VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN BULGARIA E MACEDONIA DEL NORD
IN BULGARIA E MACEDONIA DEL NORD
5-7 MAGGIO 2019
Martedì, 7 maggio 2019
SKOPJE
16:00 Incontro Ecumenico e Interreligioso con i giovani nel Centro Pastorale
17:00 Incontro con sacerdoti, le loro famiglie e religiosi nella Cattedrale
18:15 Cerimonia di congedo all’Aeroporto Internazionale di Skopje
18:30 Partenza dell’Aereo Papale per Roma/Ciampino
INCONTRO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO CON I GIOVANI
Centro Pastorale (Skopje)
Il volto di Francesco, giunto al penultimo appuntamento del viaggio apostolico in Macedonia del Nord, è visibilmente stanco, ma si riaccende mentre parla con circa 1.500 giovani del Paese balcanico di tutte le confessioni cristiane e di altre religioni.
L’incontro avviene nel Centro pastorale di Skopje dove gruppi di ragazzi si esibiscono in canti e danze. Il Papa applaude e sorride, poi invita un bambino seduto in prima fila a raggiungerlo per abbracciarlo e saluta con la mano gli altri ragazzi. Quindi ascolta con attenzione le tre testimonianze.
La prima è quella di Dragan e Marija, cattolico lui, ortodossa lei, si sono sposati dopo nove anni di convivenza incoraggiati dalle parole del Papa durante la visita del 2015 a Sarajevo. Segue poi la testimonianza di Bozanka, greco-cattolica,studentessa di medicina, e di Liridona Suma, musulmana, che sogna «un mondo in cui regnano rapporti sinceri e aperti tra i singoli e le comunità, tra i popoli e tra le fedi». «Forse sogno troppo? Possiamo lavorare per il bene comune insieme noi giovani musulmani e cristiani?», domanda la ragazza.
Un quesito che colpisce nel vivo il Pontefice che ricorda come lo stesso desiderio ha animato la stesura e la firma del “Documento sulla fratellanza umana”, siglato ad Abu Dhabi col grande imam di Al-Azhar
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari amici,
è sempre motivo di gioia e di speranza poter avere questi incontri. Grazie di averlo reso possibile e di regalarmi questa opportunità. Grazie di cuore per la vostra danza, tanto bella, e le vostre domande. Io conoscevo le domande: le avevo ricevute e le conoscevo, e ho preparato alcuni punti per riflettere con voi su queste domande.
Comincio dall’ultima (come diceva il Signore, gli ultimi saranno i primi). Liridona, dopo aver condiviso con noi le tue aspirazioni, mi chiedevi: «Sogno troppo?». Una domanda molto bella, a cui mi piacerebbe poter rispondere insieme. Per voi, Liridona sogna troppo?
Vorrei dirvi: sognare non è mai troppo. Uno dei principali problemi di oggi e di tanti giovani è che hanno perso la capacità di sognare. Né molto né poco, non sognano. E quando una persona non sogna, quando un giovane non sogna questo spazio viene occupato dal lamento e dalla rassegnazione o dalla tristezza. «Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”! […] È un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata. Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è bene darsi per vinti» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 141). Per questo, cara Liridona, cari amici, mai e poi mai si sogna troppo. Provate a pensare ai vostri sogni più grandi, a quelli come il sogno di Liridona – ve lo ricordate? –: dare speranza a un mondo stanco, insieme agli altri, cristiani e musulmani. Senza dubbio è un sogno molto bello. Lei non ha pensato a cose piccole, a cose “rasoterra”, ma ha sognato alla grande. E voi giovani dovete sognare alla grande!
Qualche mese fa, con un amico, il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, avevamo anche noi un sogno molto simile al tuo che ci ha portato a volerci impegnare e a firmare insieme un documento che dice che la fede deve portare noi credenti a vedere negli altri dei fratelli che dobbiamo sostenere e amare senza lasciarci manipolare da interessi meschini (cfr Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019). Noi siamo grandi, non è un’età per sognare. Ma sognate, e sognate in grande!
E questo mi fa pensare a quello che ci diceva Bozanka: che a voi giovani piacciono le avventure. E sono contento che sia così, perché è il modo bello di essere giovani: vivere un’avventura, una buona avventura. Il giovane non ha paura di fare della sua vita una buona avventura. E vi chiedo: quale avventura richiede più coraggio di quel sogno che ci ha condiviso Liridona, dare speranza a un mondo stanco? Il mondo è stanco, è invecchiato; il mondo è diviso e sembra vantaggioso dividerlo e dividerci ancora di più. Ci sono tanti grandi che vogliono dividerci tra noi. State attenti! Come risuonano forti le parole del Signore: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9)! Quale maggior adrenalina che impegnarsi tutti i giorni, con dedizione, ad essere artigiani di sogni, artigiani di speranza? I sogni ci aiutano a mantenere viva la certezza di sapere che un altro mondo è possibile e che siamo chiamati a coinvolgerci in esso e a farne parte col nostro lavoro, col nostro impegno e la nostra azione.
In questo Paese c’è una bella tradizione, quella degli artigiani scalpellini, abili nel tagliare la pietra e lavorarla. Ecco, bisogna fare come quegli artisti e diventare bravi scalpellini dei propri sogni. Dobbiamo lavorare sui nostri sogni. Uno scalpellino prende la pietra nelle sue mani e lentamente comincia a darle forma e trasformarla, con applicazione e sforzo, e specialmente con una gran voglia di vedere come quella pietra, per la quale nessuno avrebbe dato nulla, diventa un’opera d’arte.
«I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta – come quegli artisti –. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori – no, non avere paura! –. Piuttosto dobbiamo avere paura di vivere paralizzati, come morti viventi, ridotti a soggetti che non vivono perché non vogliono rischiare – e un giovane che non rischia è un morto – perché non portano avanti i loro impegni o hanno paura di sbagliare. Anche se sbagli potrai sempre rialzare la testa e ricominciare, perché nessuno ha il diritto di rubarti la speranza» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 142). Non lasciatevi rubare la speranza!
Cari giovani, non abbiate paura di diventare artigiani di sogni e artigiani di speranza. D’accordo? [rispondono con un applauso]
«È vero che noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani. Tutti devono poterci sentire fratelli e vicini, come gli Apostoli, che godevano “il favore di tutto il popolo” (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Allo stesso tempo, però, dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (ibid., 36).
Pensate a Madre Teresa: quando viveva qui non poteva immaginare come sarebbe stata la sua vita, ma non smise di sognare e di darsi da fare per cercare sempre di scoprire il volto del suo grande amore, che era Gesù, scoprirlo in tutti coloro che stavano al margine della strada. Lei ha sognato in grande e per questo ha anche amato in grande. Aveva i piedi ben piantati qui, nella sua terra, ma non stava con le mani in mano. Voleva essere “una matita nelle mani di Dio”. Ecco il suo sogno artigianale. L’ha offerto a Dio, ci ha creduto, ci ha sofferto, non ci ha mai rinunciato. E Dio ha cominciato a scrivere con quella matita pagine inedite e stupende. Una ragazza del vostro popolo, una donna del vostro popolo, sognando, ha scritto cose grandi. È Dio che le ha scritte, ma lei ha sognato e si è lasciata guidare da Dio.
Ciascuno di voi, come Madre Teresa, è chiamato a lavorare con le proprie mani, a prendere la vita sul serio, per fare di essa qualcosa di bello. Non permettiamo che ci rubino i sogni (cfr ibid., 17), no, state attenti! Non priviamoci della novità che il Signore ci vuole regalare. Troverete molti imprevisti, molti…, ma è importante che possiate affrontarli e cercare creativamente come trasformarli in opportunità. Ma mai da soli; nessuno può combattere da solo. Come ci hanno testimoniato Dragan e Marija: “la nostra comunione ci dà la forza per affrontare le sfide della società odierna”.
Riprendo quello che hanno detto Dragan e Marija: “La nostra comunione ci dà la forza per affrontare le sfide della società odierna”. Ecco un bellissimo segreto per sognare e rendere la nostra vita una bella avventura. Nessuno può affrontare la vita in modo isolato, non si può vivere la fede, i sogni senza comunità, solo nel proprio cuore o a casa, chiusi e isolati tra quattro mura, c’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti.
Com’è importante sognare insieme! Come fate oggi: qui, tutti uniti, senza barriere. Per favore, sognate insieme, non da soli; sognate con gli altri, mai contro gli altri! Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; insieme si costruiscono i sogni.
Pochi minuti fa abbiamo visto due bambini che giocavano qui. Volevano giocare, giocare insieme. Non sono andati a giocare sullo schermo del computer, volevano giocare sul concreto! Li abbiamo visti: erano felici, contenti. Perché sognavano di giocare insieme, l’uno con l’altro. L’avete visto? Ma a un certo punto, uno si è accordo che era più forte dell’altro, e invece di sognare con l’altro, ha incominciato a sognare contro l’altro, e ha cercato di vincerlo. E quella gioia si è trasformata nel pianto di quel poverino che è finito per terra. Avete visto come si può passare dal sognare con l’altro a sognare contro l’altro. Mai dominare l’altro! Fare comunità con l’altro: questa è la gioia di andare avanti. È molto importante.
Dragan e Marija ci hanno detto come questo risulta difficile quando tutto sembra isolarci e privarci dell’opportunità di incontrarci – di questo “sognare con l’altro” –. Negli anni che ho (e non sono pochi), sapete qual è la miglior lezione che ho visto e conosciuto in tutta la mia vita? Il “faccia a faccia”. Siamo entrati nell’era delle connessioni, ma sappiamo poco di comunicazioni. Troppi contatti, ma si comunica poco. Molto connessi e poco coinvolti gli uni con gli altri. Perché coinvolgersi chiede la vita, esige di esserci e condividere momenti belli... e altri meno belli. Al Sinodo dedicato ai giovani lo scorso anno, abbiamo potuto vivere l’esperienza di incontrarci faccia a faccia, giovani e meno giovani, e ascoltarci, sognare insieme, guardare avanti con speranza e gratitudine. Quello è stato il miglior antidoto contro lo scoraggiamento, contro la manipolazione, contro la cultura dell’effimero, dei troppi contatti senza comunicazione, contro la cultura dei falsi profeti che annunciano solo sventure e distruzione. L’antidoto è ascoltare e ascoltarci. E adesso, permettetemi di dirvi qualcosa che sento proprio nel cuore: concedetevi l’opportunità di condividere e godervi un buon “faccia a faccia” con tutti, ma soprattutto con i vostri nonni, con gli anziani della vostra comunità. Qualcuno forse me lo ha già sentito dire, ma penso che è un antidoto contro tutti quelli che vogliono rinchiudervi nel presente affogandovi e soffocandovi con pressioni ed esigenze di una presunta felicità, dove sembra che il mondo finisca e bisogna fare e vivere tutto subito. Ciò genera con il tempo molta ansia, insoddisfazione, rassegnazione. Per un cuore malato di rassegnazione, non c’è rimedio migliore che ascoltare le esperienze degli anziani.
Amici, prendete tempo con i vostri vecchi, con i vostri anziani, ascoltate i loro lunghi racconti, che a volte sembrano fantasiosi, ma, in realtà, sono pieni di un’esperienza preziosa, pieni di simboli eloquenti e di saggezza nascosta da scoprire e valorizzare. Sono racconti che richiedono tempo (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 195). Non dimentichiamo un detto: un nano può vedere più lontano stando sulle spalle di un gigante. In questo modo acquisterete una visione finora mai raggiunta. Entrate nella saggezza del vostro popolo, della vostra gente, entrate senza vergogna né complessi, e troverete una sorgente di creatività insospettata che riempirà tutto, vi permetterà di vedere strade dove gli altri vedono muri, possibilità dove altri vedono pericolo, risurrezione dove tanti annunciano solo morte.
Per questo, cari giovani, vi dico di parlare con i vostri nonni e con i vostri vecchi. Loro sono le radici, le radici della vostra storia, le radici del vostro popolo, le radici delle vostre famiglie. Voi dovete aggrapparvi alle radici per prendere il succo che farà crescere l’albero e darà fiori e frutti, ma sempre dalle radici. Non dico che voi dovete sotterrarvi con le radici: no, questo no. Ma voi dovete andare ad ascoltare le radici e prendere da lì la forza per crescere, per andare avanti. Se a un albero si tagliano le radici, quell’albero muore. Se a voi giovani tagliano le vostre radici, che sono la storia del vostro popolo, voi morirete. Sì, vivrete, ma senza frutto: la vostra patria, il vostro popolo non potranno dare frutto perché voi vi siete staccati dalle radici.
Quando io ero bambino, ci dicevano, a scuola, che quando gli europei sono andati a scoprire l’America portavano dei vetri colorati: li facevano vedere agli indiani, agli indigeni e questi si entusiasmavano con i vetri colorati, che non conoscevano. E questi indiani dimenticavano le loro radici e acquistavano i vetri colorati e in cambio davano l’oro. Con i vetri colorati, rubavano l’oro. Era la novità, e davano tutto per avere questa novità che non valeva niente.
Verranno da voi e vi diranno: “No, voi dovete essere un popolo più moderno, più avanti, andare avanti, voi prendete queste cose, fate questa strada, dimenticate le cose vecchie: andate avanti!”. Cosa dovete fare? Discernere. Ciò che questa persona mi porta, è una cosa buona, che è in armonia con la storia del mio popolo? O sono “vetri colorati”? E per non ingannarci è importante parlare con i vecchi, parlare con gli anziani che vi trasmetteranno la storia del vostro popolo, le radici del vostro popolo. Parlare con i vecchi, per crescere. Parlare con la nostra storia per portarla più avanti ancora. Parlare con le nostre radici per dare fiori e frutti.
E adesso devo finire, perché il tempo corre. Ma vi confesso una cosa: dall’inizio di questo intervento con voi, la mia attenzione è stata attratta da una situazione. Guardavo questa donna, qui davanti: aspetta un bimbo. Aspetta un bimbo, e qualcuno di voi penserà: “Oh! Che calamità, povera donna, come dovrà faticare!”. Qualcuno pensa questo? No. Nessuno pensa: “Oh, passerà tante notti senza dormire per il bimbo che piange…”. No. Quel bimbo è una promessa, guarda avanti! Questa donna ha rischiato per portare un bimbo al mondo perché guarda avanti, guarda la storia. Perché lei si sente con la forza delle radici per portare avanti la vita, per portare avanti la patria, per portare avanti il popolo.
E finiamo tutti insieme con un applauso a tutte le giovani, a tutte le donne coraggiose che portano avanti la storia.
E grazie al traduttore che è stato tanto bravo!
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Ti servono le mie mani, Signore?
(Preghiera di Madre Teresa)
Ti servono le mie mani, Signore,
per aiutare oggi i malati e i poveri
che ne hanno bisogno?
Signore, io oggi ti offro le mie mani.
Ti servono i miei piedi, Signore,
perché mi conducano oggi
a coloro che hanno bisogno di un amico?
Signore, oggi ti offro i miei piedi.
Ti serve la mia voce, Signore,
perché io oggi parli a tutti coloro
che hanno bisogno della tua parola d’amore?
Signore, oggi ti offro la mia voce.
Ti serve il mio cuore, Signore,
perché io ami chiunque,
senza alcuna eccezione?
Signore, oggi ti offro il mio cuore.
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INCONTRO CON SACERDOTI, LE LORO FAMIGLIE E RELIGIOSI
Cattedrale di Skopje
L’incontro con i sacerdoti e i religiosi nella Cattedrale Sacro Cuore di Gesù di Skopje è l’ultimo impegno di Papa Francesco. Si conclude così il 29esimo viaggio apostolico del Pontefice, con un abbraccio ai religiosi macedoni.
Durante l’incontro il Papa ha ascoltato la testimonianza di un sacerdote bizantino, di uno latino e di una religiosa. Tutti soffrono il fatto di essere in pochi e rischiano di cedere a qualche complesso di inferiorità.
Il vescovo di Skopje racconta al Papa la Chiesa della Macedonia: “La Sua venuta una benedizione per la nostra piccola Chiesa locale: tanto del Rito Romano – Occidentale come di quello Bizantino – Orientale, che hanno le vesti, rispettivamente, della Diocesi di Skopje e dell’Eparchia dell’Assunzione della B.V. Maria di Strumica-Skopje. Oggi in Macedonia vivono e operano le Suore Eucaristine che hanno qui la loro sede; le Figlie della Carità di S. Vincenzo; le Missionarie della Carità di Madre Teresa e il Movimento dei Focolari con il focolare Femminile”.
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
Grazie per l’opportunità che mi offrite di potervi incontrare. Vivo con speciale gratitudine questo momento nel quale posso vedere la Chiesa respirare appieno con i suoi due polmoni – rito latino e rito bizantino – per colmarsi dell’aria sempre nuova e rinnovatrice dello Spirito Santo. Due polmoni necessari, complementari, che ci aiutano a gustare meglio la bellezza del Signore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 116). Rendiamo grazie per la possibilità di respirare insieme, a pieni polmoni, quanto è stato buono il Signore con noi.
Vi ringrazio per le vostre testimonianze, che vorrei riprendere. Voi accennavate al fatto di essere pochi e al rischio di cedere a qualche complesso di inferiorità. Mentre vi ascoltavo, mi veniva in mente l’immagine di Maria che, prendendo una libbra di nardo puro, unse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli. L’Evangelista conclude la descrizione della scena dicendo: «tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3). Quel nardo fu in grado di impregnare tutto e di lasciare un’impronta inconfondibile.
In non poche situazioni sentiamo la necessità di fare i conti: incominciamo a guardare quanti siamo... e siamo pochi; i mezzi che abbiamo… e sono pochi; poi vediamo la quantità di case e di opere da sostenere... e sono troppe... Potremmo continuare a enumerare le molteplici realtà in cui sperimentiamo la precarietà delle risorse che abbiamo a disposizione per portare avanti il mandato missionario che ci è stato affidato. Quando succede questo sembra che il bilancio sia “in rosso”.
È vero, il Signore ci ha detto: se vuoi costruire una torre, calcola le spese: «non accada che, una volta gettate le fondamenta, [tu] non sia in grado di finire il lavoro» (Lc 14, 29). Però il “fare i conti” ci può condurre alla tentazione di guardare troppo a noi stessi, e ripiegati sulle nostre realtà, sulle nostre miserie, possiamo finire quasi come i discepoli di Emmaus, proclamando il kerigma con le nostre labbra mentre il nostro cuore si chiude in un silenzio segnato da sottile frustrazione, che gli impedisce di ascoltare Colui che cammina al nostro fianco ed è fonte di gioia e allegria.
Fratelli e sorelle, “fare i conti” è sempre necessario quando ci può aiutare a scoprire e ad avvicinare tante vite e situazioni che pure ogni giorno stentano a far quadrare i conti: famiglie che non riescono ad andare avanti, persone anziane e sole, ammalati costretti a letto, giovani intristiti e senza futuro, poveri che ci ricordano quello che siamo: una Chiesa di mendicanti bisognosi della Misericordia del Signore. È lecito “fare i conti” solo se questo ci permette di metterci in movimento per diventare solidali, attenti, comprensivi e solleciti nell’accostare le stanchezze e la precarietà da cui sono sommersi tanti nostri fratelli bisognosi di una Unzione che li sollevi e li guarisca nella loro speranza.
È lecito fare i conti solo per dire con forza e implorare col nostro popolo: “Vieni Signore Gesù!”. Mi piacerebbe dirlo con voi, insieme: “Vieni Signore Gesù!”. Un’altra volta… [dicono: “Vieni Signore Gesù!”]
Non vorrei abusare della sua immagine, ma questa terra ha saputo regalare al mondo e alla Chiesa, in Madre Teresa, proprio un segno concreto di come la precarietà di una persona, unta dal Signore, sia stata capace di impregnare tutto, quando il profumo delle beatitudini si sparse sopra i piedi stanchi della nostra umanità. Quanti vennero tranquillizzati dalla tenerezza del suo sguardo, confortati dalla sua carezza, sollevati dalla sua speranza e alimentati dal coraggio della sua fede capace di far sentire ai più dimenticati che non erano dimenticati da Dio! La storia la scrivono queste persone che non hanno paura di spendere la loro vita per amore: ogni volta che lo avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me (cfr Mt 25,40). Quanta sapienza contengono le parole di Santa Teresa Benedetta della Croce quando afferma: «Sicuramente, gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali niente si dice nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che conosceremo soltanto il giorno in cui tutte le cose occulte verranno rivelate».
Certamente coltiviamo tante volte fantasie senza limiti pensando che le cose sarebbero diverse se fossimo forti, se fossimo potenti o influenti. Ma non sarà che il segreto della nostra forza, potenza e influenza e persino della giovinezza stia da un’altra parte e non nel fatto che “quadrino i conti”? Vi domando questo, perché mi ha colpito la testimonianza di Davor quando ha condiviso con noi quello che ha segnato il suo cuore. Sei stato molto chiaro: quello che ti ha salvato dal carrierismo è stato il tornare alla prima vocazione, la prima chiamata, e andare a cercare il Signore risorto lì dove poteva essere incontrato. Sei partito, lasciando le sicurezze per camminare sulle vie e nelle piazze di questa città; lì hai sentito rinnovarsi la tua vocazione e la tua vita; abbassandoti alla vita quotidiana dei tuoi fratelli per condividere e ungere con il profumo dello Spirito, il tuo cuore sacerdotale cominciò a battere nuovamente con maggiore intensità.
Ti sei avvicinato ad ungere i piedi stanchi del Maestro, i piedi stanchi di persone concrete, lì dove si trovavano, e il Signore ti stava aspettando per ungerti nuovamente nella tua vocazione. Questo è molto importante. Per rinnovare noi stessi, tante volte dobbiamo andare indietro e incontrare il Signore, riprendere la memoria della prima chiamata. L’autore della Lettera agli Ebrei dice ai cristiani: “Ricordate i primi giorni”. Ricordare la bellezza di quell’incontro con Gesù che ci ha chiamato, e da quell’incontro con lo sguardo di Gesù prendere la forza per andare avanti. Mai perdere la memoria della prima chiamata! La memoria della prima chiamata è un “sacramentale”. In effetti, le difficoltà del lavoro apostolico potrei dire che ci “guastano” la vita, e si può perdere l’entusiasmo. Si può perdere anche la voglia di pregare, di incontrare il Signore. Se ti trovi così, fermati! Torna indietro e incontrati con il Signore della prima chiamata. Questa memoria ti salverà.
Molte volte spendiamo le nostre energie e risorse, le nostre riunioni, discussioni e programmazioni per conservare approcci, ritmi, prospettive che non solo non entusiasmano nessuno, ma che sono incapaci di portare un po’ di quell’aroma evangelico in grado di confortare e di aprire vie di speranza, e ci privano dell’incontro personale con gli altri. Come sono giuste le parole di Madre Teresa: «Ciò che non mi serve, mi pesa»! Lasciamo tutti i pesi che ci separano dalla missione e impediscono al profumo della misericordia di raggiungere il volto dei nostri fratelli. Una libbra di nardo è stata capace di impregnare tutto e di lasciare un’impronta inconfondibile.
Non priviamoci del meglio della nostra missione, non spegniamo i battiti dello spirito.
Grazie a voi, Padre Goce e Gabriella: siete stati coraggiosi nella vita! E ai vostri figli Filip, Blagoj, Luca, Ivan, per aver condiviso con noi le vostre gioie e preoccupazioni, del ministero e della vita familiare. E anche il segreto per andare avanti nei momenti difficili che avete dovuto passare. L’unione matrimoniale, la grazia matrimoniale nella vita ministeriale vi ha aiutato ad camminare così, come famiglia.
La vostra testimonianza ha quell’“aroma evangelico” delle prime comunità. Ricordiamo che «nel Nuovo Testamento si parla della “Chiesa che si riunisce nella casa” (cfr 1 Cor 16,19; Rm 16,5; Col 4,15; Fm 2). Lo spazio vitale di una famiglia si poteva trasformare in chiesa domestica, in sede dell’Eucaristia – quante volte hai celebrato l’Eucaristia in casa tua… –, della presenza di Cristo seduto alla stessa mensa. Indimenticabile è la scena dipinta nell’Apocalisse: “Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (3,20). Così si delinea una casa che porta al proprio interno la presenza di Dio, la preghiera comune e perciò la benedizione del Signore» (Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 15). Così date viva testimonianza di come «la fede non ci allontana dal mondo, ma ci introduce più profondamente in esso» (ibid., 181). Non a partire da quello che a noi piacerebbe fosse, non come “perfetti”, non come immacolati, ma nella precarietà delle nostre vite, delle nostre famiglie unte ogni giorno nella fiducia dell’amore incondizionato che Dio ha per noi. Fiducia che ci porta, come bene ci hai ricordato, Padre Goce, a sviluppare alcune dimensioni tanto importanti quanto dimenticate nella società usurata dalle relazioni frenetiche e superficiali: le dimensioni della tenerezza, della pazienza e della compassione verso gli altri. E mi piacerebbe sottolineare qui l’importanza della tenerezza nel ministero presbiterale e anche nella testimonianza della vita religiosa. C’è il pericolo che quando non si vive in famiglia, quando non c’è il bisogno di accarezzare i propri figli, come Padre Goce, il cuore diventa un po’ “zitello”. E poi, c’è il pericolo che il voto di castità delle suore e anche dei preti celibatari si trasformi in voto di “zitelloni”. Quanto fanno male una suora “zitellona” o un prete “zitellone”! Per questo richiamo alla tenerezza. Oggi ho avuto la grazia di vedere suore con tanta tenerezza: quando sono andato al memoriale di Madre Teresa e ho visto le religiose, con quanta tenerezza curavano i poveri. Per favore: tenerezza. Mai sgridare. Acqua benedetta, mai l’aceto! Sempre con quella dolcezza del Vangelo che sa accarezzare le anime. Riprendendo una parola che ha detto il nostro fratello: lui ha parlato di carrierismo. Quando nella vita sacerdotale, nella vita religiosa entra il carrierismo, il cuore diventa duro, acido, e si perde la tenerezza. Il carrierista o la carrierista ha perso la capacità di accarezzare.
Mi piace sempre pensare a ciascuna famiglia come «icona della famiglia di Nazaret con la sua quotidianità fatta di stanchezze e persino di incubi, come quando dovette soffrire l’incomprensibile violenza di Erode, esperienza che tragicamente si ripete ancora oggi in tante famiglie di profughi miserabili e affamati» (ibid., 30). Esse sono capaci, per mezzo della fede accumulata attraverso le lotte quotidiane, di «trasformare una grotta di animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 286). I mezzi materiali ci vogliono, sono necessari, ma non sono la cosa più importante. Per questo, non bisogna perdere la capacità di accarezzare, non perdere la tenerezza ministeriale e la tenerezza della consacrazione religiosa.
Grazie di aver manifestato il volto familiare del Dio con noi che non smette di sorprenderci in mezzo alle stoviglie!
Cari fratelli, care sorelle, grazie ancora per questa opportunità ecclesiale di respirare a pieni polmoni. Chiediamo allo Spirito che non cessi di rinnovarci nella missione con la fiducia di sapere che Egli vuole impregnare tutto con la sua presenza.
E anche qui, vorrei ringraziare – tu proverai vergogna, adesso! – vorrei ringraziare uno di voi, sacerdote, padre di famiglia, che ha accettato di fare il traduttore [applauso]
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[Canto del Padre Nostro]
[Benedizione]
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Prima di lasciare la Cattedrale, il Papa benedice la prima pietra del Santuario di San Paolo. Successivamente si trasferisce all’Aeroporto di Skopje. Qui viene accolto dal Presidente della Repubblica per la cerimonia di congedo e accompagnato ai piedi dell’aereo che lo riporterà a Roma.
In un minuto gli eventi che hanno scandito l'ultima giornata del viaggio di Papa Francesco in Bulgaria e Macedonia del nord.
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