cibo caldo portato per strada, alla ricerca di luoghi per ospitarli; così, uno dopo l’altro vanno nascendo le diverse realizzazioni dislocate nei diversi punti della città a favore dei barboni, delle donne in difficoltà, di chi è rimasto solo, degli stranieri in cerca di riparo. La sua presenza è stata subito accettata sia dai poveri, cui rendeva il suo servizio, sia dai tanti cittadini, che si cominciavano a stringere intorno a lui per sostenere nelle diverse iniziative lui e don Pino Vitrano (che quasi fin dall’inizio, avendo scoperto la sua vicinanza spirituale a Biagio, si sentì di lasciare la comunità salesiana); ma ancor più essa è stata importante nel garantire da decenni la convivenza pacifica tra i tanti stranieri i quali, pur provenendo da diverse esperienze etniche e religiose, hanno riconosciuto in lui la persona capace di realizzare uno spazio di collaborazione. Tutto il resto è storia abbastanza conosciuta, ben raccontata dalla stampa e recentemente rappresentata, in maniera magistrale, dal regista Pasquale Scimeca nel film, che ha voluto dedicare al profilo spirituale e umano di Biagio.

Tra carisma e ministero

Tante considerazioni possono essere avanzate; ma ci limitiamo a focalizzare la nostra attenzione a una sola domanda: quale carisma Biagio consegna alla chiesa palermitana (e non solo ad essa)?

Il dato più rilevante che ci sembra di poter cogliere nella persona e nell’opera di Biagio è la diaconia della carità ai più poveri; nel suo caso, però, non si è trattato di organizzare qualcosa per loro, a loro beneficio; per esempio offrendo un servizio di accoglienza o di mensa; il che sarebbe pure una cosa importante; per Biagio si è trattato piuttosto di condividere con loro la situazione di disagio, di prostrazione, di marginalità nella vita sociale, spesso anche sull’orlo della disperazione. Biagio a poco a poco ha compreso che non si trattava di prendersi cura delle persone disagiate, ma di condividere con loro la situazione di disagio e insieme con loro cercare di venirne fuori, realizzando le condizioni migliori per un percorso di autoriscatto attraverso il loro coinvolgimento e facendoli maturare al punto da rendere loro stessi un servizio da offrire ad altre disagiati. Se vogliamo focalizzare la novità dell’esperienza vissuta da Biagio è proprio il fatto che la “Cittadella missione speranza e carità” nelle sue diverse articolazioni non è soltanto e in primo luogo per i poveri, ma dei poveri; Biagio e gli altri ‘fratelli’, che hanno condiviso questo percorso, hanno scelto di vivere insieme con i poveri oltre che tra di loro, condividendo la stessa speranza a fronte delle tante difficoltà. Lo slogan, tante volte ripetuto soprattutto in epoca postconciliare, della Chiesa povera e Chiesa dei poveri nell’esperienza di Biagio ha trovato una sua modalità di realizzazione nel fatto che Biagio con la sua comunità si è fatto poveri con i poveri, scegliendo di vivere con loro oltre che per loro. Il senso di fraternità che si respira nelle diverse cellule di convivenza è segno tangibile di questo ritrovarsi insieme per scelta a partire da un disagio ma lavorando insieme per superarlo. Se vogliamo meglio formulare questa esperienza possiamo individuare la seguente dinamica del carisma.

In primo luogo viene avviato un processo di identificazione della comunità con i poveri, sulla linea dell’esperienza di San Francesco, ma attingendo, sorgivamente, all’affermazione evangelica secondo la quale Gesù Cristo vuole essere riconosciuto realmente in chi ha fame, ha sete, è straniero, è in carcere e così via. Detta identificazione va vissuta con quell’atteggiamento di com-passione in forza della quale si vive ad un tempo la passione per l’uomo che è in difficoltà e se ne condividono i problemi, ma soprattutto la voglia di avviare un processo di auto-promozione.

Posto questo carisma, che attinge la sua identità e la sua forza dalla presenza vivificante dello Spirito Santo nella vita del credente-che-ama, si rende inevitabile il passaggio alla diaconia di fatto, ovvero quel servizio concreto che si traduce in tutte le iniziative, proporzionate ai bisogni degli ultimi ed efficaci nel cercare di avviarli a soluzione. Da questo punto di vista si può comprendere il vero movente dell’azione di Biagio e dei suoi collaboratori, ciò che li ha resi capaci di intraprendere con coraggio iniziative veramente difficili da gestire, quali quelle volte ai barboni, per natura non disposti a lasciarsi accompagnare e guidare verso un luogo comune; o quelle volte a sostenere la convivenza tra stranieri di diverse estrazioni culturale e religiosa, spesso anche conflittuale, facendo maturare una esperienza autentica di inter-religiosità e inter-culturalità.

Per una diaconia della carità

In questo contesto ci viene offerta una testimonianza importante di diaconia della carità, capace di superare le difficoltà dell’incontro tra le situazioni più diverse e disparate e che consente di toccare con mano il potenziale liberante e trasformante dell’atto di carità; esso, nel momento in cui dà la precedenza all’altro nei suoi bisogni, spiana la strada per un incontro e una convivenza serena se non addirittura gioiosa.

L’atto di carità esercitato prevalentemente nell’ambito della reciproca ospitalità e accoglienza mostra la sua bellezza; in questa diaconia la parola cede il posto al gesto ed esso, in quanto si fa interprete del bisogno altrui per risolverlo, allenta tutte le tensioni e dispone all’incontro autentico, capace di mettere tra parentesi differenze e preistorie personali.

La convivenza tra le persone più disparate, il coinvolgimento di ciascuno a dare il proprio contributo qualificato alla realizzazione della missione fa toccare con mano che l’amore, in quanto precede ogni pensiero e va incontro all’altro per porgere una mano di prossimità, crea una sorta di epoché delle stesse fedi o delle appartenenze che ognuno potrebbe rivendicare.

Biagio in questo è stato vero diacono della carità ma a partire dai più bisognosi come a volere ricominciare la storia dal suo punto più basso: cominciamento chenotico! Questo si coglieva facilmente nel suo carisma in quanto lo sbilanciava verso di loro a prescindere dal modo come lui stesso narrava le sue esperienze o formulava i suoi pensieri; in verità era la sua persona a testimoniare prima e oltre ogni parola; da questo punto di vista da Biagio non bisognava attendersi bei discorsi o riflessioni originali o particolarmente attuali; in verità egli comunicava solo ciò che gli stava a cuore: i poveri e il loro punto di vista!

E poi?

Compito aperto per la Chiesa di Palermo, o forse per la Chiesa tutta, è che la strada privilegiata di ogni dia-logo non è il logos della parola ma il dia del gesto di amore che spiana ogni strada. Certamente nella vita di Biagio e della comunità non mancavano gli altri momenti della preghiera, della liturgia, oltre che la centralità della chiesa, luogo libero di incontro per tutti; ma è come se egli avesse operato un processo di reductio ad unum, che era all’origine e al compimento: l’atto di amore, organizzato comunitariamente e proporzionato ai bisogni di ognuno.

La vita di Biagio ci consegna una esperienza singolare, che però è stata avvertita da tanta gente quasi in maniera immediata per la sua essenzialità e semplicità evangelica; si tratta, infatti, di un modello di carità, caratterizzata sine glossa dal carisma del servizio agli ultimi degli ultimi; la traduzione del carisma in una ministerialità organizzata è stato ed è un processo più complesso perché attiene alla vicende e sensibilità personali di ogni membro della comunità (accogliente ed accolta); ma essa offre in Biagio qualcosa di esemplare da elaborare come possibile modello. Adesso, dopo la morte di Biagio se la comunità ecclesiale tout court vuole ereditare ed assimilare tutto quello che di vivente egli lascia, non può non ripensare il suo esser-ci in questo tempo e in questo luogo dando spazio ai bisogni degli ultimi che la interpellano nel nome dell’Altro; da loro deve riprendere cammino la storia della salvezza se vuole essere alternativa alle forme disumanizzanti dello scontro e della frontalità ostile. In questo modo Biagio interpella da un lato la comunità a essere coerente come serva che si trova sbilanciata sulle orme del Signore; dall’altro lato, sollecita una riflessione che deve riscoprire e sprigionare il potenziale di tante parole che, se non si vogliono risolvere in altre parole, debbono potere evocare e promuovere fatti che le inverino.
don Cosimo Scordato
(fonte: La Cittadella Editrice 14/01/2023)