Sulla Mare Jonio, la nave che salva i migranti,
ora, insieme all'equipaggio della Mediterranea,
c'è anche un giovane sacerdote.
La Chiesa sale a bordo della Mare Jonio che salva i migranti.
"Il Vangelo è qui"
"Il Vangelo è qui"
Sulla nave italiana si è imbarcato anche don Mattia Ferrari, parroco a Nonantola. Con il permesso di due arcivescovi. Dirà messa ogni giorno. "Sono il cappellano di bordo, il mio compito è rappresentare vicinanza ai ragazzi di Mediterranea che hanno un gran rispetto per Papa Francesco"
Don Mattia Ferrari, 25 anni, il prete che dice messa a bordo della Mare Jonio
C’è anche la Chiesa cattolica a bordo della nave italiana che salva i migranti. E non è una metafora spirituale. Sulla Mare Jonio, infatti, si è imbarcato don Mattia Ferrari, giovane vicario parrocchiale di Nonantola, nella diocesi di Modena. Venticinque anni, il seminario iniziato subito dopo il diploma al liceo classico, la prima messa un anno fa: un prete tra mangiapreti, a voler sintetizzare. “In effetti qui sono tutti atei e agnostici”, dice don Mattia, sorridendo. “Ma c’è un bel clima di fratellanza, i ragazzi di Mediterranea hanno un gran rispetto per Papa Francesco. E un fatto è certo: il Vangelo, oggi, passa anche dal Mediterraneo”.
Siamo alla terza missione del 2019, la sesta da quando un gruppo di associazioni (Arci, Ya Basta Bologna), l’ong Sea-Watch, il magazine online I Diavoli e l’impresa sociale Moltivolti di Palermo hanno dato vita alla piattaforma Mediterranea. Il vecchio rimorchiatore noleggiato e riadattato per il salvataggio dei naufraghi è attraccato al molo di Marsala e sta aspettando condizioni di mare favorevoli per tornare nella zona Search and Rescue della Libia: un’area assai sguarnita già prima della guerra civile, ma che ora è praticamente deserta perché le motovedette della guardia costiera libica sono bloccate al porto di Tripoli.
A questo giro sulla Mare Jonio ci sarà don Mattia che dirà messa ogni giorno. La prima l’ha già celebrata, due giorni fa, davanti a un altare improvvisato all'interno dei container bianchi a poppa. “Nello zaino, oltre a qualche ricambio, mi sono portato i vangeli, il messale e il rosario”, racconta il sacerdote. Pare che sulla “nave dei centri sociali”, come la definiscono a spregio i leghisti, domenica scorsa si siano giocati “a pari e dispari” i compiti della funzione: a qualcuno le letture, a qualcun altro il salmo e la preghiera dei fedeli. E c’erano tutti, in quel container: il capo missione Beppe Caccia, la responsabile del team di salvataggio, il capitano, l’equipaggio. “Non pretendo certo che tutti i giorni ci sia questa partecipazione. In navigazione hanno molto da fare. E poi dipende da come sarà il mare… devo azzeccare il momento giusto, quando non si balla troppo”.
Ma don Mattia non si è imbarcato col solo scopo di dire messe in mezzo al Mediterraneo. “Sono il cappellano di bordo, il mio compito è rappresentare la vicinanza della Chiesa sia a questi ragazzi che rischiano la vita per qualcosa in cui credono, sia ai migranti che arrivano dalla Libia. Siamo le prime persone che vedranno. Io voglio portare amicizia, sostegno spirituale e consolazione”.
Ora, la sua presenza sulla Mare Jonio non è una storia di “colore”, merita una riflessione più approfondita. Perché per essere lì rispettando le procedure canoniche, don Mattia ha chiesto e ottenuto il permesso di due arcivescovi (quello di Modena Elio Castellucci e quello di Palermo, Corrado Lorefice, noto per essere molto vicino a Bergoglio), nonché il benestare della Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana. Per dire che non siamo di fronte a una iniziativa personale di un parroco di provincia, ma a una scelta appoggiata da un pezzo rappresentativo delle gerarchie vaticane. Politicamente, non è un dettaglio.
Don Mattia Ferrari, inoltre, non lo si può nemmeno ascrivere alla categoria “prete barricadero”: è composto e ordinato nella sua camicia clergy, ben pettinato, porta occhiali da sole Rayban, gentile nel modo di fare. Ha fatto proprie le parole di Papa Francesco quando, durante l'ultima via Crucis, ha ringraziato “coloro che con ruoli diversi hanno rischiato la vita per salvare quella di tante famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità”. Un motivo in più per meditare di fare qualcosa di concreto per i migranti che tentano la traversata.
Così racconta la sua scelta: “La richiesta di avere un prete a bordo è venuta dai ragazzi dell’equipaggio: lo aveva chiesto Luca Casarini (capo delle precedenti missioni di Mare Jonio, ndr) nell’incontro con l’arcivescovo di Palermo l’8 aprile scorso, e Lorefice aveva accolto molto positivamente l’idea. Con i ragazzi di Tpo e Labas di Bologna, che tramite l’associazione Ya Basta fanno parte di Mediterranea, siamo amici da tempo, perché due anni fa accolsero Yusupha, un ragazzo migrante che dormiva in stazione a Bologna e per il quale non riuscivamo a trovare posto, nonostante avessimo bussato a tantissime porte”. Un'amicizia nata grazie al comune sentimento di fratellanza con i migranti.
(fonte: La Repubblica, articolo di di FABIO TONACCI 30/04/2019)
Migranti. «Io, don Mattia. A bordo con chi salva le vite»
C’è anche un sacerdote sulla Mare Jonio, che sta per riprendere i soccorsi in mare: «Gesù è vicino ai ragazzi affamati di pace e giustizia». La Messa domenicale sulla nave di Mediterranea
Al momento del Padre Nostro, a braccia levate stando attenti a non perdere l’equilibrio, don Mattia s’è quasi commosso. Sulla Mare Jonio, per la celebrazione della domenica, c’erano tutti i ragazzi di Mediterranea. Stanno per riprendere il largo. E con loro stavolta c’è un prete.
Dopo sei mesi di missioni, testimonianze, i primi salvataggi, le denunce in tribunale, gli attacchi della politica, il sostegno da Comuni, associazioni, movimenti e anche parrocchie di tutta Italia, quelli di Mediterranea se lo dicevano ogni volta che «su quella nave manca qualcosa». Certo, nella sacca tengono la 'Laudato Sì' di Papa Francesco, lo stanzino per i pasti è tappezzato di immagini sacre. Però, «manca qualcosa», dicevano.
Indossati i paramenti e disposto l’altare tra i tralicci del vecchio rimorchiatore – nella sua seconda vita diventato un brigantino alla ricerca delle vite alla deriva – quando don Mattia ha chiesto chi fosse disposto a servire Messa, lì sul vascello che si vorrebbe liquidare come «nave dei centri sociali», hanno dovuto fare a pari e dispari. Beppe, Roberto, Fulvia, il comandante e tutti gli altri volontari, si sono divisi i compiti: le letture, il salmo, la preghiera dei fedeli. Allora, dopo il segno del cristiano, hanno capito che adesso a Mare Jonio non manca più nulla.
Sacerdote da meno di un anno, il venticinquenne don Mattia Ferrari insieme alla diocesi di Modena e a quella vicina di Bologna spesso si è trovato a mettere insieme quelli dell’oratorio e gli attivisti di associazioni come Ya Basta e Labas. Un’amicizia nata per strada, tra i disperati. «Due anni fa – racconta don Mattia – accolsero Yusupha, un ragazzo migrante che dormiva in stazione a Bologna e per il quale non riuscivamo a trovare posto. Bussammo alla loro porta, e loro accolsero Yusupha con gioia. E grazie a loro Yusupha, dopo anni vissuti nell’abbandono, è rinato. Ha ripreso a vivere con dignità, perché si è sentito amato». È nata così la loro amicizia anche con l’arcivescovo Matteo Zuppi.
Don Mattia è proprio come ti immagini che sia un prete giovane. Chi vorrà appiccicargli addosso il cliché del don barricadero, non né troverà traccia. Fresco di barba, impeccabile in jeans e camicia clergy, i modi garbati del seminarista docile. Difficile, però, non leggergli nello sguardo la vocazione, e nelle parole una determinazione che sembra non avere molto a che vedere con tanti suoi coetanei. «Sono qui – dice – per vivere il Vangelo di Gesù accanto a questi ragazzi affamati di giustizia e operatori di pace. Sono qui per portare la vicinanza della Chiesa di Gesù a questi ragazzi che rischiano la loro stessa vita per salvare quella del prossimo, e ai migranti che casomai verranno salvati durante la missione».
Don Mattia Ferrari con un membro dell'equipaggio della nave Mare Jonio (Mediterranea)
In seminario c’è entrato a 18 anni, appena dopo il diploma al liceo classico di Modena. La prima Messa l’ha celebrata meno di un anno fa, il 25 maggio. Una cosa, il futuro viceparroco, l’aveva chiara: non sarebbe stato un tipo da sacrestia. Perciò, a bordo di Mare Jonio, don Mattia sentiva che doveva esserci. Specie dopo la Via Crucis con Papa Francesco. Se lo ripete e lo ripete a bordo: «Mentre nel mondo si vanno alzando muri e barriere, vogliamo ricordare e ringraziare – aveva detto Francesco – coloro che con ruoli diversi, in questi ultimi mesi, hanno rischiato la loro stessa vita, particolarmente nel Mar Mediterraneo, per salvare quella di tante famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità. Esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù». Essere a bordo delle navi di soccorso «fa parte della nostra missione», osserva don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes della Cei. «Nel volto dei migranti – aggiunge – noi vediamo il Cristo che ci viene incontro e non possiamo non essere lì dove questi fratelli ci tendono le braccia».
Il sacerdote mentre distribuisce l'Eucarestia al termine della Messa (Mediterranea)
Durante la Messa domenicale don Mattia ha perciò voluto ringraziare papa Francesco per la testimonianza, e poi il suo vescovo, Erio Castellucci, e i presuli di Bologna e Palermo, Zuppi e Lorefice, che lo hanno sostenuto in questa scelta insieme ai suoi parrocchiani di Modena che con i suoi confratelli, don Alberto Zironi e don Riccardo Fangarezzi, gli hanno consentito di salpare. «Mi sento di benedire e incoraggiare le persone di buona volontà che sono su quella nave – dice l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice – ed è un bene che ci sia un sacerdote con loro, perché i valori del Vangelo e gli uomini di buona volontà si incontrano sempre».
Don Mattia celebra la Messa sulla nave Jonio
(fonte: Avvenire, articolo di Nello Scavo 30 aprile 2019)