UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 ottobre 2018
Mercoledì, 24 ottobre 2018
Il Papa ha fatto il suo ingresso in piazza San Pietro alle 9.30 in punto, accolto da 20mila fedeli che lo hanno acclamato a gran voce, agitando bandiere e fazzoletti colorati, in una splendida giornata di “ottobrata romana”. Protagonisti, come di consueto, i bambini che Francesco ha baciato e accarezzato lungo il percorso tra i vari settori delimitati dal colonnato del Bernini, grazie anche all’aiuto dei solerti uomini della sicurezza vaticana nel porgerglieli. Tra i piccoli, anche un bimbo di pochi mesi in pagliaccetto a righe, con un vistoso cappello “da papa” bianco e oro. Non è mancato il giro della papamobile anche nel settore più esterno della piazza, quello che affaccia su piazza Pio XII, dove si sono accalcati molti fedeli lungo le transenne. Nelle prime file davanti al sagrato, spiccavano oggi molti palloncini arancioni. Sceso dalla jeep bianca scoperta al termine del giro tra la folla, il Papa ha percorso a piedi di buon passo il tratto che lo separa dalla sua postazione al centro del sagrato.
Catechesi sui Comandamenti, 11/A: Non commettere adulterio
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nel nostro itinerario di catechesi sui Comandamenti arriviamo oggi alla Sesta Parola, che riguarda la dimensione affettiva e sessuale, e recita: «Non commettere adulterio».
Il richiamo immediato è alla fedeltà, e in effetti nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà.
Non si può amare solo finché “conviene”; l’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve. Come afferma il Catechismo: «L’amore vuole essere definitivo. Non può essere “fino a nuovo ordine”» (n. 1646). La fedeltà è la caratteristica della relazione umana libera, matura, responsabile. Anche un amico si dimostra autentico perché resta tale in qualunque evenienza, altrimenti non è un amico. Cristo rivela l’amore autentico, Lui che vive dell’amore sconfinato del Padre, e in forza di questo è l’Amico fedele che ci accoglie anche quando sbagliamo e vuole sempre il nostro bene, anche quando non lo meritiamo.
L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo. Il cuore umano cerca di riempire questo vuoto con dei surrogati, accettando compromessi e mediocrità che dell’amore hanno solo un vago sapore. Il rischio è quello di chiamare “amore” delle relazioni acerbe e immature, con l’illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso.
Così avviene di sopravvalutare per esempio l’attrazione fisica, che in sé è un dono di Dio ma è finalizzata a preparare la strada a un rapporto autentico e fedele con la persona. Come diceva San Giovanni Paolo II, l’essere umano «è chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti», che «è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore». È qualcosa che si conquista, dal momento che ogni essere umano «deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo» (cfr Catechesi, 12 novembre 1980).
La chiamata alla vita coniugale richiede, pertanto, un accurato discernimento sulla qualità del rapporto e un tempo di fidanzamento per verificarla. Per accedere al Sacramento del matrimonio, i fidanzati devono maturare la certezza che nel loro legame c’è la mano di Dio, che li precede e li accompagna, e permetterà loro di dire: «Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre». Non possono promettersi fedeltà «nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia», e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita, solo sulla base della buona volontà o della speranza che “la cosa funzioni”. Hanno bisogno di basarsi sul terreno solido dell’Amore fedele di Dio. E per questo, prima di ricevere il Sacramento del Matrimonio, ci vuole un’accurata preparazione, direi un catecumenato, perché si gioca tutta la vita nell’amore, e con l’amore non si scherza. Non si può definire “preparazione al matrimonio” tre o quattro conferenze date in parrocchia; no, questa non è preparazione: questa è finta preparazione. E la responsabilità di chi fa questo cade su di lui: sul parroco, sul vescovo che permette queste cose. La preparazione deve essere matura e ci vuole tempo. Non è un atto formale: è un Sacramento. Ma si deve preparare con un vero catecumenato.
La fedeltà infatti è un modo di essere, uno stile di vita. Si lavora con lealtà, si parla con sincerità, si resta fedeli alla verità nei propri pensieri, nelle proprie azioni. Una vita intessuta di fedeltà si esprime in tutte le dimensioni e porta ad essere uomini e donne fedeli e affidabili in ogni circostanza.
Ma per arrivare ad una vita così bella non basta la nostra natura umana, occorre che la fedeltà di Dio entri nella nostra esistenza, ci contagi. Questa Sesta Parola ci chiama a rivolgere lo sguardo a Cristo, che con la sua fedeltà può togliere da noi un cuore adultero e donarci un cuore fedele. In Lui, e solo in Lui, c’è l’amore senza riserve e ripensamenti, la donazione completa senza parentesi e la tenacia dell’accoglienza fino in fondo.
Dalla sua morte e risurrezione deriva la nostra fedeltà, dal suo amore incondizionato deriva la costanza nei rapporti. Dalla comunione con Lui, con il Padre e con lo Spirito Santo deriva la comunione fra di noi e il saper vivere nella fedeltà i nostri legami.
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Saluti:
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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.
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Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli anziani, agli ammalati e agli sposi novelli.
Carissimi, il messaggio evangelico di Cristo non ci chiede di fare cose straordinarie, ma di lasciare agire Dio nella nostra vita. Lui ci ha detto: «Senza di me voi non potete fare nulla» (Gv 15, 5). La vita cristiana è l’incontro della nostra debolezza con la forza della grazia di Dio, la quale ci permette di vivere quotidianamente un’esistenza piena e gioiosa, dove la carità significa fare tutto con gioia e umiltà, per la gloria di Dio e per il bene degli uomini.
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