La Chiesa riscopre
i folli di Dio
di Alberto Melloni
Frequenti nel mondo ortodosso, i sacerdoti indisciplinati e battaglieri non lo sono altrettanto in quello occidentale Ma ora papa Francesco li mette al centro dei suoi pellegrinaggi e un libro li racconta Sospettati, isolati e sanzionati, sono state figure di un radicalismo cristiano del tutto singolare Hanno vissuto il sacerdozio con rigore ascetico manifestando una santità "ostinata e contraria"
C' è una espressione della spiritualità russa che definisce i "folli di Dio".
Ciascuno jurodvyi è il portatore di una sapienza che può abitare solo nella "stoltezza" (1 Cor 1, 27), e che con questa sua follia, che sopporta la pesantezza istituzionale della chiesa e sfugge perfino alla razionalità monastica, suscita inquietudine e allarme. La chiesa russa solo dal 1547 iniziò ad annoverare gli jrodvye fra i santi: ne trovò pochi, perché rimasero avvolti dalla invisibilità che avevano cercato.
Il fenomeno dei folli di Dio non ha paralleli od emuli nella tradizione occidentale, costruita attorno a paradigmi di santità ispirata a modelli specifici. A parte Francesco d' Assisi e la sua vocazione ad essere «unus novellus pazzus in mundo» anche i mendicanti perdono ogni follia: e in età moderna sarà la santità episcopale e clericale ad essere ricercata, affidando alla mistica il compito di esprimere l' amor di Dio, nella sua passionalità. Ma dentro quella figura di prete impedito si sono manifestate figure di un radicalismo cristiano del tutto singolare: non asceti del cenobio o dell' eremo, non organizzatori di santità, ma una variante degli jurodvyi: uomini conquistati dal vangelo non hanno cercato di rientrare in uno dei modelli oblativi della santità sacerdotale di tipo sulpiziano. Preti che non hanno vissuto la irrisione e la sordità ecclesiale come una ragione di contestazione, liberi da quella spiritualità dell' olocausto di sé e al tempo stesso disincantati fino al disinteresse verso la riforma della chiesa come tema generale. Uomini che al riparo di un sacerdozio spesso vissuto con grande rigore ascetico personale, prendevano le parole evangeliche che il magistero non riusciva a declinare per astuzia o per impotenza interiore, e le facevano diventare la propria santità "ostinata e contraria", per dirla con De André. A quella "sacrificando" anche la propria reputazione e spesso la tranquillità disciplinare: sospettati o peggio, sanzionati, isolati, questi preti si riconoscono perché - come i poveri di Cesare Zavattini del 1937 - "sono matti". "Matti" e poveri, ovviamente: convinti di non potersi esimere da un urget che sostituisce ogni bisogno di quiete e ogni desiderio di carriera, sono state le antenne di un diverso modo di vivere la condizione cristiana e sacerdotale. Quasi come ostaggi di una penitenza alla chiesa contigua al potere - fascista prima, democristiana poi, e infine bipolare - questi preti non hanno avuto l' attenzione che meritavano.
I dizionari storico-biografici li hanno ignorati o appiattiti per povertà di strumenti critici e li hanno derubricati fra le figure che non raggiungono quella "rilevanza", che l' arbitrio del saccente usa come fosse una categoria critica. Una condizione che chiedeva e chiede un' assunzione di responsabilità da parte di tutti.
La ricerca storica aveva ed ha la responsabilità specifica: quella di togliere cioè queste figure dall' oblio e lavorare criticamente sulle fonti per fornire quella goccia di verità - limitata, evaporabile, sfuggente, inquinabile - che produce lo scavo critico. Un compito utile ad evitare il riassorbimento facilone che loda la sopportazione di sofferenze inutili, inflitte da un potere che si appropria di tutto a posteriori, quando il tempo ha spento il gemito di quelle sofferenze e soffocato le domande che le hanno attraversate. A questo compito dà un piccolo contributo il volume In santità ostinata e contraria curato da Enrico Galavotti e Federico Ruozzi per i tipi del Mulino e che il festival della Memoria ha voluto inserire nel suo cartellone nel centenario di don Zeno: Milani, Saltini, Altana sono solo alcune voci di un dizionario biografico dei preti matti che non si farà mai, ma che potrebbe accogliere altri, fino a don Di Liegro e don Gallo, almeno.
L' autorità ecclesiastica ha invece una diversa e specifica responsabilità: che è quella di resistere all' autoassolutoria celebrazione postuma dei lapidati o degli scartati e porsi davanti a queste figure le cui stigmate grandi e piccole sono state scolpite dall' autorità. E a questo ha dato un contributo risolutivo e impegnativo papa Francesco in persona, che ha disegnato una carta geografica inedita con una serie di pellegrinaggi rovesciati, fuori Roma. A Bozzolo da don Mazzolari, a Barbiana da don Milani, a Nomadelfia da don Zeno Saltini, ad Alessano da don Bello e presto a Palermo da don Puglisi, Francesco non ha voluto fare stucchevoli "riabilitazioni" tipiche dei regimi, ma specchiarsi in figure nella cui assenza sussurra la voce del silenzio impalpabile che segna il passaggio dell' Eterno nel tempo
(Fonte: La Repubblica - Terza Pagina - 10.07.2018)