VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
A BUDAPEST, IN OCCASIONE DELLA SANTA MESSA CONCLUSIVA
DEL 52.mo CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE,
E IN SLOVACCHIA
12-15 SETTEMBRE 2021
Martedì, 14 settembre 2021
KOŠICE - PREŠOV
16:00 Incontro con la Comunità Rom nel Quartiere Luník IX a Košice
17:00 Incontro con i giovani presso lo Stadio Lokomotiva a Košice
18:30 Partenza in aereo per Bratislava
19:30 Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Bratislava
INCONTRO CON LA COMUNITÀ ROM
Quartiere Luník IX (Košice)
“Francesco benvenuto tra noi”. La scritta arcobaleno in stampatello italiano, su un enorme cartellone bianco, contrasta con il grigiore dei palazzoni che sorgono sul territorio polveroso di Luník IX.
Il Papa arriva puntuale alle 16, accolto da musica gitana e applausi fragorosi anche da parte della gente affacciata dai balconi dei palazzi semidiroccati. Francesco sorride mentre saluta centinaia di bambini che agitano le mani per dargli il benvenuto. Su un fazzoletto di verde è stato allestito un palco bianco con una tenda a fiori, da dove il Pontefice, nel suo discorso, stigmatizza i “giudizi e pregiudizi” che aggravano la vita di queste minoranze ed esorta a proseguire sulla via dell’integrazione, unica strada per una “convivenza pacifica”.
Parole non scontate per gli abitanti di Luník, oggi spettatori, con chitarre e scenografici abiti tradizionali, di uno scenario inedito: maxischermi, transenne, cartelloni, uomini della sicurezza e volontari in pettorina gialla. Mai il quartiere, fino a qualche anno fa fortezza impenetrabile dall’esterno, aveva vissuto un evento simile. Mai nessuna personalità aveva messo piede qui dentro. Oggi c’è il Papa e il quartiere ha ripreso vita, con una grande opera di restyling che vede palazzi ridipinti di bianco con murales floreali, strade pulite, erba coltivata.
Ad attendere il Papa all’ingresso del centro il Direttore, don Peter Bešenyei, che ha dedicato tutta la sua vita pastorale ai Rom, tre confratelli e due bambini Rom.
Dopo il breve saluto del direttore del Centro e le testimonianze di un Rom e di una famiglia Rom inserita nel mondo del lavoro, Papa Francesco pronuncia il suo discorso, il nono di questo viaggio.
A colpire il Papa è soprattutto la testimonianza di Ján che, con la moglie Beáta, gli offre lo spunto per ribadire le parole di conforto già espresse in passato a favore dei gitani
SALUTO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
Vi ringrazio per l’accoglienza e per le vostre parole affettuose. Ján ha ricordato quello che vi disse San Paolo VI: «Voi nella Chiesa non siete ai margini… Voi siete nel cuore della Chiesa» (Omelia, 26 settembre 1965). Nessuno nella Chiesa deve sentirsi fuori posto o messo da parte. Non è solo un modo di dire, è il modo di essere della Chiesa. Perché essere Chiesa è vivere da convocati di Dio, è sentirsi titolari nella vita, far parte della stessa squadra. Sì, perché Dio ci desidera così, ciascuno diverso ma tutti uniti attorno a Lui. Il Signore ci vede insieme. Tutti.
E ci vede figli: ha sguardo di Padre, sguardo di predilezione per ciascun figlio. Se io accolgo questo sguardo su di me, imparo a vedere bene gli altri: scopro di avere accanto altri figli di Dio e li riconosco fratelli. Questa è la Chiesa, una famiglia di fratelli e sorelle con lo stesso Padre, il quale ci ha dato Gesù come fratello, perché comprendiamo quanto Lui ami la fraternità. E desidera che l’umanità intera diventi una famiglia universale. Voi nutrite un grande amore per la famiglia, e guardate alla Chiesa a partire da questa esperienza. Sì, la Chiesa è casa, è casa vostra. Perciò – vorrei dirvi con il cuore – siete benvenuti, sentitevi sempre di casa nella Chiesa e non abbiate mai paura di abitarci. Nessuno tenga fuori voi o qualcun altro dalla Chiesa!
Ján, mi hai salutato con tua moglie Beáta: insieme avete messo il sogno della famiglia davanti alle vostre grandi diversità di provenienza, di usi e costumi. Più di tante parole è il vostro matrimonio a testimoniare come la concretezza del vivere insieme può far crollare tanti stereotipi che altrimenti sembrano insuperabili. Non è facile andare oltre i pregiudizi, anche tra i cristiani. Non è semplice apprezzare gli altri, spesso si vedono in essi degli ostacoli o degli avversari e si esprimono giudizi senza conoscere i loro volti e le loro storie.
Ma ascoltiamo che cosa dice Gesù nel Vangelo: «Non giudicate» (Mt 7,1). Il Vangelo non va addolcito, non va annacquato. Non giudicate, ci dice Cristo. Quante volte, invece, non solo parliamo senza elementi o per sentito dire, ma ci riteniamo nel giusto quando siamo giudici rigorosi degli altri. Indulgenti con noi stessi, inflessibili con gli altri. Quante volte i giudizi sono in realtà pregiudizi, quante volte aggettiviamo! È sfigurare con le parole la bellezza dei figli di Dio, che sono nostri fratelli. Non si può ridurre la realtà dell’altro ai propri modelli preconfezionati, non si possono schematizzare le persone. Anzitutto, per conoscerle veramente, bisogna riconoscerle: riconoscere che ciascuno porta in sé la bellezza insopprimibile di figlio di Dio, in cui il Creatore si rispecchia.
Cari fratelli e sorelle, troppe volte voi siete stati oggetto di preconcetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole e gesti diffamatori. Con ciò tutti siamo divenuti più poveri, poveri di umanità. Quello che ci serve per recuperare dignità è passare dai pregiudizi al dialogo, dalle chiusure all’integrazione. Ma come fare? Nikola e René, ci avete aiutato: la vostra storia d’amore è nata qui ed è maturata grazie alla vicinanza e all’incoraggiamento che avete ricevuto. Vi siete sentiti responsabilizzati e avete voluto un lavoro; vi siete sentiti amati e siete cresciuti con il desiderio di dare qualcosa di più ai vostri figli.
Così ci avete dato un messaggio prezioso: dove c’è cura della persona, dove c’è lavoro pastorale, dove c’è pazienza e concretezza i frutti arrivano. Non subito, col tempo, ma arrivano. Giudizi e pregiudizi aumentano solo le distanze. Contrasti e parole forti non aiutano. Ghettizzare le persone non risolve nulla. Quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la rabbia. La via per una convivenza pacifica è l’integrazione. È un processo organico, un processo lento e vitale, che inizia con la conoscenza reciproca, va avanti con pazienza e guarda al futuro. E a chi appartiene il futuro? Possiamo domandarci: a chi appartiene il futuro? Ai bambini. Sono loro a orientarci: i loro grandi sogni non possono infrangersi contro le nostre barriere. Essi vogliono crescere insieme agli altri, senza ostacoli, senza preclusioni. Meritano una vita integrata, una vita libera. Sono loro a motivare scelte lungimiranti, che non ricercano il consenso immediato, ma guardano all’avvenire di tutti. Per i figli vanno fatte scelte coraggiose: per la loro dignità, per la loro educazione, perché crescano ben radicati nelle loro origini ma al tempo stesso senza vedere preclusa ogni possibilità.
Ringrazio chi porta avanti questo lavoro di integrazione che, oltre a comportare non poche fatiche, a volte riceve pure incomprensione e ingratitudine, magari persino nella Chiesa. Cari sacerdoti, religiosi e laici, cari amici che dedicate il vostro tempo per offrire uno sviluppo integrale ai vostri fratelli e sorelle, grazie! Grazie per tutto il lavoro con chi è ai margini. Penso anche ai rifugiati e ai detenuti. A questi, in particolare, e a tutto il mondo carcerario esprimo la mia vicinanza. Grazie, don Peter, di averci parlato dei centri pastorali, dove non fate assistenzialismo sociale, ma accompagnamento personale. Grazie, a voi, Salesiani. Andate avanti su questa strada, che non illude di poter dare tutto e subito, ma è profetica, perché include gli ultimi, costruisce la fraternità, semina la pace. Non abbiate paura di uscire incontro a chi è emarginato. Vi accorgerete di uscire incontro a Gesù. Egli vi attende là dove c’è fragilità, non comodità; dove c’è servizio, non potere; dove c’è da incarnarsi, non da compiacersi. Lì è Lui.
E invito tutti voi ad andare oltre le paure, oltre le ferite del passato, con fiducia, passo dopo passo: nel lavoro onesto, nella dignità di guadagnare il pane quotidiano, nell’alimentare la fiducia reciproca. E nella preghiera gli uni per gli altri, perché è questo che ci orienta e ci dà forza. Vi incoraggio, vi benedico e vi porto l’abbraccio di tutta la Chiesa. Grazie. Palikerav.
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Dopo la recita del Padre Nostro e la benedizione finale, il Papa si trasferisce in auto allo Stadio Lokomotiva di Košice per l’incontro con i giovani.
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Durante il tragitto verso il seminario di Kosice un fuori programma, Papa Francesco si è fermato nella Casa per gli Esercizi dei gesuiti per salutare alcuni confratelli e il personale di cucina che, coinvolti nell'organizzazione degli eventi, non hanno potuto prendere parte alla Divina Liturgia. (le foto dalla pagina fb di p. Antonio Spadaro)
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INCONTRO CON I GIOVANI
Stadio Lokomotiva (Košice)
La giornata del Papa, prima del suo rientro a Bratislava, si è conclusa allo stadio Lokomotiva di Kosice, la seconda per importanza della Slovacchia, dove Francesco è stato accolto dai giovani che gli hanno riservato un benvenuto assai caloroso, in sitle Gmg. Il Papa, sorridente anche se comprensibilmente un tantino stanco, ha fatto il giro dei settori in papamobile tra l'entusiasmo e i canti dei ragazzi.
Il discorso del Papa è stato preceduto dal saluto di benvenuto di monsignor Bernard Bober, arcivescovo metropolita di Košice. “Sentiamo questo giorno - ha detto il presule - come un momento di rafforzamento e di incoraggiamento per la nostra vita. Tutti, e specialmente i giovani, viviamo in una strana confusione, propria di questa epoca, e non è facile superarla”. Dopo le parole dell’arcivescovo di Košice, l’incontro è proseguito con le testimonianze e le domande di alcuni giovani.
Petra Filová, studentessa 29.enne di educazione religiosa presso la Facoltà di Teologia di Košice, ha spiegato che il Sacramento della Riconciliazione ha cambiato la sua vita. “Si tratta del momento - ha detto - in cui ho riconosciuto il motivo della passione di Gesù sulla croce per me”. Come un giovane - ha chiesto Petra Filová - dovrebbe superare gli ostacoli sulla via verso la misericordia di Dio?
Peter Lešak, sposato con Zuzka, un giovane manager dell’azienda “Laudatosi”, specializzata in costruzioni ecologiche. Nella sua testimonianza, ha ricordato tra l’altro il momento di un pellegrinaggio davanti alla tomba della Beata Anna Kolesárová. “Grazie alla Beata Anna - ha detto Peter - abbiamo riscoperto e compreso il valore della castità nella relazione e l’abbiamo mantenuta fino al nostro matrimonio”. Come dovremmo sollecitare i giovani - ha chiesto il giovane - a credere nel valore dell’amore casto?
I giovani Peter Liška e la moglie Lenka, saliti sul palco insieme ai loro tre figli, hanno ricordato che la loro relazione è stata scossa anche da momenti dolorosi. Peter, che quando aveva dodici anni ha perso la mamma, si è ammalato ed era in pericolo di vita. “Gesù, però, nel momento più difficile – ha detto Peter - ci ha manifestato quanto ci ama e che è morto sulla croce per noi”. “Ringraziamo Dio – ha aggiunto Lenka - anche per la croce”. I due giovani sposi hanno quindi posto questa domanda: come si devono incoraggiare i giovani a non temere di abbracciare la croce nella loro vita?
Quando si è avvicinata a Francesco questa giovane coppia con i tre bambini piccoli, il maschietto lo ha abbracciato affettuosamente come si fa con un nonno...
In questo stadio fu beatificata nel 2018, Anna Kolesarova, la Maria Goretti slovacca, uccisa durante la II Guerra mondiale da un soldato sovietico che la voleva violentare. “Eroina dell'amore”, l'ha definita il Pontefice. Che in nome suo ha chiesto ai ragazzi di “puntare a traguardi alti”.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cari giovani, cari fratelli e sorelle, dobrý večer! [buonasera!]
Mi ha dato gioia ascoltare le parole di Mons. Bernard, le vostre testimonianze e le vostre domande. Ne avete fatte tre e io vorrei provare a cercare delle risposte con voi.
Inizio da Peter e Zuzka, dalla vostra domanda sull’amore nella coppia. L’amore è il sogno più grande della vita, ma non è un sogno a buon mercato. È bello, ma non è facile, come tutte le cose grandi della vita. È il sogno, ma non è un sogno facile da interpretare. Vi rubo una frase: «Abbiamo cominciato a percepire questo dono con occhi totalmente nuovi». Davvero, come avete detto, servono occhi nuovi, occhi che non si lasciano ingannare dalle apparenze. Amici, non banalizziamo l’amore, perché l’amore non è solo emozione e sentimento, questo semmai è l’inizio. L’amore non è avere tutto e subito, non risponde alla logica dell’usa e getta. L’amore è fedeltà, dono, responsabilità.
La vera originalità oggi, la vera rivoluzione, è ribellarsi alla cultura del provvisorio, è andare oltre l’istinto, oltre l’istante, è amare per tutta la vita e con tutto se stessi. Non siamo qui per vivacchiare, ma per fare della vita un’impresa. Tutti voi avrete in mente grandi storie, che avete letto nei romanzi, visto in qualche film indimenticabile, sentito in qualche racconto toccante. Se ci pensate, nelle grandi storie ci sono sempre due ingredienti: uno è l’amore, l’altro è l’avventura, l’eroismo. Vanno sempre insieme. Per fare grande la vita ci vogliono entrambi: amore ed eroismo. Guardiamo a Gesù, guardiamo al Crocifisso, ci sono entrambi: un amore sconfinato e il coraggio di dare la vita fino alla fine, senza mezze misure. C’è qui davanti a noi la Beata Anna, un’eroina dell’amore. Ci dice di puntare a traguardi alti. Per favore, non facciamo passare i giorni della vita come le puntate di una telenovela.
Perciò, quando sognate l’amore, non credete agli effetti speciali, ma che ognuno di voi è speciale, ognuno di voi. Ognuno è un dono e può fare della vita, della propria vita, un dono. Gli altri, la società, i poveri vi aspettano. Sognate una bellezza che vada oltre l’apparenza, oltre il trucco, al di là delle tendenze della moda. Sognate senza paura di formare una famiglia, di generare ed educare dei figli, di passare una vita condividendo tutto con un’altra persona, senza vergognarsi delle proprie fragilità, perché c’è lui, o lei, che le accoglie e le ama, che ti ama così come sei. Questo è l’amore: amare l’altro come è, e questo è bello! I sogni che abbiamo ci dicono la vita che desideriamo. I grandi sogni non sono l’auto potente, il vestito alla moda o la vacanza trasgressiva. Non date ascolto a chi vi parla di sogni e invece vi vende illusioni. Una cosa è il sogno, sognare, e altra cosa avere illusioni. Questi che vendono illusioni parlando di sogno sono manipolatori di felicità. Siamo stati creati per una gioia più grande: ciascuno di noi è unico ed è al mondo per sentirsi amato nella sua unicità e per amare gli altri come nessuno può fare al posto suo. Non si vive seduti in panchina a fare la riserva di qualcun altro. No, ciascuno è unico agli occhi di Dio. Non lasciatevi “omologare”; non siamo fatti in serie, siamo unici, siamo liberi, e siamo al mondo per vivere una storia d’amore, di amore con Dio, per abbracciare l’audacia di scelte forti, per avventurarci nel rischio meraviglioso di amare. Vi domando: credete questo? Vi domando: sognate questo? [rispondono: “Sì!”] Sicuri? [“Sì!”] Bravi!
Vorrei darvi un altro consiglio. Perché l’amore porti frutto, non dimenticate le radici. E quali sono le vostre radici? I genitori e soprattutto i nonni. State attenti: i nonni. Loro vi hanno preparato il terreno. Innaffiate le radici, andate dai nonni, vi farà bene: fate loro domande, dedicate tempo ad ascoltare i loro racconti. Oggi c’è il pericolo di crescere sradicati, perché siamo portati a correre, a fare tutto di fretta: quello che vediamo in internet può arrivarci subito a casa; basta un clic e persone e cose compaiono sullo schermo. E poi succede che diventino più familiari dei volti che ci hanno generato. Pieni di messaggi virtuali, rischiamo di perdere le radici reali. Disconnetterci dalla vita, fantasticare nel vuoto, non fa bene, è una tentazione del maligno. Dio ci vuole ben piantati per terra, connessi alla vita; mai chiusi, ma sempre aperti a tutti! Radicati e aperti. Avete capito? Radicati e aperti.
Sì, è vero, ma – mi direte voi – il mondo la pensa diversamente. Si parla tanto d’amore, ma in realtà vige un altro principio: ciascuno pensi per sé. Cari giovani, non lasciatevi condizionare da questo, da ciò che non va, dal male che imperversa. Non lasciatevi imprigionare dalla tristezza, dallo scoraggiamento rassegnato di chi dice che nulla mai cambierà. Se si crede a questo ci si ammala di pessimismo. E voi avete visto la faccia di un giovane, di una giovane pessimista? Avete visto quale faccia ha? Una faccia amareggiata, una faccia di amarezza. Il pessimismo ci ammala di amarezza, ci invecchia dentro. E si invecchia giovani. Oggi ci sono tante forze disgregatrici, tanti che incolpano tutti e tutto, amplificatori di negatività, professionisti della lamentela. Non ascoltateli!, no, perché la lamentela e il pessimismo non sono cristiani, il Signore detesta tristezza e vittimismo. Non siamo fatti per tenere la faccia a terra, ma per alzare lo sguardo al Cielo, agli altri, alla società.
E quando siamo giù – perché tutti nella vita siamo in certi momenti un po’ giù, tutti conosciamo questa esperienza – e quando siamo giù, che cosa possiamo fare? C’è un rimedio infallibile per rialzarci. È quello che ci hai raccontato tu, Petra: la Confessione. Avete ascoltato Petra, voi? [“Sì!”] Il rimedio della Confessione. Mi hai chiesto: «Come può un giovane oltrepassare gli ostacoli sulla via verso la misericordia di Dio?». Anche qua è questione di sguardo, di guardare a quello che conta. Se io vi domando: “A che cosa pensate quando andate a confessarvi?” – non ditelo a voce alta –, sono quasi certo della risposta: “Ai peccati”. Ma – vi chiedo, rispondete – i peccati sono davvero il centro della Confessione? [“No!”] Non sento… [“No!”] Bravi! Dio vuole che ti avvicini a Lui pensando a te, ai tuoi peccati, o a Lui? Cosa vuole Dio? Che ti avvicini a Lui o ai tuoi peccati? Cosa vuole? Rispondete [“A lui!”] Più forte, che sono sordo… [“A Lui!”] Qual è il centro, i peccati o il Padre che perdona tutti i peccati? Il Padre. Non si va a confessarsi come dei castigati che devono umiliarsi, ma come dei figli che corrono a ricevere l’abbraccio del Padre. E il Padre ci risolleva in ogni situazione, ci perdona ogni peccato. Sentite bene questo: Dio perdona sempre! Avete capito? Dio perdona sempre!
Vi do un piccolo consiglio: dopo ogni Confessione, rimanete qualche istante a ricordare il perdono che avete ricevuto. Custodite quella pace nel cuore, quella libertà che provate dentro. Non i peccati, che non ci sono più, ma il perdono che Dio ti ha regalato, la carezza di Dio Padre. Quello custodite, non lasciatevelo rubare. E quando la volta dopo andate a confessarvi, ricordatelo: vado a ricevere ancora quell’abbraccio che mi ha fatto tanto bene. Non vado da un giudice a regolare i conti, vado da Gesù che mi ama e mi guarisce. In questo momento mi viene di dare un consiglio ai preti: io direi ai preti che si sentano al posto di Dio Padre che perdona sempre e abbraccia e accoglie. Diamo a Dio il primo posto nella Confessione. Se Dio, se Lui è il protagonista, tutto diventa bello e confessarsi diventa il Sacramento della gioia. Sì, della gioia: non della paura e del giudizio, ma della gioia. Ed è importante che i preti siano misericordiosi. Mai curiosi, mai inquisitori, per favore, ma che siano fratelli che donano il perdono del Padre, che siano fratelli che accompagnano in questo abbraccio del Padre.
Ma qualcuno potrebbe dire: “Io comunque mi vergogno, non riesco a superare la vergogna di andare a confessarmi”. Non è un problema, è una cosa buona! Vergognarsi, nella vita, alle volte fa bene. Se ti vergogni, vuol dire che non accetti quello che hai fatto. La vergogna è un buon segno, ma come ogni segno chiede di andare oltre. Non rimanere prigioniero della vergogna, perché Dio non si vergogna mai di te. Lui ti ama proprio lì, dove tu ti vergogni di te stesso. E ti ama sempre. Vi dico una cosa che non è nel maxischermo. Nella mia terra, quegli sfacciati che fanno di tutto male, li chiamiamo “senza-vergogna”.
E un ultimo dubbio: “Ma, Padre, io non riesco a perdonarmi, quindi neanche Dio potrà perdonarmi, perché cadrò sempre negli stessi peccati”. Ma – senti – Dio, quando si offende? Quando vai a chiedergli perdono? No, mai. Dio soffre quando noi pensiamo che non possa perdonarci, perché è come dirgli: “Sei debole nell’amore!”. Direi questo a Dio è brutto! Dirgli “sei debole nell’amore”. Invece Dio gioisce nel perdonarci, ogni volta. Quando ci rialza crede in noi come la prima volta, non si scoraggia. Siamo noi che ci scoraggiamo, Lui no. Non vede dei peccatori da etichettare, ma dei figli da amare. Non vede persone sbagliate, ma figli amati; magari feriti, e allora ha ancora più compassione e tenerezza. E ogni volta che ci confessiamo – non dimenticatelo mai – in Cielo si fa festa. Che sia così anche in terra!
Infine, Peter e Lenka, nella vita avete sperimentato la croce. Grazie per la vostra testimonianza. Avete chiesto come «incoraggiare i giovani a non temere di abbracciare la croce». Abbracciare: è un bel verbo! Abbracciare aiuta a vincere la paura. Quando veniamo abbracciati riacquistiamo fiducia in noi stessi e anche nella vita. Allora lasciamoci abbracciare da Gesù. Perché quando abbracciamo Gesù riabbracciamo la speranza. La croce non si può abbracciare da sola; il dolore non salva nessuno. È l’amore che trasforma il dolore. Quindi, è con Gesù che si abbraccia la croce, mai da soli! Se si abbraccia Gesù, rinasce la gioia. E la gioia di Gesù, nel dolore, si trasforma in pace. Cari giovani, care giovani, vi auguro questa gioia, più forte di ogni cosa. Vi auguro di portarla ai vostri amici. Non prediche, ma gioia. Portate gioia! Non parole, ma sorrisi, vicinanza fraterna. Vi ringrazio per avermi ascoltato e vi chiedo un’ultima cosa: non dimenticatevi di pregare per me. Ďakujem! [Grazie!]
In piedi, tutti, e preghiamo Dio che ci ama, preghiamo il Padre Nostro: “Padre nostro…” [in slovacco]
[Benedizione]
Guarda il video integrale
Dopo l’incontro con i giovani Papa Francesco ha lasciato lo stadio e ha raggiunto l’aeroporto di Košice.
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Vedi anche il post (all'interno i link a quelli precedenti)