Padre Dall’Oglio
troppi misteri
di Alberto Bobbio
Nessuno lo cerca più. Nessuno vuole più sapere che fine ha fatto padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita italiano che aveva visto arrivare sul popolo siriano la tempesta perfetta e ne aveva capito la complessità prima di tutti. Ora dicono che la guerra in Siria è finita e molti, troppi, fanno a gara nel tessere le lodi della vittoria di Bachar al-Assad, paladino della guerra al terrorismo, nostro “alleato”, in realtà criminale per il quale dovrebbe essere pronta una cella all’Aja invece che i contratti favolosi della ricostruzione sui quali i burattinai internazionali della mattanza siriana sono pronti a gettarsi. Meglio dimenticare, non fare domande sugli scomparsi. Nemmeno suo padre Paolo Dall’Oglio. E’ sparito cinque anni fa a Raqqa, che da lì a poco sarebbe diventata la capitale dell’Isis. Nessuno ha mai rivendicato il suo rapimento, né una sua (eventuale) esecuzione. E già questo è un enigma.
Ora un’inchiesta del quotidiano cattolico francese “La Croix”, frutto di un lavoro durato dieci mesi, svela particolari inquietanti della vicenda, che aggiungono mistero al mistero e al contempo proiettano una luce sinistra sul ruolo delle autorità italiane. E’ stata pubblicata il 15 novembre. Svela che le autorità diplomatiche italiane da quattro anni erano in possesso degli effetti personali di padre Paolo, tablet, telefonini, appunti, consegnati alla nostra ambasciata di Parigi. Ma, rivela il giornale, tutto è stato formattato. E chi li ha consegnati, “un celebre oppositore siriano in esilio”, dopo un passaggio complesso di vari mediatori tra Siria e Turchia, ha detto a La Croix, che gli impiegati dell’ambasciata “non davano l’impressione di voler indagare, è come se volessero farli sparire”. Eppure gli elementi per indagare ci sono tutti. I giornalisti francesi hanno incontrato testimoni, fanno i nomi degli uomini dell’Isis con cui padre Paolo aveva appuntamento quel giorno, spiega che alcuni di loro abitano in Siria. Altri La Croix li ha interrogati a Parigi, a Berlino, a Roma, a Stoccolma, in Turchia e in altre dieci piccole città europee. Nessuno è stato ascoltato dalla magistratura italiana. Secondo il giornale francese l’inchiesta è stata insabbiata. Ma c’è un particolare che inquieta più di altri. Secondo la Croix a gennaio i servizi segreti italiani avrebbero accolto a Roma Alì Mamlouk, capo dei servizi segreti siriani, allora già inserito nella lista nera europea tra i personaggi responsabili di crimini contro l’umanità e ora inseguito da un mandato di cattura internazionale emesso da un giudice francese per lo stesso reato, dopo aver appurato che tra i massacrati nelle carceri del regime siriano vi erano parenti di cittadini franco siriani. Silenzio anche da parte delle autorità religiose. Padre Paolo era inviso a molti cristiani siriani, che hanno sempre preferito la protezione di Assad alla libertà del Vangelo. L’unico che ha accettato di parlare con il giornale francese è il capo dei Gesuiti in Medio Oriente all’epoca del rapimento, padre Victor Assuad, il quale deplora la “mancanza di volontà a livello politico” di indagare sulla scomparsa di padre Paolo: “Tutti hanno interesse ad evitare che sia fatta luce”. Sono passati dieci giorni dalla pubblicazione dall’inchiesta, ma non c’è stata alcuna dichiarazione ufficiale del governo, nessuna smentita, nessuna interrogazione parlamentare. I rapporti con il criminale Bashar al-Assad, il suo regime del terrore e le menzogne della sua micidiale macchina di propaganda internazionale, sono più importanti della verità sulla sorte di un grande gesuita che amava la pace per tutti in Siria.
(fonte: L'Eco di Bergamo 25/11/2018)
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