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giovedì 1 novembre 2018

Ognissanti. La diritta «via quotidiana» dei cristiani: più umani, dunque santi

Ognissanti.
La diritta «via quotidiana» dei cristiani:
più umani, dunque santi


«Far risuonare la chiamata alla santità nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità» è «il mio umile obiettivo», dichiara papa Francesco al principio del documento Gaudete et exsultate, l’Esortazione apostolica sulla santità, indirizzata a tutto il «popolo di Dio», il 19 marzo di quest’anno 2018. La solennità di Tutti i Santi è un’opportunità della liturgia a riprendere l’insegnamento del Papa, a lasciarci interrogare sulla vocazione alla santità.

Celebrare i Santi non è solo un atto di venerazione e di affidamento alla loro intercessione. È ancor più un richiamo a porci – sul loro esempio e incoraggiamento – sul cammino da loro percorso. Il leitmotiv di tutta l’Esortazione è quella vocazione universale alla santità, richiamata dal Concilio nella Lumen gentium, che Francesco pone all’inizio del suo insegnamento: «Quello che vorrei ricordare con questa Esortazione è soprattutto la chiamata alla santità che il Signore fa a ciascuno di noi, quella chiamata che rivolge anche a te: “Siate santi, perché io sono santo”.

Il Concilio Vaticano II lo ha messo in risalto con forza: “Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste”». «Ognuno per la sua via», sottolinea Francesco. Via legata, al disegno di Dio su ciascuno, nella unicità e irripetibilità della sua persona e delle sue condizioni di vita, nella singolarità dei doni, dei carismi, dei talenti ricevuti. Per cui «non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili». Ciò che conta è che «ciascuno discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui e non si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui».

Parole liberanti da uno stereotipo di santità che l’allontana dal vissuto ordinario, per farne qualcosa di eroico ed eccezionale, avulso dalla quotidianità: una chiamata riservata a persone fuori del comune, che porta a pensare “non è per me”; per me che sono un semplice cristiano, vulnerabile, fallibile, peccatore. Parole che l’avvicinano invece al vissuto di tutti. La santità non è una vocazione speciale, che mi può non essere data. È una vocazione nativa, che viene dal battesimo. Connessa dunque al nostro essere cristiani. Come tale è per tutti. Tutti «scelti per essere santi» (Ef 1,4): chiamati a conformare la vita al Dio tre volte santo (Ap 4,8), e a Cristo «il santo di Dio» (Gv 6,69). Ciascuno nelle condizioni ordinarie di vita nella società e nella comunità ecclesiale, «vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova». Così da far dire ad ogni cristiano: res mea agitur, la santità è per me, mi riguarda.

«Non pensiamo – incoraggia il Papa – solo a quelli già beatificati o canonizzati. Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio». Scende al concreto, Francesco: «Mi piace vedere la santità nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere». È «la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”». La santità è inclusiva. La sua via è l’amore, cui il Vangelo riconduce tutta la vita spirituale e morale: essa «altro non è che la carità pienamente vissuta». Non importa l’importanza e la grandezza delle opere, perché la santità «va crescendo mediante piccoli gesti».

La santità eleva a Dio. Senza meno. Ma l’elevazione sopra-naturale di una vita santa non è una separazione spiritualistica dal naturale. La santità non dice un meno, ma un più di umanità, in ogni sua dimensione: personale e, a un tempo, sociale, ambientale, storica, culturale. La santità è la profondità e l’elevatezza dell’umano. Per se stessa incompatibile con una visione riduttiva e triste della vita. La santità è la vita buona e bella del Vangelo, innervata ed elevata – ci sta persuadendo Francesco – dall’Evangelii gaudium e dall’Amoris laetitia, dalla gioia dell’amore che fluisce dal Vangelo.
(fonte: Avvenire, articolo di Mauro Cozzoli - 31 ottobre 2018)