Santi della porta accanto.
Fanno il tifo per noi e accendono la speranza
Amici che dagli spalti del cielo ci incoraggiano e accendono in noi la speranza. Chiara Luce Badano, Carlo Acutis, Enrique Shaw, Chiara Corbella Petrillo, Marta Obregón, Angelica Tiraboschi e Guadalupe Ortiz de Landázuri. Quest’ultima sarà beatificata il 18 maggio a Madrid
Sono i nostri amici. Non ci lasciano soli. I santi ci guardano dagli spalti del cielo, ci incoraggiano e fanno il tifo per noi. Ne ho avuto la certezza mentre passavano davanti ai miei occhi le immagini luminose di alcuni beati o venerabili: Chiara Luce Badano, Carlo Acutis, Enrique Shaw, Chiara Corbella Petrillo, Marta Obregón, Angelica Tiraboschi e Guadalupe Ortiz de Landázuri. In realtà erano solo foto, ma i loro volti sorridenti prendevano vita nelle parole di chi li ha conosciuti o ne sta seguendo la causa di beatificazione. Cornice delle testimonianze, la giornata di riflessione sulla santità laicale promossa lo scorso 30 aprile a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce, nel contesto dell’imminente beatificazione di Guadalupe Ortiz de Landázuri, il prossimo 18 maggio a Madrid.
Chiara Luce Badano. “Per me, non credente, oggi Chiara è il classico piede che si infila nella porta per impedire che si chiuda del tutto, quello spiraglio necessario perché nel mio cuore possa sopravvivere la speranza che è la fede di chi non ce l’ha”. Con queste parole Franz Coriasco, giornalista, amico e biografo della Beata, ricorda Chiara (1971-1990), “la giovane dal sorriso aperto” che disse:
“Non ho più niente, ma ho ancora il cuore e con quello posso sempre amare”.
“Mi ha insegnato – dice tra l’altro Coriasco – la responsabilità che ciascuno di noi ha verso se stesso e il mondo che lo circonda, il valore dell’umiltà, l’importanza di ascoltare più che di parlare”.
Carlo Acutis. Parlando del “nativo digitale innamorato dell’Eucaristia” (1991-2006), morto a soli 15 anni e che Papa Francesco ha dichiarato venerabile pochi mesi fa e additato come esempio per tutti i giovani nella “Christus vivit”, Federico Piana, giornalista di Radio Vaticana Italia, lo definisce “un’anima eucaristica che chiamava l’Eucarestia ‘la mia autostrada per il cielo’”. Ricevuta la Prima comunione a sette anni, “non è mai mancato alla Messa quotidiana e all’adorazione eucaristica prima e dopo”. Pur essendo solo un ragazzo “si prodigava per aiutare i più poveri, e sempre con il sorriso sulle labbra”. E diceva:
“Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”.
Enrique Shaw. “Voleva bene agli operai, parlava loro con lealtà e chiarezza, convinto che l’imprenditore avesse un dovere di servizio, di promozione umana del personale e di costruzione della pace sociale. Prese posizione contro la cultura dello scarto e degli esclusi respingendo ogni sorta di speculazione finanziaria”. Silvia Correale, postulatore della causa di beatificazione del Servo di Dio (1921-1962), imprenditore argentino che visse i valori in cui credeva ed era solito chiedersi:
“Siamo convinti di essere incaricati di migliorare il mondo e di poterci riuscire?”.
Correale ne evidenzia la generosità verso i poveri e l’impegno per la giustizia sociale. Ma anche nel suo matrimonio e nell’educazione cristiana degli otto figli.
Chiara Corbella Petrillo. Padre Romano Gambalunga, postulatore della causa di beatificazione della serva di Dio (1984-2012), ne mette in luce la luminosità e ricorda le innumerevoli richieste di preghiere e di testimonianze che stanno ricevendo i suoi familiari da tutto il mondo. Dio, osserva, “si conosce anche attraverso i santi, e la santità di Chiara è di giovamento a tutti: laici, sposi, religiosi, consacrate”. Una notte, durante la malattia, “ha vacillato nella fede. In quel momento ha chiesto la grazia di non essere tentata oltre le proprie forze”. Con il marito Enrico “ha vissuto il capovolgimento della fede”, convinta che il suo compito fosse accogliere i figli ricevuti da Dio e definiti dai medici “incompatibili con la vita” fino a riconsegnarli nelle Sue mani. “Nascere e lasciarsi amare: questa la sua regola di vita”. Nella sua grave malattia
“non chiese mai la grazia della guarigione ma di continuare a credere”.
Marta Obregón Rodríguez. Della serva di Dio, studentessa spagnola e “martire della purezza” (1969-1982), parla Antonio Riquelme, responsabile del Cammino neocatecumenale per la causa di Marta. “I suoi amici – dice – raccontano che aveva il presentimento che la sua vita sarebbe stata più breve di quanto si potesse pensare”.
“Dio è la cosa più importante della mia vita”,
amava ripetere. Una sera, mentre stava aprendo la porta di casa, venne caricata di peso in un’auto e in seguito trovata morta dopo avere resistito con tutte le sue forze a un violentatore seriale che di fronte al suo rifiuto la uccise a coltellate.
Angelica Tiraboschi. “Per me mia figlia poteva essere madre, zia, maestra. La sua fede era imponente”, sostiene Marcello, padre della studentessa “gioiosa testimone nella Croce” (1995-2015), ammalatasi di tumore a 18 anni, che incoraggiava i genitori definendo la sua malattia “la Croce di Cristo”. “Angelica mi ha insegnato a crescere, a vivere anche attraverso il dolore, a credere e ad avere il coraggio di morire sapendo accettare totalmente il disegno di Dio”, scandisce Marcello rievocando i momenti di disperazione che hanno seguito la morte della figlia, la sua lotta contro la malattia, la sua convinzione che
“il Signore fa di ognuno di noi un capolavoro”.
E conclude: “Angelica assicurava: ‘Il meglio deve ancora venire nella resurrezione’”.
Guadalupe Ortiz de Landázuri, una delle prime donne a far parte dell’ Opus Dei, verrà beatificata il prossimo 18 maggio a Madrid. Nelle sue lettere al fondatore Josemaría Escrivá, Guadalupe riconosceva i propri limiti: “Sono un disastro, ma eccomi”. A delineare i tratti della venerabile spagnola (1916 – 1975), prima fedele laica dell’Opera ad essere innalzata agli altari, è Carla Vasallo, del Comitato internazionale per la beatificazione. Insegnante di chimica, Guadalupe ha svolto un ampio apostolato in Messico e negli altri luoghi dove ha vissuto, ed è stata a Roma dal 1956 al 1957. “I santi – osserva Vasallo – si caratterizzano per la gioia che esprimono e Guadalupe non fa eccezione, il suo sorriso ne rispecchiava il cuore innamorato di Dio e la sua risata era contagiosa”. Che cosa ha fatto di speciale per essere beatificata? “Pur avendo molti talenti,
la sua vita è stata normale, ma la sua normalità è stata piena di Dio.
Per molti, l’incontro con Lui è iniziato dall’incontro con lei”.
(fonte: Sir, articolo di Giovanna Pasqualin Traversa)
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