La trattativa infinita sulla pelle dei disperati e dei rifugiati
di Roberto Zaccaria
*Presidente del Consiglio italiano per i rifugiati
Ogni nave che arriva in prossimità delle nostre coste con migranti a bordo, sia essa una nave delle Ong, che un mercantile di passaggio, che una nave di Frontex o della nostra guardia costiera, viene tenuta in ostaggio con tutte le persone a bordo, al largo e distante dal porto, prima che si concluda la trattativa con i 27 Stati dell’Unione per il ricollocamento. Qualcuno è arrivato perfino ad ipotizzare una prima selezione in alto mare o addirittura un “riaccompagnamento” in Libia. E’ stato osservato che il primo atteggiamento viola tutte le direttive su accoglienza e procedure e il secondo configura un respingimento in un paese pericoloso in disprezzo delle più elementari regole in materia di “non refoulement”.
La prima osservazione da fare è che in questa estate del 2018 non esiste più una situazione di emergenza. Questa situazione non esiste più dal luglio dello scorso anno. Secondo i dati del Ministero dell’Interno sono sbarcati nel nostro paese in sei mesi poco più di 17.000 persone. L’anno passato di quest’epoca erano più di 70.000. Bloccare le navi e gli sbarchi in attesa di una ricollocazione è estremamente rischioso. Il rischio è quello di trovarsi in un vicolo cieco ed esporre il nostro paese a pesanti reazioni della comunità internazionale. Papa Francesco ha già invocato un atteggiamento più umano e prima o poi, lui che vive nel nostro paese, sarà costretto a rivolgersi direttamente ai nostri governanti.
Il Presidente Mattarella nei giorni scorsi è già dovuto intervenire, non solo come Presidente del Consiglio supremo di difesa, ma anche come Presidente del Consiglio superiore della magistratura, quando dall’Esecutivo giungevano, in dispregio delle elementari regole costituzionali, ingiunzioni alla magistratura ad arrestare alcuni migranti. Una politica dell’immigrazione ed anche un governo dei flussi è tutt’altra cosa. Qualcuno dovrà ogni tanto ricordare che i nostri governi (di destra e di sinistra) negli ultimi vent’anni hanno fatto arrivare nel nostro paese, mediamente 170-180.000 persone. Qualcuno dovrà ricordare che non solo il Presidente dell’INPS, ma i maggiori demografi (Livi Bacci), ricordano che senza queste percentuali di arrivi il nostro Paese è destinato a regredire pericolosamente. Le politiche dell’immigrazione sono rappresentate da una visione d’insieme. Molti dicono che dobbiamo anticipare i pericolosi viaggi per mare attraverso il Mediterraneo ed andare nei paesi di transito per identificare là i soggetti più vulnerabili. In Consiglio italiano per i rifugiati, insieme all’UNHCR e insieme all’AICS, la nostra cooperazione, da oltre 10 anni opera in Libia dove transitano il 90 per cento dei migranti e dei rifugiati che si muovono per raggiungere l’Europa.
Per questo abbiamo lanciato il Progetto Guardiamo oltre le frontiere con il quale vogliamo prestare assistenza e protezione a oltre 500 rifugiati che si trovano in Libia per identificare i più vulnerabili (donne, bambini, minori no accompagnati e vittime di tratta) e condurli verso corridoi umanitari che li facciano arrivare in Europa.
Per queste ragioni abbiamo promosso il 22 luglio a Taormina un Concerto di Fiorella Mannoia che ha lo scopo di raccogliere fondi per questi fini e per queste persone.
(fonte: Articolo21)
La penosa quarantena dei migranti
Urlano, twittano e postano, a volte minacciano, dichiarano, proclamano, solennemente promettono, discutono, litigano o fanno finta di litigare, si prendono le loro belle valanghe di like mentre quegli altri resistono ancora un po’. Almeno per un altro giorno e sempre in mare. Vicino a Malta o al largo delle Pelagie, nel porto di Trapani o ancora in acque libiche. I primi hanno sempre la forza di gridare qualcosa o di irridere qualcuno, i secondi sono più morti che vivi e sprofondati in quell’altro mondo che è diventato per loro il Mediterraneo. Fra le onde alte, il caldo torrido, le navi cariche che dondolano nel niente, una rotta che non si trova più. L’ultimo barcone è approdato nella rada di Pozzallo e dopo lunghe trattative solo le donne e i bambini sono riusciti a sbarcare. Gli altri 400 attendono ancora. Roma ha accusato Malta, Malta ha chiuso i suoi porti, il nostro ministro dell’Interno aveva appena scritto «volere è potere, io non mollo» – commentando i due indagati dalla procura di Trapani – e poi è ritornato a gonfiare il petto e a rassicurare la sua claque: «Abbiamo già dato». Il ministro dei Trasporti Toninelli gli è andato dietro, secco: «Malta faccia subito il suo dovere». Dovere. Come cambia, come cambia il significato delle parole da una stagione all’altra, da un mese all’altro. Dovere. Ditelo a quei quattrocento ancora a bordo di quel legno fradicio cos’è il “dovere”. Cos’è, in una giornata di mezza estate, per quest’Italia che sembra travolta da se stessa. Andate a spiegare a quelle madri e a quei padri che guardano i loro figli sul peschereccio in un punto imprecisato del mare, cos’è “giusto” e cosa sono “i fatti” che – sempre Salvini – snocciola e rilancia («sono ministro da un mese e mezzo e sono sbarcate 3716 persone. Nello stesso periodo dell’anno scorso erano state 31.421») alla vigilia della finale del Mondiale. Fatti e numeri, giusto e non giusto, fame e sete, dolore e terrore. E l’inferno cos’è? Quello che stanno vivendo su quel barcone che è arrivato a Pozzallo con il suo carico umano o quello che c’è stato e ci sarà in chissà quanti altri barconi sotto il sole cocente, o è quell’altro che immagina il premier della Repubblica Ceca Andrej Babis che dice di no al premier Giuseppe Conte, dice che non ne farà entrare uno solo nel suo Paese perché «questa è la strada per l’inferno»? Inferno, un’altra di quelle parole snervate, smontate pezzo per pezzo e poi rimontate a proprio uso e consumo. L’inferno che ci sarà a Praga se Praga accetterà una piccola “quota” di quei migranti o l’inferno del popolo nero che ha lasciato l’Africa ma non sa quando e se mai arriverà in Europa. Troppa la distanza. Troppa la distanza fra le parole che pronunciano i nostri governanti e quelli di altre nazioni europee e le sofferenze di chi sta in queste settimane in mare, prigioniero in mare, murato in mare, condannato in mare. E chissà, mentre muoiono di crepacuore, se quegli uomini e quelle donne e magari pure quei bambini, scopriranno mai il significato di termini freddi e a noi familiari, “quota”, “patti bilaterali”, “accordi”. E chissà se qualcuno di loro – a bordo di qualche carcassa e in attesa di morire o di tornare fra i loro vecchi torturatori delle prigioni libiche – prima o poi riuscirà a capire cosa vuol dire «prima gli italiani», la frase che ossessivamente ripete da sempre Matteo Salvini. Che esordisce nei suoi tweet e nei suoi post sempre con un’altra di quelle parole – «amici» – che nasconde dentro di sé qualcosa di indicibile in questa tragedia infinita.
(fonte: articolo di Attilio Bolzoni in “la Repubblica” del 16 luglio 2018)
Da più di 20 anni il medico di Lampedusa Pietro Bartolo assiste i migranti che arrivano sulla sua isola malati o debilitati dal lungo viaggio. Il 14 luglio ha visitato otto persone, tra cui donne e bambini, che erano sul barcone intercettato davanti alle coste di Linosa. Lucia Basso lo ha intervistato per il Tg3
Quella mamma pelle e ossa "Un campo di concentramento"
PALERMO - Sembra pelle e ossa, pesa 35 chilogrammi, ha 27 anni, e avrebbe trascorso "sette mesi drammatici" in Libia, dove sarebbe stata anche violentata. E' una delle donne trasferite a Lampedusa dal barcone con 450 migranti e poi ricoverata nel pronto soccorso dell'ospedale Civico di Palermo. Non parla, tanta è la stanchezza, ma anche la paura, che le incutono i ricordi che non riesce a cancellare. Ma appena arrivata in ospedale ha trovato la forza di gridare, indicando la figlia di 4 anni che era con lei: "non mangia da tre giorni, aiutatela, datele del cibo, subito, vi prego...". Poi si è chiusa in un silenzio carico di tensione da smaltire. Ed è stata la bambina, dopo avere mangiato latte e biscotti, a prendersi cura di lei. E' stata lei a scegliere, a Lampedusa, i vestiti per la madre tra quelli messi a disposizioni da associazioni di volontari. Ed è lei a tentare di farla sorridere cantando e ballando. Per la musica ha usato un cellulare messo a tutto volume. Ha cantato e danzato apparentemente felice. La madre l'ha guardata, ed è sembrata sorridere anche lei, ma soltanto con gli occhi, non ha la forza per fare altro.
In grave stato di denutrizione e molto disidratati. Così gli 8 eritrei trasferiti dal barcone con 450 migranti a Lampedusa sono apparsi al personale del poliambulatorio della più grande delle Pelagie. Così debilitati da fare sollevare un paragone a un'infermiera: "ci porta alla mente gli effetti dei campi di concentramento tedeschi della seconda guerra mondiale - dice una di loro - tanto sono importanti gli stati di denutrizione e di disidratazione. Uno dei ragazzi che parla un po' di inglese ci ha raccontato che per diversi mesi hanno potuto mangiare solo 30 grammi di pasta al giorno e nient'altro". Nel corridoi ci sono due giovanissimi: li hanno medicati e aiutati a rifocillarsi, facendo ritornare loro il sorriso. In una stanza, in isolamento, è invece ricoverato un ragazzo al quale è stato diagnosticata la tubercolosi. (ANSA).