NOTA PASTORALE
«Come può nascere un uomo quando è vecchio?» Gv 3, 4
Card. Matteo Maria Zuppi,
arcivescovo di Bologna
La Chiesa di Bologna nel cammino sinodale della Chiesa italiana. Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione. Vangelo-fraternità-mondo.
1. L’avvio del cammino sinodale
Carissimi, in occasione della loro ultima assemblea generale i Vescovi italiani, nel maggio 2021, hanno deciso di avviare un “cammino sinodale” della Chiesa che è in Italia. Negli ultimi anni se ne era parlato molto, a proposito e non, con atteggiamenti diversi: timore, fastidio, entusiasmo per la possibile e attesa soluzione dei principali problemi, paura di percorsi che complicano inutilmente il cammino. Hanno spinto a questa decisione alcuni interventi, a mano a mano sempre più chiari e decisi, di Papa Francesco, fino all’ultimo, proprio nel corso dell’Assembla della CEI, quando ha proposto «la necessità di un cammino sinodale “dall’alto in basso” e dal “basso in alto”, dalle piccole comunità, dalle piccole parrocchie. Questo ci chiederà pazienza, lavoro, far parlare la gente, che esca la saggezza del popolo di Dio». A braccio ha aggiunto: “Il protagonista del Sinodo deve essere invece lo Spirito Santo”
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4. Umiltà, disinteresse, beatitudine
Dai sentimenti di Cristo Gesù nascono alcuni sentimenti che il Papa indicava come decisivi per il nostro cammino: “l’umiltà, per liberarsi dall’ossessione di preservare la propria gloria e perseguire la gloria di Dio; il disinteresse, cioè cercare la felicità di chi ci sta accanto per non rinchiuderci in strutture che ci danno una falsa protezione e per potere seguire l’impulso dello Spirito Santo ed essere uomini che si donano secondo il Vangelo di Gesù; la beatitudine, perché il cristiano affronta il sacrificio quotidiano di un lavoro svolto per amore e lo affronta per amore”.
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7. Una comunità di amore
Molti sono stati colpiti dall’espressione: “cristianesimo affettivo”. Questa è l’eredità dei mesi di pandemia: un cristianesimo che si fa affetto per le persone, vissuto come cura, partecipazione, rapporto personale, senso caldo di responsabilità. È il grande dono che abbiamo vissuto in questi mesi di tanta solitudine e di forzata distanza. La Chiesa è seme di fraternità. Cipriano di Cartagine chiama la Chiesa “Fraternità”, essa crea la “cultura dell’incontro”, ricompone il tessuto umano lacerato. “Significa – dice la Fratelli
8. La lezione della pandemia
In questi mesi abbiamo scoperto che siamo tutti fragili, tutti connessi gli uni agli altri. Questa connessione, però, deve diventare di fatto una scelta spirituale e sociale, una fraternità “effettiva” che deve diventare “affettiva”, piena di compassione, che aiuta l’io a trovare se stesso nell’incontro con l’altro. Fratelli tutti è la vera risposta alla pandemia. Per questo non possiamo mai rassegnarci al dolore degli altri, che la tempesta della pandemia ha rivelato e generato. Il mondo anestetizza la sofferenza, la rimuove, fugge dal senso del limite, dalla vulnerabilità, dalla morte. Il benessere non sopporta questa fragilità e la vuole cancellare: ci sentiamo traditi, a volte la sentiamo come fosse una vergogna da nascondere, diventa ossessione e isolamento, invece di moltiplicare la vicinanza e la solidarietà. La Parola che ascoltiamo, l’Eucarestia, la preghiera, ci rendono partecipi al dolore degli altri. Ci ha insegnato anche che i nostri comportamenti incidono su tutti, che siamo responsabili della nostra libertà.
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45. Gesù ti ama
Nicodemo
Nicodemo scopre quanto Dio ci ama. Semplicemente. E forse è proprio questo che dobbiamo fare sentire ai tanti Nicodemo che incontriamo e incontreremo. Scriveva Paolo VI proprio a commento dell’episodio di Nicodemo: “Noi siamo amati, siamo benvoluti, siamo pensati, siamo voluti da Dio. Dio veglia su di noi più che una madre non vegli sul suo bambino. E quando abbiamo voluto dare un nome a questo Essere sconfinato, infinito e tremendamente misterioso, Gesù ci ha insegnato a invocarlo in piena confidenza, in amore perfetto: chiamatelo Padre. Dio ci è padre. Nel mondo, nell’umanità, nella storia. Dio ci vuol bene. Dio pensa a noi, ha l’occhio suo sempre aperto sopra di noi e sta scrutando la nostra risposta. Dio ci ama, ci compatisce, ci perdona, ci consola e niente lascia cadere delle nostre parole, dei nostri gemiti, delle nostre invocazioni, delle nostre lacrime, delle nostre opere buone. Vuole che la nostra vita si riassuma in un atto d’amore. E il misterioso contatto tra Dio e l’uomo non si attua se non tramite Cristo. Occorreva un ponte tra noi e Dio, un intermediario che ci portasse alla pienezza cui tende la nostra vita, il nostro destino eterno. È il mistero della gioia e della salvezza qual è la Redenzione, che avrà la sua festa più solenne nella Santa Pasqua” (Udienza generale, 15 marzo 1967).
Nicodemo si interroga sul perché del suo essere al mondo e trova l’amore senza fine di Dio. “Abbiamo la fortuna di chiamarci figli di Dio e di legare la nostra misera vita alla sua esistenza infinita, come piccole scintille che devono finire nel sole, nella luce del Signore. Dio ci ama! Ricordiamo questa verità e saremo felici, benedetti, salvati per sempre”. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». I verbi “amare” e “dare” indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, ha varcato la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte.
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Presentazione Nota Pastorale
11 settembre 2021