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venerdì 6 luglio 2018

Intervista al cardinale Montenegro circa la celebrazione dell'odierna Messa del Papa in San Pietro nell'anniversario della visita a Lampedusa

Montenegro: il Papa a Lampedusa
ci ha mostrato le ferite dell’umanità

Secondo l’arcivescovo di Agrigento, Francesco ha saputo leggere la storia del nostro tempo ponendo i migranti al centro del pontificato. «Viviamo una grande crisi della politica». L’incontro ecumenico di Bari «occasione per costruire concretamente la pace»

Il cardinale Francesco Montenegro con il Papa durante la visita a Lampedusa del luglio 2013
Il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, è stato testimone della storica visita a Lampedusa del Papa nel 2013. «Mentre noi continuiamo a meravigliarci di un fenomeno che dura da almeno 30 anni, il Papa ha vissuto ad occhi aperti» dice a Vatican Insider. A Montenegro, da sempre impegnato sul tema delle migrazioni, abbiamo posto alcune domande su un problema che divide l’opinione pubblica e, non di rado, anche la comunità dei credenti. 

Eminenza, il Papa celebra oggi nella basilica di San Pietro una messa a cinque anni dalla sua storica visita a Lampedusa. Partiamo da un suo ricordo, cosa ha significato quel gesto? 

«È stata una sorpresa per tutti, ma col tempo ci siamo resi conto come quella riflessione lanciata a Lampedusa sia diventata un tema dominante nel suo pontificato. Potemmo dire ha iniziato a parlare a Lampedusa ma ancora oggi quel discorso non è finito, poiché di continuo ci richiama a quei valori dell’accoglienza e della dignità dell’uomo, per cui quella sorpresa è diventata nel frattempo una presa di coscienza. Ciò che desidera il Papa può essere effettivamente una via da percorrere per un mondo diverso, migliore, per esprimere una capacità di convivenza diversa e migliore». 

Il Papa, ponendo i migranti al centro del suo magistero, ha fatto una scelta che, senza retorica, può definirsi davvero profetica. Come nasce secondo lei questa visione in Francesco? 

«Io penso che il Papa abbia vissuto ad occhi aperti. Noi anche dopo trent’anni dall’inizio di questo fenomeno, di questo flusso di gente, continuiamo a meravigliarci, a parlare di emergenza. Il Papa invece ha saputo guardare da pastore alla realtà della sofferenza e ha saputo vedere questa che è una delle ferite più grandi dell’umanità di oggi. La sua è stata una grande capacità di lettura della storia perché non sono dei singoli che si spostano, ma sono dei popoli, pure se in tanti non vogliono considerare questo aspetto. Il Papa, proprio per quella capacità di lettura che ha della storia e anche della storia della salvezza, ha saputo vedere un fatto, un evento che segnerà il presente e il futuro». 

A Lampedusa qual è ora la situazione? 

«Lampedusa ora è diventata soprattutto un simbolo perché gli sbarchi non avvengono più come prima, ma è rimasta un simbolo. Viaggiando, anche all’estero, ho visto che tanti migranti portano il nome di Lampedusa perché questa è stata la prima terra che hanno toccato, per molti è stata la salvezza. E tanti mi hanno detto: “Quando torni, ringrazia la tua gente perché se siamo vivi è merito loro”». 

Di nuovo nelle ultime settimane sono morti dei migranti affogati, un fenomeno che va avanti comunque da anni. Perché un fatto così enorme non suscita una reazione nelle coscienze, nella politica? 

«Perché abbiamo paura della verità. È diventato un fatto di cronaca quello dei barconi che affondano e della gente che muore. Ci si meraviglia per un naufragio, poi ci si assopisce per poi tornare a meravigliarsi di nuovo al naufragio successivo. Questo vuol dire che dobbiamo dirci la verità: cioè che ogni uomo ha una dignità. In questo modo invece sembra che “noi” siamo di seria A mentre chi arriva è di serie B che vale meno di noi; io come cristiano devo pensare che la mia vita vale quanto la loro e la loro quanto la mia, non c’è motivo per credere che noi occidentali valiamo più di questa gente, della quale pure ci siamo approfittati: pensiamo alla colonizzazione, al controllo economico e così via». 

Sembra che il rispetto dei diritti umani non sia più un principio che viene prima di tutto. Eppure su questo è stata fondata la nostra storia dalla fine del secondo conflitto mondiale in poi… 

«Sì e se questo è vero, quale sarà il futuro? Torneremo alla legge del più forte, alla legge del Far West, in cui il più forte può decidere della sorte dell’altro? Ma questo, attenzione, non avverrà solo nei riguardi degli immigrati, è qualcosa che è già cominciato: il ricco conta più del povero, il bello ha più fortuna del brutto. La nostra è una società che si sta dividendo in due. Se si continua così l’immigrazione sarà la cartina di tornasole che ci farà leggere la nostra storia: il disabile vale di meno perché disabile, l’anziano perché anziano, il povero perché è povero. Abbiamo vissuto e stiamo vivendo la differenza fra nord e sud nel nostro stesso Paese. C’è stato il caso di una ragazza di Pescara che non ha trovato casa a Trento perché era del Sud, se proseguiamo su questa strada il futuro non sarà roseo». 

Anche fra le comunità cristiane però il discorso del Papa sui migranti divide, crea dei malumori. Quali sono le ragioni secondo lei? 

«Probabilmente abbiamo bisogno di rileggere il Vangelo. Io da credente e da vescovo dico che il problema non è soltanto di accoglienza e di amore, è un problema di fede. Poi una cosa che mi fa star male è che chi la pensa diversamente da coloro che vogliono mandar via gli immigrati viene insultato; ma anche questa libertà di esprimere le proprie opinioni perché non ci deve più essere? E sarà questo il mondo di domani?» 

Siamo di fronte ad un imbarbarimento? 

«Eh sì, perché se il Papa parla è tutto un “si salvi chi può”, vengono fuori insulti sui mass media o altro. Se uno ha questa impostazione volta all’accoglienza, al rispetto della dignità umana, e ha un suo credo, viene insultato, quella dignità che non rispettiamo negli altri cominciamo a non riconoscerla nemmeno fra di noi». 

C’è stato forse anche un mutamento: prima si temeva l’immigrazione per ragioni di sicurezza o terrorismo, ora è la povertà di chi arriva a far paura? 

«L’immigrazione ci sta facendo soprattutto scoprire che siamo poveri già noi, perché gli esperti poi ci spiegano che i migranti non ci stanno rubando lavoro, stanno facendo lavori che noi non vogliamo fare e anzi sono sottopagati e stanno diventando motivo di ricchezza per altri. E allora, forse, l’immigrato mi fa avere paura di me stesso, perché riconosco il mio egoismo, il mio individualismo, il mio modo di vivere. Il problema più grosso secondo me non è l’immigrazione ma l’ingiustizia che c’è ancora nel mondo. E la presenza stessa degli immigrati, grida questa ingiustizia; del resto i migranti, i poveri, non sono solo quelli che arrivano col barcone, nel mondo ce ne sono 342 milioni, è un problema più grande di noi che non possiamo affrontare solo respingendo e mandando via». 

Eppure il tema che lei solleva, quello dell’ingiustizia, è del tutto assente dal dibattito pubblico, dalle discussioni fra Stati e governi… 

«Ma non dobbiamo chiederci cosa sia diventata oggi la politica? Ormai la politica si fa gridando. Ma la politica vera si fa discutendo, trovando soluzioni, e questa situazione c’è da noi come in altri Paesi. E allora la politica deve saper gestire il nuovo, l’imprevisto, l’imprevedibile, deve saperlo mettere al posto giusto e non usare la gomma per cancellare tutto ciò che non è come “dico io”. Credo che vi sia una crisi della politica abbastanza seria, in Italia l’unico problema è diventato l’immigrazione come se non ci fossero altre questioni importanti». 

Sabato 7 luglio il Papa s’incontrerà a Bari con i capi delle Chiese cristiane del Medio Oriente per promuovere la pace nel Mediterraneo. Che messaggio dovrebbe arrivare da un’assise di questo tipo? 

«Dio non è mai qualcuno che divide, ma qualcuno che unisce. Dio sa parlare di amore. Quindi l’incontrarsi per riconoscersi fratelli e per costruire insieme un mondo diverso è proprio la grande novità che oggi ci vuole. Non è solo tenere le mani giunte e pregare perché la pace venga, la preghiera è un impegno che si prende davanti a Dio per realizzare quello di cui si sta parlando davanti a lui, la preghiera è impegno di costruzione, di pace, di convivenza». 

Ma è credibile che il dialogo fra le fedi, in territori così devastati da conflitti, guerre, lotte intestine, possa ancora svolgere un ruolo positivo? 

«Io sono convinto di sì. Anche perché se parliamo di incontri ad alto livello ci sono questi momenti solenni, significativi. Ma a livelli più bassi, nella quotidianità, la vita delle persone che vivono l’una accanto all’altra conta qualcosa, lì si vede che la solidarietà c’è. In quanti posti c’è già una convivenza pacifica fra genti di religioni diverse? Credo che anche questo sia il frutto di una situazione in cui le divisioni non accontentano più nessuno». 

Il patriarca Sako, a proposito dell’Iraq e del Medio Oriente, ha parlato della necessità di promuovere il principio di cittadinanza, la cittadinanza come principio che tutela le diversità, anche religiose… 

«Dovremmo cominciare a pensare che la nostra, quella occidentale, non è l’unica civiltà. Tempo fa un vescovo dell’Iraq venne a dire “state attenti perché non è detto che la vostra democrazia sia l’unica che debba esistere, perché se la vostra democrazia è quello che avete portato in Iraq non ne abbiamo bisogno”. Dobbiamo levarci dalla testa l’idea che siamo i primi della classe, tutti hanno qualcosa da dare e tutti hanno qualcosa da prendere».

Intervista rilasciata dal cardinale Francesco Montenegro al settimanale diocesano “L’Amico del Popolo”, a proposito del quinto anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa, che ricorre domenica 8 luglio.

“Il Papa ricorda quella visita in maniera determinante nella sua vita di pastore della Chiesa. Gli ho scritto un biglietto per ringraziarlo di quest’attenzione e dicendo che andrò a Lampedusa per continuare quella preghiera che lui oggi ha fatto a Roma per i migranti”. 

“C’è un bel ricordo di una magnifica mattinata, c’è la consapevolezza della presenza del pastore che viene a piangere i morti e a gridare la situazione di tanta gente. C’è un ‘mai più’ che risuona, ma che vediamo che non è ascoltato completamente da parte di tutti e c’è un discorso sui migranti che da quel giorno credo abbia preso una piega diversa anche se non si trovano le soluzioni. C’è un impegno che obbliga un po’ tutti i cristiani a confrontarsi con quanto il Papa ha detto e, quindi, a realizzarlo nella vita di tutti i giorni”.

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