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mercoledì 18 luglio 2018

Italiani: il 61 per cento ora teme l’aumento del razzismo

La ricerca. 
Italiani: il 61 per cento ora teme l’aumento del razzismo
Un sondaggio europeo sull'impatto del fenomeno migratorio rivela che l’immagine di un Paese polarizzato e schiacciato tra due estremi è fuorviante e non corrisponde alla realtà


L’immagine che emerge dal dibattito di queste settimane sul tema dei migranti è quella di una Paese quanto mai polarizzato schiacciato tra due estremi che appaiono inconciliabili: porti aperti/porti chiusi, ma è proprio così? Se si mettono in fila i dati raccolti da The Social Change Initiative (More in Common), un’analisi svolta sull’opinione pubblica in merito ai migranti in tutti i Paesi europei, l’immagine risulta molto differenziata. Certo gli italiani citano l’immigrazione fra i problemi più urgenti, anche grazie al contributo dell’ampia copertura mediatica riservata agli sbarchi nel Mediterraneo nel corso del 2017, che ha concorso ad aumentare l’insicurezza percepita. Certo vi sono molti gruppi che si oppongono all’arrivo dei migranti descrivendoli come portatori di criminalità, terrorismo e malattie.

Certo grande risonanza viene data ai reati che vedono protagonisti i migranti, accrescendo l’effetto 'slavina': secondo l’Osservatorio di Pavia, a settembre 2017 la questione dell’immigrazione ha occupato il 10% della copertura giornalistica, circa l’8% in più rispetto all’anno precedente. (Singolarmente poco o nulla si dice della disoccupazione giovanile che supera il 31%). La sintesi dei risultati della ricerca è che il 18% degli italiani considera positivo l’impatto dell’immigrazione, (il 23% perché aiuta l’economia e il 26% perché arricchisce la vita culturale), mentre il 57% lo reputa globalmente negativo. La preoccupazione per le ripercussioni economiche negative è parzialmente legata alla convinzione che gli immigrati, rispetto agli italiani, siano spesso disposti a lavorare di più per un salario inferiore, come pensa il 73% del campione (solo il 10% è in disaccordo). Inoltre, riflette il timore che molte delle persone giunte in Italia nell’ultimo periodo siano spinte dalle opportunità econo- miche offerte dall’Europa, e non siano invece in fuga da guerre o persecuzioni.


L’idea che gli immigrati occupino posizioni che sarebbero altrimenti destinate agli italiani ha creato un sostegno generalizzato attorno ai datori di lavoro che danno la precedenza ai connazionali. Il 57% concorda con questa politica, di questi un 32% si dice fortemente d’accordo (solo il 17% è contrario). Malgrado le preoccupazioni e i sentimenti negativi per la gestione e l’impatto del fenomeno migratorio, la maggior parte degli italiani non adotta una posizione estremista verso i migranti. Molti italiani restano accoglienti verso gli stranieri, compresi immigrati e rifugiati, e la stragrande maggioranza (72%) sostiene il principio dell’asilo politico e il diritto di queste persone di trovare rifugio in altre nazioni, compresa la propria (solo il 9% è contrario). Sul piano personale, sono più gli italiani solidali con i rifugiati (41%) di quelli distaccati (29%), con un 27% di neutrali. I sentimenti nei confronti dei migranti in generale sono leggermente più tiepidi (il 32% è solidale, il 33% distaccato).


Gli italiani rifiutano l’estremismo: la maggior parte (61%) si dice preoccupata per il crescente clima di razzismo e discriminazione, e solo il 17% nega di esserne allarmato. Un esiguo 11% riferisce un profondo legame con i movimenti politici in difesa della nazione, mentre il 37% sceglie con convinzione quelli in favore dei diritti umani. Da tutto ciò ne consegue una divisione in più segmenti di opinione.


I Cosmopoliti. Gli Italiani definiti Cosmopoliti sono il 12%, persone generalmente ottimiste riguardo ai propri orizzonti e alle prospettive dell’economia e della società italiana.

I Cattolici Umanitari. Sono i più ottimisti in assoluto, credono in valori aperti, accettano di buon grado rifugiati e immigrazione, e si dimostrano più socievoli di tutti. Sono il 16%.

I Nazionalisti Ostili. È il gruppo con i valori più chiusi. Sono il 7%, contrari all’immigrazione e ai rifugiati, e non esitano a scegliere la linea dura in materia di sicurezza (anche a spese dei diritti umani) per affrontare quelle che considerano vere e proprie minacce alla società italiana.

I Difensori della Cultura. I Difensori della Cultura, il 17%, si distinguono per la loro forte convinzione che l’identità italiana stia scomparendo. Sono particolarmente convinti degli effetti negativi dell’immigrazione sulla vita culturale italiana. Dunque gli 'aperti' sono il 28% mentre gli 'ostili' il 24%. Poi vi è un restante 48% della popolazione che costituisce la 'maggioranza incerta'. E qui si può fare un’ulteriore distinzione.

I Moderati Disimpegnati. Per lo più giovani tra i 18 e i 30 anni che non si schierano e preferiscono restare neutrali, i Moderati disimpegnati sono il 19%.

I Trascurati, il 17%, sono invece persone interessate soprattutto alle questioni economiche e della disoccupazione. Pur essendo generalmente contrari all’immigrazione, i Trascurati sono favorevoli al principio dell’asilo politico. Sono in prevalenza anziani: molti di loro hanno più di 65 anni.

I Preoccupati per la Sicurezza, il 12%, infine, esprimono timori per la sicurezza, che riguardino il crimine o il terrorismo, guidano le loro convinzioni e i loro atteggiamenti molto più di qualsiasi altra questione. Sono favorevoli alla globalizzazione, ma contemporaneamente ritengono che l’Italia debba proteggersi di più dal mondo esterno. Il gruppo è composto in prevalenza da persone di mezza età e oltre: 31-50 e 51-64 anni. Coesiste quindi secondo i ricercatori l’esigenza per gli italiani di non voler perdere il senso della storia, della tradizione e della identità culturale, ma che l’ospitalità e l’accoglienza sono parte integrante di questa tradizione. Tutti questi segmenti di opinione andrebbero 'curati' dovrebbero trovare risposte specifiche, la paura del pensionato non andrebbe confusa con il razzismo, ma come parte di una fase della vita dove la vicinanza con la morte ci rende più fragili, insicuri; il disimpegno dei giovani andrebbe sfidato con leader e politiche credibili: servirebbe capacità di sintesi tra istanze differenti, contro i proclami estremistici che parlano solo alle minoranze più visibili, ma meno rappresentative del Paese.