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sabato 25 settembre 2021

I suicidi e l’altra faccia della pandemia - Raddoppiati i tentativi di suicidio tra adolescenti

I suicidi e l’altra faccia della pandemia

L'età più a rischio è quella delle transizioni, dei grandi cambiamenti, come quello del passaggio da media a superiori


Lunedì 13 settembre, il primo giorno di scuola in presenza dopo un anno e mezzo di pandemia, a Milano due quindicenni si sono tolti la vita e una ragazzina di 12 anni è stata ricoverata in Rianimazione, in gravissime condizioni, per un tentativo di suicidio.

La Procura di Milano ha aperto un’indagine a carico di ignoti con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Una delle due vittime, un ragazzino, si è gettato dal balcone di casa, al dodicesimo piano, lunedì pomeriggio. L’altra vittima, una ragazza di quindici anni, alle 7 del mattino si è buttata dal settimo piano del palazzo in cui viveva. È ricoverata gravissima all’ospedale di Niguarda un’altra ragazza, di dodici anni, che alle 8, prima di andare a scuola, si è lanciata dalla finestra della sua abitazione al quarto piano. Polizia e Procura dei Minori del tribunale di Milano stanno cercando di capire le motivazioni e di accertare le cause che possono avere provocato gesti così estremi.

Molti studi sulla pandemia e sulla fase di ritorno a una diversa normalità rispetto a quella che conoscevamo hanno rilevato che gli studenti soffrono di un elevato livello di stress e che sono conseguentemente aumentati i problemi emotivi e il numero di suicidi.

Le età più a rischio sono quelle delle transizioni, dei grandi cambiamenti, come quello del passaggio da media a superiori. La fine della dad e il ritorno a scuola comportano per i giovani grande incertezza e tante aspettative che, se deluse, possono andare a pesare su fragilità e condizioni difficili pre-esistenti. Inoltre, durante l’emergenza sanitaria e i lockdown, sono aumentati gli episodi di violenza domestica e si sono aggravate piaghe come il cyberbullismo, il revenge porn e altre condotte online lesive della personalità altrui. Non si sottovalutino queste emergenze che rappresentano l’altra faccia della pandemia.

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Pandemia di Covid e disagio mentale: 
raddoppiati i tentativi di suicidio tra adolescenti

La mancanza di relazioni non virtuali, l’assenza dalla scuola e una situazione di stress prolungato hanno inciso pesantemente su un equilibrio psicologico che, per alcuni, era precario. Nel secondo lockdown i ragazzi sono stati spesso soli, più che nel primo. Il ruolo dei genitori


La cronaca del primo giorno di scuola in Lombardia (il 13 settembre) ha restituito la tragica notizia di tre casi di suicidio tra ragazzini, con due 15enni morti e una 12enne gravissima. Solo tre giorni prima, il 10 settembre, si ricordava la «Giornata mondiale per la prevenzione al suicidio» con un dato allarmante in primo piano: con la pandemia si è registrato un raddoppio dei tentati suicidi proprio tra gli adolescenti.

Autolesionismo e tentati suicidi raddoppiati

Il suicidio costituisce la seconda causa di morte nei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni (la prima sono gli incidenti stradali) e l’autolesionismo colpisce in Europa circa 1 adolescente su 5. L’arrivo del Covid-19 e le relative restrizioni alla libertà, circolazione e didattica in presenza per i ragazzi hanno inciso pesantemente su un equilibrio psicologico che, per alcuni, era precario. Presso l’osservatorio dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù il numero delle consulenze specialistiche per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio è quasi raddoppiato, così come le ospedalizzazioni per tali motivi: passate dal 17% nel gennaio 2020 al 45% del totale nel gennaio 2021. Per questo, l’ospedale ha predisposto un «Servizio per la gestione dell’autolesionismo e la prevenzione del suicidio in età evolutiva» che si offre come Centro di riferimento, con lo scopo di prendere in carico rapidamente i bambini e gli adolescenti che giungono al Pronto Soccorso, avviando quanto prima un inquadramento diagnostico e un trattamento integrato farmacologico per il paziente e psicoterapeutico per l’intero nucleo familiare. Il Servizio del Bambino Gesù è integrato da una linea telefonica per le consulenze psicologiche urgenti, attiva tutti i giorni 24 ore su 24.

Ragazzi che si tagliano

«L’autolesionismo esiste da sempre tra i ragazzi — spiega Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù —: le statistiche ci dicono che almeno un 20% degli adolescenti in Italia e oltre il 25% nei Paesi del nord Europa fanno attività di autolesionismo, cioè si provocano danni corporali (anche non a scopo suicidario) perché questo comportamento, a loro dire, sarebbe in grado di “contenere” la loro angoscia interiore. È un fenomeno molto diffuso e sottovalutato, spesso associato a un disturbo mentale di tipo depressivo».

La solitudine

La pandemia ha peggiorato il fenomeno: al Bambino Gesù, nel mese di aprile 2020 il 61% delle consulenze neuropsichiatriche ha riguardato fenomeni di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio (rispetto al 36% dell’aprile 2019). A gennaio 2021, durante la seconda ondata pandemica, il 63% delle consulenze è stato effettuato per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio (rispetto al 39% del gennaio 2020). I comportamenti autolesivi (soprattutto lesioni da taglio) sono stati rilevati nel 52% dei ricoveri di gennaio 2021, in aumento rispetto al 29% dell’anno precedente.

«Questo periodo della pandemia si è portato dietro in generale uno stress individuale e collettivo che è durato moltissimo. I fattori di stress prolungati possono favorire la comparsa di disturbi mentali, anche quelli che stanno alla base di comportamenti autolesivi — illustra Vicari —. Non ci sono cause specifiche direttamente legate alla pandemia, ma, osservando le differenze tra il primo e il secondo lockdown, possiamo azzardare alcune ipotesi per spiegare l’aumento delle richieste di aiuto. Durante il primo lockdown abbiamo avuto una riduzione dei ricoveri e di accessi al pronto soccorso. Nel secondo lockdown abbiamo avuto un aumento degli stessi del 30%. Sicuramente nel primo lockdown ha giocato un ruolo il timore di andare in ospedale, ma non solo. Con il primo lockdown le famiglie sono rimaste chiuse in casa insieme: i genitori non andavano al lavoro e i ragazzi non andavano a scuola. Nel secondo lockdown i genitori sono tornati al lavoro, ma le scuole (ovviamente non tutte) sono rimaste chiuse. I ragazzi sono rimasti soli ed è quello che ci raccontano al Pronto Soccorso: ci manifestano la loro solitudine. Durante il secondo lockdown è venuta a mancare una rete di relazioni che consentisse di ammortizzare lo stress percepito così fortemente dagli adolescenti; relazioni positive e valide sia in famiglia, sia a scuola, che nel gruppo dei pari», dice l’esperto.

Non bastava chiamarsi ogni giorno al cellulare con gli amici?

«Le relazioni mediate dal cellulare non sono concrete e reali: i ragazzi non sono se stessi sui social, si abbelliscono, si “nascondono” — osserva Vicari —. I ragazzi imparano chi sono nel confronto reale con gli altri. Capiscono se sono simpatici, antipatici, altruisti o egoisti stando in mezzo agli altri, grazie ai commenti del gruppo dei pari. La relazione reale è fatta di comunicazioni non verbali, di manifestazioni corporali e queste si perdono nella relazione virtuale».

E le relazioni in DAD (Didattica A Distanza) con i professori?

«A scuola l’adulto non è soltanto, come nella DAD, il dispensatore di competenze, ma anche colui che stabilisce una relazione empatica con i ragazzi. Questo è mancato. È mancato il professore che la mattina ti vede con la faccia scura e ti chiede che cos’hai. La scuola è sempre più un’agenzia di collocamento per futuri disoccupati, cioè ci si preoccupa sempre più di promuovere competenze specifiche del mondo del lavoro piuttosto che il piacere di imparare, il gusto di conoscere le cose, la formazione dell’uomo e del cittadino. L’ambiente, però, è un modulatore fondamentale dei disturbi mentali», dichiara il professore.

In che senso?

«Nell 80% dei casi c’è una depressione o un disturbo dell’umore dietro le malattie mentali — chiarisce lo specialista —. In generale c’è una forte base genetica, una familiarità, che è il primo fattore di rischio, ma ci sono anche fattori di protezione, “modulatori” ambientali, come li chiamiamo noi, che possono favorire o meno la manifestazione del rischio biologico. Ad esempio, i traumi ripetuti nell’infanzia, l’incapacità e la difficoltà a costruire delle relazioni valide, la difficoltà a gestire le nostre emozioni: questi sono tutti i fattori di rischio che possono favorire la comparsa del disturbo mentale».

Come affronta lo stress un adolescente?

«In alcuni studi si dimostra che il modo in cui i ragazzi rispondono a uno stress è legato a come genitori vivono lo stress, cioè i genitori possono essere nei confronti di un minore contenitivi dell’ansia oppure no. Se i genitori sono contenitivi delle emozioni, cioè sono un supporto emotivo per i ragazzi, i ragazzi vivono molto meglio, se i genitori non lo sono, tutto si moltiplica, si amplifica», sostiene Vicari.

Quali sono i campanelli d’allarme?

«Sicuramente i cambiamenti. Un genitore si deve preoccupare se un ragazzino era solare, andava bene a scuola, aveva un sacco di amici, faceva attività sportiva, si godeva la vita e improvvisamente diventa cupo, triste, taciturno, non vuole più uscire di casa, non vede nessuno, non dorme, non mangia più. I cambiamenti che durano per mesi», spiega l’esperto.

Cosa dovrebbero fare (o non fare) i genitori?

«Come detto, possono amplificare o contenere il disagio dei ragazzi. Un genitore può essere un elemento che rinforza le capacità dei figli, oppure no. Ci sono genitori giudicanti o non giudicanti. Bisogna esserci, accettando l’idea che loro non vogliano parlarci, perché gli adolescenti sono così, devono viverci come una controparte, imparando chi sono grazie ai litigi con noi, è normale. E bisogna essere un modello per i figli, non fare da amici e confidenti. Questo richiede un grande equilibrio: i genitori per primi sono spaventati delle reazioni dei propri figli, tant’è che li accontentano in tutto; invece devono riscoprire il loro ruolo educativo», osserva lo specialista.

Quanto questo uso smodato dei cellulari contribuisce ai fattori di stress di cui abbiamo parlato?

«Non è lo strumento in sé, però ad esempio per spiegare il grande aumento disturbi mentali che stiamo osservando possiamo ipotizzare come concausa la deprivazione del sonno: molti ragazzi dormono meno, perdere ore di sonno aumenta l’irritabilità e si porta dietro una serie di fattori di rischio per i disturbi mentali», conclude Vicari.
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