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venerdì 10 maggio 2019

Papa Francesco incontra rom e sinti: "Quando leggo sul giornale qualcosa di brutto, vi dico la verità, soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro, perché questa non è civiltà. L’amore è la civiltà, perciò avanti con l’amore."


INCONTRO DI PREGHIERA CON IL POPOLO ROM E SINTI
Sala Regia
Giovedì, 9 maggio 2019


In un momento particolarmente difficile per i rom e sinti, con gli avvenimenti che si stanno verificando a Roma dove si sono registrate proteste per l’assegnazione di una casa popolare ad una famiglia che attendeva da 15 anni, Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano, nella Sala Regia, per un incontro di preghiera, 500 rappresentanti del mondo rom e sinti promosso dalla Fondazione Migrantes. 

Il Papa appena arrivato nella Sala Regia ha salutato i bambini presenti. E’ rimasto molto colpito dalla testimonianze che hanno aperto l’incontro, promosso dalla Fondazione Migrantes, in cui erano presenti, fra gli altri, oltre al card. Bassetti, il presidente della Commissione Cei per le migrazioni e della Fondazione Migrantes mons. Guerino Di Tora e il neo arcivescovo di Siena-Val d’Elsa-Montalcino e segretario della Commissione Cei per le migrazioni mons. Paolo Lojudice. 











PAROLE DI PAPA FRANCESCO

Delle cose che ho sentito, tante mi hanno toccato il cuore, ma prendiamone una per incominciare, poi arriveranno le altre.

Questa mamma che ha parlato, mi ha toccato il cuore quando ha detto che lei “leggeva”, “vedeva” la speranza negli occhi dei figli. Ne ha quattro, mi ha detto, e questo va bene, questi sono due. La speranza può deludere se non è vera speranza, ma quando la speranza è concreta, come in questo caso, negli occhi dei figli, mai delude, mai delude!

Quando la speranza è concreta, nel Dio vero, mai delude. Le mamme che leggono la speranza negli occhi dei figli lottano tutti i giorni per la concretezza, non per le cose astratte, no: crescere un figlio, dargli da mangiare, educarlo, inserirlo nella società… Sono cose concrete. E anche le mamme – oserei dire – sono speranza. Una donna che mette al mondo un figlio è speranza, semina speranza, è capace di fare strada, di creare orizzonti, di dare speranza.

In ambedue le testimonianze c’era sempre il dolore amaro della separazione: una cosa che si sente sulla pelle, non con le orecchie. Ti mettono da parte, ti dicono: “Sì, sì, tu passi, ma stai lì, non toccarmi”. [Si rivolge al giovane prete che ha fatto la testimonianza] In seminario, ti domandavano se chiedevi l’elemosina, se andavi a Termini... La società vive delle favole, delle cose… “No, Padre, quella gente è peccatrice!...”. E tu, non sei peccatore? Tutti noi lo siamo, tutti. Tutti facciamo sbagli nella vita, ma io non posso lavarmene le mani, guardando i veri o finti peccati altrui. Io devo guardare i miei peccati, e se l’altro è in peccato, fa una strada sbagliata, avvicinarmi e dargli la mano per aiutarlo ad uscire.

Una cosa che a me fa arrabbiare è che sì siamo abituati a parlare della gente con gli aggettivi. Non diciamo: “Questa è una persona, questa è una mamma, questo è un giovane prete”, ma: “Questo è così, questo è così…”. Mettiamo l’aggettivo. E questo distrugge, perché non lascia che emerga la persona. Questa è una persona, questa è un’altra persona, questa è un’altra persona. I bambini sono persone. Tutti. Non possiamo dire: sono così, sono brutti, sono buoni, sono cattivi. L’aggettivo è una delle cose che crea distanze tra la mente e il cuore, come ha detto il Cardinale [Bassetti]. È questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, un problema sociale, che è un problema culturale, un problema di lingua: sono cose secondarie. Il problema è un problema di distanza tra la mente e il cuore. Questo: è un problema di distanza. “Sì, sì, tu sei una persona, ma lontano da me, lontano dal mio cuore”. I diritti sociali, i servizi sanitari: “Sì, sì, ma faccia la coda… No, prima questo, poi questo”. È vero, ci sono cittadini di seconda classe, è vero. Ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente: questi sono di seconda classe, perché non sanno abbracciare. Sempre con l’aggettivo buttano fuori, scartano, e vivono scartando, vivono con la scopa in mano buttando fuori gli altri, o con il chiacchiericcio o con altre cose. Invece la vera strada è quella della fratellanza: “Vieni, poi parliamo, ma vieni, la porta è aperta”. E tutti dobbiamo collaborare.

Voi potete avere un pericolo… – tutti abbiamo sempre un pericolo – una debolezza, diciamo così, la debolezza forse di lasciar crescere il rancore. Si capisce, è umano. Ma vi chiedo, per favore, il cuore più grande, più largo ancora: niente rancore. E andare avanti con la dignità: la dignità della famiglia, la dignità del lavoro, la dignità di guadagnarsi il pane di ogni giorno – è questo che ti fa andare avanti – e la dignità della preghiera. Sempre guardando avanti. E quando viene il rancore, lascia perdere, poi la storia ci farà giustizia. Perché il rancore fa ammalare tutto: fa ammalare il cuore, la testa, tutto. Fa ammalare la famiglia, e non va bene, perché il rancore ti porta alla vendetta: “Tu fai così…”. Ma la vendetta io credo che non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta. Voi mi capite bene, no? Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere nell’omertà: questo è un gruppo di gente delinquente; non la gente che vuole lavorare.

Voi andate avanti con la dignità, con il lavoro… E quando si vedono le difficoltà, guardate in alto e troverete che lì ci stanno guardando. Ti guarda. C’è Uno che ti guarda prima, che ti vuole bene, Uno che ha dovuto vivere ai margini, da bambino, per salvare la vita, nascosto, profugo: Uno che ha sofferto per te, che ha dato la vita sulla croce. È Uno, come abbiamo sentito nella Lettura che tu hai fatto, che va cercando te per consolarti e incoraggiarti ad andare avanti. Per questo vi dico: niente distanza; a voi e a tutti: la mente con il cuore. Niente aggettivi, no: tutte persone, ognuno meriterà il proprio aggettivo, ma non aggettivi generali, secondo la vita che fai. Abbiamo sentito un bel nome, che include le mamme; è un bel nome questo: “mamma”. È una cosa bella.

Vi ringrazio tanto, prego per voi, vi sono vicino. E quando leggo sul giornale qualcosa di brutto, vi dico la verità, soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro, perché questa non è civiltà, non è civiltà. L’amore è la civiltà, perciò avanti con l’amore.

Il Signore vi benedica. E pregate per me!

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Al termine dell'incontro Papa Francesco ha voluto salutare tutti personalmente riservando per ognuno una parola, una carezza, un abbraccio, una benedizione...

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L’incontro è proseguito nel pomeriggio, con un momento di festa e testimonianza al santuario del Divino amore dove si trova l’unica chiesa a cielo aperto intitolata al beato Zeffirino Giménez Malla, detto “El Pelé”, il primo martire gitano beatificato per volontà di Papa Giovanni Paolo II il 4 maggio del 1997. Altra beata gitana è Emilia Fernandez Rodriguez dichiarata beata il 25 marzo 2017, unica donna di etnia rom elevata all’onore degli altari.

In serata papa Francesco ha salutato nella sacrestia della Basilica di San Giovanni in Laterano, la famiglia rom del quartiere romano di Casal Bruciato, vittima - nei giorni scorsi - di minacce e insulti razzisti. "Con questo gesto - scrive il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana, Alessandro Girotti - il Papa ha voluto esprimere vicinanza e solidarietà a questa famiglia e la più netta condanna di ogni forma di odio e violenza".