Liliana Segre, dalla Shoah all’Afghanistan:
«Nei grandi drammi della storia la forza delle donne»
I 91 anni della senatrice e la forza di testimoniare
«Eravamo ridotte a scheletri, donne rapate, umiliate, offese. Eppure, una gamba davanti all’altra, in mezzo alla neve, abbiamo camminato, obbligate a percorrere chilometri, mentre quelle di noi che cadevano venivano immediatamente uccise». Liliana Segre, senatrice a vita, ricorda, nel giorno del novantunesimo compleanno, uno dei momenti più tragici della sua esperienza di sopravvissuta alla Shoah: la cosiddetta «marcia della morte», quando nel gennaio 1945 i nazisti in fuga, via via che gli Alleati si avvicinavano, trasferirono forzatamente i prigionieri di Auschwitz verso altri lager all’interno della Germania. Fu allora che, oltre all’orrore, al male assoluto, Liliana Segre vide anche la «forza dell’impossibile». La forza che, dice, «viene quando non si vuole morire, quando c’è un filo di speranza che ti tiene attaccata alla vita, mentre tutto il mondo intorno a te vuole che tu muoia».
L’incontro con la senatrice è il primo in streaming del Tempo delle Donne 2021, il cui tema è «Un altro genere di forza». Cominciare l’ottava edizione della rassegna proprio con Liliana Segre, nel giorno del suo compleanno, è il nostro modo di inviarle gli auguri e di farle arrivare il nostro grande grazie. «I drammi della storia — osserva nell’intervista — hanno mostrato la forza delle donne. Ci sono esempi proprio in questi giorni, che riempiono d’orgoglio una vecchia donna come me verso le altre donne». Cita in primo luogo «le afghane che vorrebbero continuare a studiare» e «la mamma di Kabul, che ha un tale amore per la vita di suo figlio da metterlo in mano a uno sconosciuto pur di salvarlo». La commuovono anche «le ragazze delle Paralimpiadi che corrono, corrono. Corrono verso la vita, e lo insegnano a tutti i giovani italiani e del mondo». I giovani, che sono sempre il primo pensiero della senatrice e davanti ai quali è stata una testimone in centinaia di scuole, parlando a migliaia di studenti. Fino a che, a novant’anni, la sofferenza e la fatica erano troppo forti e ha deciso di smettere. L’ultimo discorso pubblico lo ha tenuto il 9 ottobre 2020 a Rondine (Arezzo). Con il «Corriere», lo ha poi raccolto nel volume «Ho scelto la vita» (Solferino; proventi dei diritti d’autore interamente devoluti in beneficenza). Ma diventare una testimone, «trovare le parole», ha richiesto «un percorso lunghissimo».
Decisiva, racconta Liliana Segre, fu la nascita dei nipoti: «Mi fece scoprire un mondo nuovo in cui io, che dovevo morire, non solo avevo generato tre figli ma diventavo anche nonna. Questa emozione lavorò tantissimo dentro di me, mi fece capire che non avevo fatto il mio dovere verso i milioni di morti senza tomba e dei martiri della mia famiglia, uccisi per la solo colpa d’essere nati». E forte la senatrice deve esserlo ancora oggi, vittima delle minacce e dell’odio social, tanto che nel novembre 2019 le è stata assegnata la scorta. «Sono minacce spesso anonime, di chi si nasconde — osserva —, io normalmente cerco di ignorarle». E intanto la scorta si è trasformata in famiglia: «Questi meravigliosi carabinieri praticamente vivono con me. E io, che mi sento così profondamente nonna, ora ho altri quattro nipoti». Per la sua storia, per quello che ancora vive, Liliana Segre ha accettato lo scorso aprile l’incarico di presidente della Commissione contro intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, nata su sua iniziativa. «Quando sono entrata in Senato — racconta —, così tardi nella mia vita, mi sono chiesta che cosa avrei potuto dare. Ho pensato, come ultimo atto, a questa Commissione, perché dalle parole io l’ho visto come si possa passare ai fatti. E chi è bersaglio di odio, di solito è solo. Non mi illudo, però io ce l’avrò messa tutta. È la forza delle donne».
(fonte: Corriere della Sera, articolo di Alessia Rastelli 12/09/2021)