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venerdì 17 maggio 2019

Don Mattia Ferrari: Io, prete sulla nave che salva i migranti - Via terra o via mare l'unica missione è essere custodi, difensori e promotori della fraternità.


"IO, PRETE SULLA NAVE CHE SALVA I MIGRANTI"

Il diario di bordo di due settimane a bordo della Mare Jonio di don Mattia Ferrari. "Da dove venite?Dall'inferno, ci rispondevano"


«Quando hanno ripreso energia fisica e mentale hanno cominciato a pregare, a cantare, a ballare. È stata una sorta di celebrazione della vita e della famiglia umana unita nella fraternità universale». Don Mattia Ferrari porta ancora dentro l’emozione delle due settimane passate al largo sulla Mare Jonio, la nave di Mediterranea Saving Human e di quella notte, tra il 9 e il 10 maggio, in cui hanno avvistato un gommone in balie delle onde. «Erano migranti disperati, in mare da 13 ore, con il motore in avaria mentre imbarcavano acqua. Ci siamo avvicinati e quando Maso Notarianni, il nostro incaricato di approcciare i migranti, ha chiesto loro da dove venivano ci hanno risposto: “From Hell, dall’inferno”».

Don Mattia, 25 anni, viceparroco di San Michele Arcangelo, a Nonantola, non era mai stato su una nave. Perché è partito?

«Luca Casarini, uno dei capi missione, aveva chiesto la possibilità di avere a bordo un sacerdote all’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice. Un altro sacerdote a cui era stato chiesto, in quel periodo non poteva, e allora hanno chiesto a me, visto che mi conoscevano attraverso Ya Basta, una delle associazioni promotrici di Mediterranea. Ho detto subito di sì anche per l’amicizia con molti migranti e richiedenti asilo. Ho ascoltato, a Modena e Bologna i loro racconti sulla Libia, sulle torture che subiscono, sui loro amici o parenti morti in mezzo al mare. Mi sono sentito di dover rispondere a questo invito».

È stata la prima esperienza forte che ha vissuto?

«A questo livello sì. Da seminarista ho fatto diverse esperienze anche con le vittime di tratta e con vari tipi di marginalità molto forte, ma arrivare lì, in mezzo al mare a contatto diretto con chi sta letteralmente perdendo la vita ed è stato salvato, è stato davvero qualcosa di molto molto forte».

Ci racconta com’è andata?

«Abbiamo avvistato questo gommone alla deriva che stava affondando. Ci siamo avvicinati e li abbiamo tratti in salvo. Erano tutti molto scioccati, disidratati. Solo dopo qualche ora hanno ripreso le energie ed è nata una festa, una festa della vita. C’erano insieme questi migranti dal Bangladesh, dal Sudan, dal Ciad, dalla Nigeria, dal Mali, dalla Costa d’avorio, da tantissimi Paesi diversi, erano cristiani, musulmani. E c’era l’equipaggio, anche questo estremamente eterogeneo, si andava dal prete agli attivisti dei centri sociali passando per volontari arruolati da tutta Italia, medici, giornalisti, infermieri. Però eravamo insieme, quella notte, uniti nella celebrazione della vita e della famiglia umana. È stata una delle esperienze più forti nella vita di tutti noi che eravamo presenti».

E poi vi siete avvicinati alle coste italiane?

«Abbiamo comunicato con il centro di coordinamento di Roma che ci ha risposto di sentire la zona sar libica. Molto serenamente abbiamo risposto che per noi non era possibile perché la Libia non è un posto sicuro e coordinarsi con la sar libica non era pensabile. Fra l’altro, ripeto, quando abbiamo chiesto ai migranti da dove venivano ci hanno detto “dall’inferno”, cioè dalla Libia e quindi per noi era assolutamente inammissibile riportarli lì. Abbiamo fatto rotta verso il porto sicuro più vicino che era Lampedusa e siamo arrivati lì».

Come è stato vissuto il sequestro della nave?

«Con serenità. Anche perché il sequestro preventivo della Guardia di Finanza non è stato convalidato dalla procura di Agrigento. Adesso è in corso un sequestro probatorio da parte della procura, che però è limitato a qualche giorno. Posso testimoniare che, da parte dei miei compagni di equipaggio, sui sequestri c’è serenità perché loro sono consapevoli di aver seguito le leggi internazionali, la Costituzione, le leggi del mare e quella della nostra comune umanità. Quello che invece li ha molto preoccupati e tenuti svegli fino a notte alta è stata la notizia di altri gommoni e barconi in avaria nella zona sar maltese, con la mare Jonio ferma e nessuno che interveniva. Sul resto invece hanno quella serenità che deriva dal sapersi perfettamente a posto con la propria coscienza».

Tornerà in mare?

«Al momento no, perché ho ripreso la mia missione a terra, ma, in realtà, si tratta della stessa missione in mare. In acqua salviamo le vite e denunciamo le violazioni dei diritti umani, a terra costruiamo fraternità e giustizia. Mediterranea dice: “la missione via mare e la missione via terra, un’unica grande missione”. Ed è proprio così».
(fonte: Avvenire, articolo di Annachiara Valle 16/05/2019)

"Via terra o via mare l'unica missione è 
essere custodi, difensori e promotori della fraternità."

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Don Mattia Ferrari ospite a "Che tempo che fa" anche il 5 maggio scorso con il sindacalista Aboubakar Soumahoro (in tutte le librerie con “Umanità in rivolta. La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità.”). Interviene inoltre lo scrittore Roberto Saviano. 

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