Enzo Bianchi
Ma è davvero pietà? E’ veramente compassione questa emozione che si fa lamento e protesta di fronte alla disfatta di Kabul e alla fuga disperata di donne, uomini e bambini impauriti per il ritorno del regime talebano? Abbiamo negli occhi le immagini: gente terrorizzata che cerca di fuggire assembrata nell’aeroporto, bambini gettati da braccia materne ai soldati perché li portino via da una terra di oppressione e di morte. Persone che aggrappati agli aerei decollati cadono nel vuoto e ora anche vittime di attentati che rivelano, se ci fossero ancora dubbi, la folle violenza che abita coloro ai quali l’occidente ha abbandonato un intero popolo. Sì, siamo tutti impressionati ma non per questo capaci di leggere ciò che accade e soprattutto di assumerci fino in fondo le nostre responsabilità.
Invochiamo aiuti umanitari, proclamiamo il dovere del soccorrere questa povera gente, diciamo con voce forte l’urgenza di “dare salvezza” soprattutto a donne e bambini, e affermiamo la necessità di accogliere gli afgani che hanno collaborato con noi in questi vent’anni di guerra, fidandosi delle nostre promesse. E’ scandaloso, per chi ha anche solo una briciola di consapevolezza, dover costatare che quelli che oggi offrono salvataggi e aiuti economici sono gli stessi responsabili di vent’anni di guerra che ha martoriato questo popolo afgano.
E possiamo essere certi: tra qualche settimana queste emozioni non ci abiteranno più e saremo invece dominati da sentimenti di indifferenza: non mancherà chi arriverà a deprecare la presenza di profughi afgani nelle nostre terre d’occidente. E’ sufficiente avere un po’ di memoria delle guerre provocate da noi in Siria e subito si fa viva l’immagine di Alan, il bambino curdo annegato e riverso sulla spiaggia di Bodrum, perché non era riuscito con la sua famiglia ad approdare in Europa. Anche allora l’impressione fu grande, e sdegno, pietà e dichiarazioni di volontà di accoglienza dei profughi invasero i media di tutto il mondo, riflesso sentimenti vissuti dalle nostre società. Ma dopo poco tempo, proprio i profughi siriani diventarono indesiderabili, fuggiaschi che nessuno voleva, destinati ai campi del Libano o bloccati per conto nostro dalla Turchia. L’indifferenza riesce sempre a seppellire ciò che di buono è presente nel cuore umano.
L’indifferenza, questa è veramente la grande malattia di cui siamo preda. Ci basta provare emozione, magari anche commozione, tuttavia la nostra coscienza non ci interroga e non ci rimprovera nulla. Soprattutto ci impedisce di farci domande sulle nostre responsabilità.
Per questo, i potenti del mondo oggi non hanno neppure bisogno di dire bugie. E’ significativo che il presidente Joe Biden con agghiacciante ingenuità abbia potuto affermare: “Noi americani ce ne andiamo via perché l’Afghanistan non rientra più nei nostri interessi”! Confessa con disarmante franchezza che per degli interessi precisi si è iniziata una guerra e per interessi precisi si abbandona un popolo al suo destino. Queste parole cadono nella nostra radicale indifferenza. Ma l’indifferenza non è mai neutralità: è sempre complicità. Sì, l’indifferenza non è solo passività, è sempre pavido supporto alla violenza.
(fonte: Blog dell'autore)