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lunedì 9 giugno 2025

Simone Weil. Una santità geniale di Gianfranco Ravasi

Simone Weil. 
Una santità geniale 
di Gianfranco Ravasi


Vite parallele. Il saggio di Sabina Moser designa la sintonia/simpatia fra la scrittrice e il Santo: si tratta dell’abbandono totale in Dio una volta lasciato ogni egoismo e ogni possesso per essere colmati dalla realtà divina infinita ed eterna

«Nel 1937 ho trascorso ad Assisi due giorni meravigliosi. Là, mentre ero sola nella piccola cappella romanica del XII secolo di Santa Maria degli Angeli, incomparabile miracolo di purezza, in cui san Francesco ha pregato tanto spesso, qualcosa più forte di me mi ha costretta, la prima volta nella mia vita, a inginocchiarmi». Così confessava in una lettera al suo interlocutore, il domenicano Joseph- Marie Perrin, Simone Weil, una figura alta della cultura e della spiritualità del secolo scorso, nata da una famiglia ebrea a Parigi nel 1909 e morta nel 1943.

Non è la prima volta che evochiamo questa testimone straordinaria segnata dalla genialità, dall’interiorità e dalla solidarietà umana. Lo abbiamo fatto tempo fa presentando la riedizione presso Adelphi di una sua opera epistolare, Attesa di Dio, ove il termine “attesa” ha in filigrana l’“attenzione”, il “tendere” verso un’epifania rivelatrice. Due sono stati i registri della sua breve biografia: da un lato l’intelligenza unica con la ricerca della trascendenza e, dall’altro, l’impegno sociale condotto fino allo spasimo, nell’insegnamento agli studenti operai, nella tutela sindacale dei braccianti, nel lavoro fisico spalla a spalla con gli sfruttati, nella cura delle vittime durante il conflitto bellico mondiale.

Questo duplice lineamento spiega il fascino da lei sperimentato per due figure capitali del cristianesimo: Gesù di Nazaret e Francesco d’Assisi. A tracciare il legame con quest’ultimo, sbocciato a Santa Maria degli Angeli, come attesta la lettera sopra citata, si è dedicata Sabina Moser, costante e raffinata interprete della Weil, anche attraverso una sua personale qualificata dotazione filosofica e teologica. D’altronde, la via francescana riconduceva la pensatrice francese a quel Cristo del cui messaggio il santo di Assisi era l’incarnazione più pura.

Il saggio di Moser designa una trama densa e incessantemente documentata dalla sintonia/simpatia tra Simone e Francesco, al punto tale da creare quasi una sovrimpressione dei due volti nonostante la distanza delle coordinate storiche e sociali. Questa mappa ha una serie di nervature ideali ed evidenti, come l’adesione radicale alla volontà di Dio, la bellezza fonte di gioia e di canto, la povertà, il distacco, la libertà interiore, la pace e così via. Nervature lette in modo originale da Weil che riesce sempre a intrecciare la sua tagliente e purissima intelligenza con un afflato mistico per cui, alla luce della sua interpretazione, il modello francescano riesce a svelare la sua grandezza e genialità ma anche la sua potente santità. Se vogliamo continuare a ricorrere alla metafora delle nervature tematiche, ce n’è una piuttosto originale, quella della “de-creazione”. Lasciamo la parola a Simone nei suoi Quaderni: «De-creazione è compimento trascendente della creazione, annullamento in Dio che dà alla creatura annullata la pienezza dell’essere, di cui è privata finché esiste».

È quell’abbandono totale in Dio svuotandosi da ogni egoismo e possesso per essere colmati dalla realtà divina infinita ed eterna. San Francesco è la rappresentazione vivente di questa de-creazione: egli si spoglia dei beni ma anche della sua stessa identità per configurarsi a Cristo di cui reca le stimmate sanguinanti d’amore. Per lui e per Simone il modello è il Christus patiens e non certo il Pantocrator onnipotente; la sua trascendenza è nella sua povertà, spazio umano vuoto è riempito dalla pienezza divina. Illuminanti sono ancora le parole della Weil: «Per diventare qualcosa di divino, non ho bisogno di uscire dalla mia miseria, vi debbo solo aderire… È al fondo estremo della mia miseria che io tocco Dio».

Tanto altro emerge nella sinossi tra Francesco e Simone elaborata da Sabina Moser. Inoltre, come scrive nella prefazione Marco Vannini «la scelta di vita di entrambi fosse prima di tutto personale, e dunque nel rapporto intimo tra l’anima e Dio, ma fosse anche l’unica capace, per sua propria essenza, di rinnovare positivamente la comunità umana», anzi la Chiesa stessa. Simone Weil ha conquistato tanti lettori agnostici o, per lo meno, lontani dall’orizzonte mistico. È facile riproporre i versi che Elsa Morante ha scritto contemplando il ritratto fotografico più noto di Simone dal volto così pulito e fin modesto: «Sorelluccia inviolata / ultima colomba dei diluvi / stroncata bellezza del Cantico dei cantici / camuffata in quei tuoi buffi / occhiali da scolara miope». Ma è a lei, “santa geniale” laica, che affidiamo l’ultima parola con una sorta di aforisma conclusivo: «Il mondo ha bisogno di santi che abbiano genio come una città dove infierisce la peste ha bisogno di medici».

(Fonte :“Il Sole 24 Ore - Domenica” - 1 giugno 2025)