di Giuseppe Savagnone
Probabilmente il caso di Lodi verrà ricordato nei libri di storia come il primo episodio esplicito e conclamato di discriminazione etnica in Italia, dopo la fine del fascismo. Vale perciò la pena di ricordarne brevemente i termini.
Tutto ha inizio nell’estate del 2017, quando la sindaca Sara Casanova – appena eletta con la Lega – firma una delibera che modifica le regole per beneficiare, nelle scuole cittadine, delle tariffe agevolate per la mensa scolastica e per lo scuolabus. Fino a quel momento i requisiti per goderne erano stabiliti in base all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), un indice che in estrema sintesi serve a stabilire la ricchezza di una famiglia. Per l’anno scolastico 2018-2019, quello iniziato poche settimane fa, la delibera prevede che i genitori nati fuori dall’Unione Europea debbano invece presentare una ulteriore documentazione, che attesti la loro nullatenenza nel paese di origine. Si noti che i bambini coinvolti – fra i due e i trecento – sono quasi tutti nati in Italia, mentre le loro famiglie ci sono per lo più arrivate con i mezzi di fortuna che conosciamo, fuggendo dai loro paesi e magari rischiando la vita nelle acque del Mediterraneo.
È appena il caso di dire che per questi genitori produrre la documentazione richiesta dal Comune è stato più impossibile che difficile. Da qui l’esclusione dei loro figli dalla lista degli aventi diritto alla mensa e all’autobus gratuiti e l’obbligo, per fruirne, di versare 5 euro a pasto per il primo servizio, 210 euro al trimestre per il secondo. E poiché le famiglie in questione non sono in grado di pagare simili cifre, per quanto non astronomiche, i bambini hanno dovuto essere accompagnati a scuola dai genitori, che sono stati anche costretti a riprenderli all’ora di pranzo per farli mangiare a casa. Mentre i figli degli italiani viaggiavano e mangiavano alla mensa gratis. Anche lo yogurt fornito a merenda durante a ricreazione è stato dato solo ai “cittadini”. Dimenticavo: due scuole hanno permesso eccezionalmente ai bambini di portarsi il cibo da casa, però mangiando in aule separate dalla mensa comune.
Un incidente, dovuto alla mancanza di misura e alla sprovvedutezza di una singola persona? Non sembra. Lo dimostrano inequivocabilmente gli sviluppi che la vicenda ha avuto quando la stampa ne ha dato notizia. Per la verità, il presidente della Camera, Roberto Fico, leader della sinistra dei 5stelle, appreso l’accaduto, ha stigmatizzato la decisione della sindaca leghista e proposto un’immediata soluzione: «Bisogna chiedere scusa ai bambini e farli tornare a mensa». Ma Fico non fa parte del governo ed è a quest’ultimo, non al presidente della Camera, che tocca stabilire gli indirizzi politici che l’Italia seguirà nel prossimo futuro. Lo ha ricordato, con parole sprezzanti, il capogruppo leghista di Montecitorio, Ricardo Molinari. E lo ha ribadito, con altrettanta asprezza, il vicepremier e ministro degli Interni Matteo Salvini: «Faccia il presidente della Camera!», annunciando al contempo una sua visita a Lodi per esprimere alla sindaca la sua piena solidarietà.
Per chi ha seguito in questi primi mesi l’attività del governo e ne ha potuto constatare le dinamiche interne, il pronunciamento di Salvini assume un significato particolare. Da quando il “governo del cambiamento” è andato al potere, il segretario della Lega parla a nome del premier e degli altri ministri, prendendo perentoriamente posizione sulle questioni più varie, dai rapporti con gli altri Stati ai problemi della scuola, dai vaccini alla riforma fiscale. Il suo appoggio alla sindaca di Lodi – la cui delibera, del resto, è coerente con quanto la Lega da molti anni proclama, e che ora è in grado finalmente di realizzare – lascia dunque intravedere un progetto destinato a imporsi, in questo come in tanti altri casi, sui remissivi alleati 5stelle.
Siamo davanti, insomma, all’inaugurazione di una politica che, sotto i pretesti più vari e in nome del fatidico «Prima gli Italiani!», è destinata, a livello nazionale come a quello degli enti locali, a moltiplicare episodi come quello di Lodi. Non risulta che gli indici di gradimento di Salvini, prossimi al 60% degli italiani, abbiano avuto delle significative flessioni, in seguito a questo episodio. Possiamo dunque supporre che il numero delle persone definibili con la formula «Io, per carità, non sono razzista, ma…» sia molto cresciuto dal tempo delle elezioni e sia ormai tale da assicurare alla Lega e al suo leader un radioso futuro.
Tuttavia, le cronache segnalano che, in questa occasione, si sono verificati due fatti, anch’essi emblematici. Uno è stato che il Coordinamento Uguali Doveri di Lodi, venuto a conoscenza della situazione, ha lanciato una campagna di raccolta fondi per pagare i buoni pasto dei bambini esclusi. E con risultati sorprendenti: in poche ore sono stati accreditati sul conto dedicato più di 60mila euro. L’altro, che un dirigente scolastico, da poco trasferito a Lodi dal quartiere palermitano di Brancaccio, dove aveva prestato servizio l’anno scorso, ha deciso di disobbedire alla delibera e di ammettere egualmente tutti i bambini alla mensa.
Siamo dunque di fronte al delinearsi di due Italie diverse e contrapposte, quella dei «Io non sono razzista, ma…» e quella dei «Io non sono razzista, perciò…».
La contrapposizione non è tra “cattivi” e “buoni”. I primi quando tornano a casa accarezzano i propri bambini, come i secondi, e raccomandano loro di essere buoni; i secondi conoscono ovviamente anche loro, in famiglia, sul lavoro, nella vita di ogni giorno, comportamenti sbagliati e contraddizioni. Non serve a molto, per capire cosa sta succedendo, demonizzare gli uni come “razzisti” o deridere i secondi come “buonisti”. Prendiamo atto che siamo davanti al delinearsi di due diverse visioni della persona e della/e comunità degli uomini, che stanno dividendo l’Italia come forse non era accaduto da molto tempo a questa parte.
Quello che non sono disposto a concedere è che esse siano entrambe compatibili col cristianesimo. Salvini ha il pieno diritto di ricordare il suo essere un padre affettuoso, ma non di appellarsi al Vangelo, rivendicando il merito di difendere l’identità cristiana del nostro Paese di fronte all’invasione dell’Islam. Non c’è visione più lontana dal messaggio di Gesù di quella che discrimina gli esseri umani in base a criteri etnici, giuridici o religiosi. La parabola del buon samaritano, altrimenti, andrebbe riscritta. All’odiato straniero il soccorritore dovrebbe dire, nella nuova stesura: «Prima i samaritani», e passare oltre. E Gesù, se si fosse messo nei panni della sindaca leghista di Lodi, oggi dovrebbe esortare i discepoli, che vogliono liberarlo dalla pressione dei bambini: «Lasciate che i piccoli – ma solo gli italiani – vengano a me». Tanti anni fa, Carlo Levi scrisse un romanzo per descrivere l’arretratezza del Sud, intitolato «Cristo si è fermato ad Eboli». Oggi Cristo sembra essere stato bloccato molto più a nord.
(Fonte: Rubrica "I Chiaroscuri")