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mercoledì 25 giugno 2025

Guerra e religione. Binomio spesso storicamente tradito, ma inconciliabile di Gianfranco Ravasi

Guerra e religione. 
Binomio spesso storicamente tradito, 
ma inconciliabile 
di Gianfranco Ravasi


È necessaria una premessa: anche se in finale indicherò il rimando ai due volumi, questa non è una recensione dei loro contenuti. Ho letto con interesse – anche perché io stesso ho dedicato un saggio all’argomento, La santa violenza (Milano 2019) – queste due opere consonanti, anche se differenti per genere. Da un lato, lo studio diacronico-tematico sul rapporto del cristianesimo con la violenza e le armi elaborato dallo storico Massimo Rubboli dell’università di Genova, ricco di documentazione e aperto all’intero panorama internazionale (Massimo Rubboli, I cristiani, la violenza e le armi, GBU, pagg. 534, € 25 ). D’altro lato, il potente testo di un giornalista rigoroso, Siegmund Ginzberg, nato in una famiglia ebraica a Istanbul ma milanese di adozione (Siegmund Ginzberg, Macellerie, Feltrinelli, pagg. 188,€18). Già il titolo è come un pugno nello stomaco, Macellerie, e le sue pagine dedicate a «guerre atroci e paci ambigue» attirano il lettore come un terribile racconto insanguinato, pur conservando in filigrana l’attestazione storiografica e persino esegetica (quando è di scena la Bibbia).

       Questa coppia di scritti mi ha spinto a proporre una nota marginale su una questione imponente, il nesso tra religione e guerra. È indubbio che, sia a livello biblico sia nella storia della cristianità, emerge un dato culturale e sociale rilevante. Se si sfogliano le pagine scritturistiche e quelle dei manuali storici, si scopre che spesso sono striate di sangue. Per stare alla Bibbia, basti solo pensare alle stragi sante – il cosiddetto herem o «sterminio sacro» – che accompagnano la conquista della Terra promessa da parte del popolo ebraico, oppure alle centinaia di testi violenti presenti nelle S. Scritture e alla stessa simbolica bellica usata per rappresentare il «Dio degli eserciti» (che, però, era originariamente un rimando all’armata astrale del Creatore, anche se poi applicata alle battaglie di Israele col palladio dell’Arca santa).

      Il discorso si allarga anche alla storia della cristianità ove, però, accanto alle guerre di religione, si configura un rapporto più complesso, variegato e sfumato col tema militare. Interessante è, ad esempio, la distinzione che Tertulliano, scrittore cristiano del II secolo, introduce nel suo De idolatria tra il bellare in guerra, visto criticamente, e il militare in tempo di pace come servizio necessario di tutela. Nel 1905 un famoso studioso tedesco, Adolf von Harnack, approfondì a livello storico la questione nei primi secoli cristiani nel saggio Militia, mostrando la varietà degli approcci. Da un lato, ecco i santi soldati martiri (si pensi a san Sebastiano), la visione della vita cristiana come lotta contro il male e l’errore, la celebrazione retorica della spada e della croce intrecciate tra loro, per giungere alle Crociate (significativo, al riguardo, è il Liber ad milites Templi di san Bernardo).

      D’altro lato, però, ecco invece la posizione critica dei Padri della Chiesa africana del III secolo come Cipriano o Lattanzio e il citato Tertulliano, oppure l’emergere dell’obiezione di coscienza, come appare nella Passio della recluta Massimiliano. Il procuratore Dione lo interroga: «Non vedi quanto sei giovane? Devi fare il soldato. Che devono fare i giovani se non arruolarsi nell’esercito?». Massimiliano replica così: «Io faccio il soldato per il mio Signore. Non posso fare il soldato per il mondo… Io sono cristiano e non posso fare del male». Ora, è evidente che sorgono molteplici e delicati problemi nel cercare una sintesi di fronte a esperienze così differenti, anche per i diversi contesti storico-culturali. Indicheremo solo qualche traiettoria di indole generale per una corretta ermeneutica teologica.

     Innanzitutto è da ribadire la qualità storica della Rivelazione ebraico-cristiana che nella Bibbia si presenta non come un’astratta sequenza di tesi teologiche speculative ma appunto come una «storia di salvezza». All’interno degli eventi umani, spesso segnati dal peccato, dall’ingiustizia, dalla violenza, dal male, passa la presenza e l’opera di Dio che progressivamente e pazientemente cerca di condurre l’umanità verso un livello più puro, giusto e pacifico di vita. Il vertice è in Cristo che proclama «beati gli operatori di pace» (Matteo 5,9), nello spirito dello shalôm, la «pace» messianica anticotestamentaria. La stessa tradizione giudaica successiva con rabbì Meir di Gher dichiarerà che «Dio non ha creato nulla di più bello della pace».

     In questa luce, proprio perché la Parola di Dio si esprime in parole umane, è necessario escludere ogni forma di fondamentalismo letteralistico che assume il testo in modo cieco, senza ricorrere a una corretta interpretazione per coglierne il senso genuino. Questo atteggiamento, purtroppo praticato in certi ambiti musulmani ma anche cristiani, conferma il monito paolino secondo il quale «la lettera uccide, mentre è lo Spirito che dà vita» (2Corinzi 3,6).

    Inoltre, come attesta una lunga serie di ricerche teologiche e filosofiche condotte nei secoli successivi, si annodano attorno al tema molte altre questioni significative e persino necessarie e di non facile soluzione, tenendo conto delle varie componenti che spesso confliggono tra loro e che costituiscono oggetto di dibattito e di dialettica. Pensiamo, ad esempio, alla legittima difesa, alla tutela del debole, alla protezione della propria identità culturale e religiosa contro l’oppressione, alla ribellione contro un regime dittatoriale e liberticida, alle recenti operazioni di “peacekeeping” e così via. Il magistero papale nel secolo scorso ha prodotto un ampio spettro di documenti magisteriali al riguardo, oltre a un impegno pastorale concreto delle varie Chiese, considerando e affrontando la complessità della geopolitica attuale.

     Certo è che permane, come spina nel fianco dei credenti, la forza unica del messaggio di Cristo sull’amore per il nemico (Matteo 5,43-44) che trasfigura l’hostis in hospes. San Paolo trasformerà l’equipaggiamento militare (cinturone, corazza, calzari, scudo, frecce, elmo e spada) in una metafora antitetica di virtù morali e spirituali (si legga Efesini 6,11-17), convinto che Cristo sia «la nostra pace» (2,14). Egli invia il cristiano a proclamare e propagare «il vangelo della pace» (6,15) in un mondo di lupi, come avvertiva già Gesù (Matteo 10,16).

(Fonte:  “Il Sole 24 Ore - Domenica” -22 giugno 2025)