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venerdì 27 luglio 2018

Il monito severo di Mattarella: "Il veleno del razzismo continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri" - "Vi è il dovere di governare il linguaggio. Con il coraggio, se necessario, di contraddire opinioni diffuse... L’Italia non può assomigliare al Far West"

A 80 anni dal Manifesto della razza, la condanna di Mattarella

Il documento fatto proprio dal fascismo resta «la più grave offesa recata dalla scienza e dalla cultura italiana alla causa dell’umanità». Il razzismo, veleno che si insinua «nelle fratture della società». Evitare che si rigeneri


Il 25 luglio di 80 anni fa il fascismo faceva suo il “Manifesto della razza”, firmato da «professori, medici, intellettuali». Per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quel documento «rimane la più grave offesa recata dalla scienza e dalla cultura italiana alla causa dell’umanità». Il capo dello Stato interviene il 25 luglio, nell’anniversario di quel documento, per ribadire che a distanza di tanto tempo «il veleno del razzismo continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere e allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà – afferma – è evitare che si rigeneri: le libertà, la pari dignità, il rispetto per l’altro, la cooperazione, l’integrazione e la coesione sociale sono le migliori garanzie di un domani di armonia e progresso».

Per Mattarella, «ogni teoria di razza superiore – o di razza accompagnata da aggettivo diverso da umana – non deve più avere cittadinanza: ciò che è accaduto rappresenta un monito perenne e segna un limite di disumanità che mai più dovrà essere varcato». Quindi rivolge lo sguardo a un passato che ancora brucia, per sottolineare che «l’aberrazione dell’affermazione della supremazia di uomini su altri uomini considerati di razze inferiori, la volontà di dominio che esprimeva, la violenza, segregazione, pulizia etnica che portava con sé, avrebbero segnato nel profondo la storia del XX secolo e, con essa, la coscienza dei popoli». In Italia, in particolare, «il Manifesto aprì in Italia la porta alle leggi razziali, suggellando così nel più infame dei propositi quel patto con il nazismo che seminò morte, distruzione e sofferenze in tutta Europa».

Di qui «la feroce persecuzione degli ebrei, presupposto di ciò che, presto, sarebbe divenuto l’Olocausto», l’accanimento «contro Rom e Sinti» e le «mostruose discriminazioni che sfociarono nello sterminio, il porrajmos, degli zingari». Per il presidente della Repubblica, è «una pagina infamante, riscattata con la solidarietà di pochi durante le persecuzioni, la lotta di Liberazione, con la Costituzione repubblicana, con il sangue, il sacrificio, l’unità del nostro popolo attorno a ideali di eguaglianza, democrazia, pace e libertà».
(fonte: ROMASETTE)


26 luglio 2018 - Al Quirinale la tradizionale cerimonia di consegna del "Ventaglio" al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella


Si è svolta, al Palazzo del Quirinale, la tradizionale cerimonia di consegna del "Ventaglio" al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da parte del Presidente dell'Associazione Stampa Parlamentare, Marco Di Fonzo, alla presenza dei componenti del Consiglio direttivo, degli aderenti dell'Associazione e di personalità del mondo del giornalismo.

Dopo l'intervento del Presidente Di Fonzo, il Presidente Mattarella ha pronunciato un discorso.
Successivamente gli è stato consegnato il Ventaglio realizzato da Marianna Degli Esposti, vincitrice del concorso indetto dall'Associazione Stampa Parlamentare di concerto con l'Accademia di Belle Arti di Roma.


Ecco alcuni passaggi del suo discorso:

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Incontrare i giornalisti della stampa parlamentare rappresenta un’occasione per ribadire l’importanza primaria della libertà di informazione.

Questa non è un prodotto ma un diritto fondamentale, tutelato dalla Costituzione.

L’art. 21 garantisce, con sobria efficacia, determinata, questo diritto, che fornisce sostanza alla democrazia dei moderni.
La libertà di informazione e i diritti che vi sono collegati – e il sostegno, funzionale ad assicurarla in concreto – alimentano il circuito democratico.
Attraverso l’informazione i cittadini acquisiscono elementi di conoscenza per elaborare opinioni, che devono essere libere e consapevoli.

I media stanno attraversando una stagione di grandi trasformazioni, con nuovi mezzi di ampia diffusione.
L’abbondanza informativa, offerta dal web, è preziosa ma occorre evitare che, con essa, si riduca il livello dell’approfondimento e la capacità di stimolare riflessioni. Insomma, evitare che ne derivi una forma di povertà critica o di rifiuto del confronto con le altrui opinioni.
Questo è il compito di quella che chiamiamo libera stampa, che ricomprende, ovviamente, anche l’informazione radio, tv e digitale.
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Siamo tutti consapevoli, naturalmente, che vi sono usi distorti – talvolta allarmanti – del web.
Vi appaiono segni astiosi, toni da rissa, che rischiano di seminare, nella società, i bacilli della divisione, del pregiudizio, della partigianeria, dell’ostilità preconcetta che puntano a sottoporre i nostri concittadini a tensione continua.
Sta a chi opera nelle istituzioni politiche – ma anche a chi opera nel giornalismo – non farsi contagiare da questo virus, ma contrastarlo, farne percepire, a tutti i cittadini, il grave danno che ne deriva per la convivenza e per ciascuno. Vi è il dovere di governare il linguaggio.
Con il coraggio, se necessario, di contraddire opinioni diffuse.

L’Italia non può diventare- non diverrà - preda di quel che Manzoni descrive, con efficacia, nel trentaduesimo capitolo dei Promessi Sposi, a proposito degli untori e della peste: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.


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La Repubblica vive dell’esercizio delle responsabilità da parte di ciascun cittadino: ognuno faccia uso dei suoi diritti e adempia ai suoi doveri.

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E’ patrimonio di storia, di cultura, di valori che disegna il ruolo dell’Italia nella comunità internazionale. Ovunque si vada, si registra un gran desiderio di collaborazione e di interlocuzione stretta e concreta con l’Italia.
Tutto ciò che intacca questo patrimonio ferisce l’intera comunità.
Mi ha molto colpito un fatto di cronaca di questi giorni.
L’Italia non può assomigliare al Far West, dove un tale compra un fucile e spara dal balcone colpendo una bambina di un anno, rovinandone la salute e il futuro. Questa è barbarie e deve suscitare indignazione.


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Il buon senso manzoniano ci suggerisce – come lei ha fatto poc’anzi, caro Presidente – di occuparci delle grandi questioni che abbiamo di fronte, esercitando il dovere, ineludibile, della responsabilità.
Rischi del nucleare e corsa agli armamenti mettono a prova ulteriore la tenuta della pace nel mondo, già gravemente ferita da conflitti in corso e da occupazioni militari di territori altrui. Non sono episodi lontani, che non ci riguardano: il mondo si è ristretto e si tratta di segnali allarmanti.
Si avvertono incrinature dell’ordine internazionale. Questo ha, periodicamente, - come è ovvio - bisogno vitale di essere aggiornato, adeguato, migliorato ma destrutturarlo, vanificandone i principi di convivenza fra Stati liberi e uguali, provocherebbe incertezza e instabilità.
Vengono ogni tanto preannunziate guerre commerciali. Queste, nel corso del tempo, hanno spesso condotto ad altro genere di guerre.
Affiorano, talvolta, concezioni e pulsioni proprie dell’Ottocento e della prima parte del Novecento; seduzioni che sembrano rimuovere le lezioni della storia.
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Si tratta, in definitiva, di contrastare tendenze alla regressione della storia.

Sessantacinque milioni di profughi in varie parti del mondo danno la misura di un fenomeno epocale, collegato anche ai diversi andamenti demografici.
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Su tutti i fronti aperti e le grandi questioni, in realtà, l’Unione deve esprimere con vigore il suo ruolo.
Attraversiamo un periodo di instabilità, e le scelte di questo periodo determineranno la convivenza mondiale per lungo tempo: o gli europei ritrovano le ragioni del rilancio dell’Unione o è prevedibile il declino del continente rispetto ai grandi protagonisti della vita internazionale, mentre in molte parti del mondo si guarda all’Unione europea come a un modello da imitare, con cui dialogare e collaborare.
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