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lunedì 10 gennaio 2022

A proposito di Covid ...


Tiziana Panella e il Covid: 
«Sono stata tanto male e ho pianto di paura.
Non è un raffreddore»

Tiziana Panella, giornalista televisiva di Tagadà su La7, racconta la malattia: «La cena del 24 dicembre ci ha colpito. Strike, focolaio familiare»

Tiziana Panella

Non è un raffreddore! Ho cominciato a stare male il giorno di Natale. Ma male male, all’improvviso. Dopo due anni, sono tornata con mia figlia a Caserta dai miei genitori. Insomma, ciclo completo di vaccinazioni, booster, tampone negativo... si può fare. Tasso di euforia alla partenza altissimo, mia figlia felice.

Il 24 a cena, c’è una specie di cappa. Il figlio di mio fratello è positivo, mio fratello non c’è. In compenso arriva Babbo Natale che, causa Covid, fa un giretto veloce e poi riparte con le renne.

Mi sveglio ed è Natale e sto male e resisto. Il 26 sono a Roma. I sintomi non li riconosco, forse è un’influenza, una intossicazione. Intanto, mi metto in isolamento, aspetto, mi sembra di stare meglio, poi di nuovo male.

La cena del 24 ha colpito, arriva la notizia del primo positivo, il secondo, il terzo, io sarò la quarta. Strike, focolaio familiare. Tutto come da manuale, sembra una puntata di Tagadà. C’è anche il soggetto fragile, sono io.

D’accordo con i medici che mi seguono, continuo la mia terapia abituale che dovrebbe aiutarmi anche contro il Covid. Non basta, sto male. Alziamo il dosaggio. Spio i rumori di mia figlia dentro casa, mi manca. La mia camera da letto affaccia sul giardino, mia figlia mi saluta attraverso il vetro. Lei è negativa. Siamo appiccicose noi due e lei è negativa. Sono contenta e sono anche scontenta. Vorrei aprire la porta e farla salire sul letto, vorrei mangiare tutto il cioccolato che abbiamo sotto l’albero e vedere un film brutto insieme, che lei si addormenta e io non riesco a spegnere.

Arriva il 31 dicembre. C’è Mattarella e mi parla. D’accordo parla alla Nazione e io dovrei impegnarmi ad interpretare ogni pausa, ogni parola detta e anche quelle non dette, soprattutto quelle... Ma sono distratta, vedo un uomo solo, in piedi in una stanza vuota, che pesa le parole, le soffre. Quasi subito arriva il maledetto Covid.

Parla Mattarella di questa infinita giornata buia, dei medici, della disperazione, delle bare. Comincio a piangere. Piango di paura, di sofferenza fisica, di solitudine. La solitudine può essere una buona compagna di viaggio. Supremazia assoluta sul telecomando, pigrizia senza sensi di colpa, nessuno da strattonare nel sonno perché russa, l’ultima maschera assurda e inutile che mi hanno regalato, sembro una strega ma domani sarò bellissima. Conosco la solitudine del cuore e della pelle e lo considero un buon affare, prezzo congruo. Ma la solitudine della malattia è un’altra storia. Sento il sangue che pompa sotto la pelle e la pelle brucia, mi fa male tutto dai reni alle dita delle mani. La gola è piena di spilli, sullo sterno mi hanno piazzato una pietra, la testa è una trottola che gira e pesa. Ho paura.

Mia figlia ha organizzato una super cena sushi. Io in camera, lei in giardino, in mezzo la porta di vetro. Si è vestita per me ed è bellissima. Fa freddo fuori e quindi si cambia. Pigiama e piumino, è perfetta. Non mi reggo in piedi, mi rimetto a letto e aspetto concentrata la mezzanotte. Non devo piangere e infatti non piango. Lei stappa una bottiglia mignon che una amica-sorella ci ha portato, ci strusciamo spalle a spalle in giardino e dietro le mascherine urliamo: vaffanculo 2021.

Videochiamata ai Panella quarantenati e sono libera. Voglio dormire, ma non c’è modo di fermare le lacrime. Sono sopraffatta. Guardo la mia camera accogliente e so che se non fossi vaccinata sarei in terapia intensiva. Sento la solitudine di chi ha lottato in altre stanze, magari voleva urlare mentre non aveva aria per respirare. È disperante, per chi è nella stanza, per chi è oltre il vetro. Sono morti così, da soli, in tanti, troppi. Le ho raccontate in trasmissione le bare di Bergamo e non trovavo le parole. Adesso quelle storie, quelle vite, quelle solitudini mi feriscono senza rimedio. Mentre scrivo sto meglio, i farmaci stanno facendo il loro lavoro, il corpo risponde. Piano piano recupero le forze. Mi era già successo in passato di sentirmi vicina, vicinissima, al burrone. Guardare giù è terrorizzante, ma il burrone sa blandire. Promette pace, è un imbroglio. Sarà per un’altra volta. Felice anno nuovo, abbiate cura di voi.
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Quei figli dei no vax costretti a veder morire 
i genitori che non vogliono curarsi

Il caso di Alessandro Mores che ha rifiutato di farsi intubare nonostante i disperati appelli dei figli. L’Occidente ha una grandiosa allegoria della responsabilità: Enea in fuga da Troia con il padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio per mano. La pandemia sta capovolgendo anche questo archetipo. Adesso sono i figli che tengono per mano i genitori facendo loro coraggio e cercando di salvarli


In questa pandemia dove ogni giorno contiamo decine di morti quello di Alessandro Mores (nella foto in alto tratta da Facebook), 48 anni, di Vicenza, non è solo l’ennesimo decesso, purtroppo, di un «no Vax convinto», come l’hanno definito i suoi familiari.

L’uomo, padre di tre figli, di 21, 16 e 10 anni, di professione agente di commercio, rifiutava di vaccinarsi e, quando a metà dicembre ha contratto il Covid che gli ha tolto il respiro, ha rifiutato anche di farsi intubare. Era arrivato martedì scorso in condizioni disperate nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Bortolo di Vicenza. Non voleva neanche ricoverarsi, l’ha fatto quand’era già troppo tardi. Solo il giorno prima, sul suo profilo Facebook, aveva postato una notizia, anzi una bufala, in cui si leggeva che in Sudafrica hanno abolito tutte le restrizioni perché la variante Omicron «non è pericolosa».

A chiamare il 118 era stato il figlio maggiore. Mores però è sempre rimasto fermo sulle sue convinzioni e avrebbe chiesto di firmare per non essere intubato. «Tanto guarisco lo stesso», avrebbe detto ai medici. La situazione è degenerata in un paio d’ore. La dottoressa che lo stava trattando, che è stata chiara fin da subito sul rischio che stava correndo, ha anche contattato i familiari. Ma nemmeno loro sono riusciti a convincerlo a farsi intubare. Gli appelli disperati, in lacrime, durante una videochiamata dei figli, sono rimasti inascoltati.

È questo il dettaglio che inquieta e fa rabbrividire. Nessun uomo è un’isola, scriveva il poeta John Donne. A maggior ragione se ha figli adolescenti, quindi non ancora adulti, da educare e portare avanti. Ogni relazione con l'altro - a cominciare dai propri figli - implica un'etica del dovere e della responsabilità, a cominciare da quella di fare tutto quanto possibile per non lasciarli soli per il resto della loro vita.

Al netto delle convinzioni, dell’ideologia, dell’ostinazione, della caparbietà, anche della paura – sentimento del tutto umano e comprensibile – può un padre ignorare l’appello disperato di un figlio a salvare se stesso? Non pensa, quel padre, che privare i suoi figli della sua figura, del suo amore, della sua guida valga la pena di correre il rischio – mettendosi nell’ottica di chi ha paura – di fare un vaccino e non negare l’evidenza di una pandemia che può anche essere gestita dai governi dei Paesi del mondo bene o male, a seconda dei punti di vista, ma innegabilmente uccide?

Nell’umano, lo sappiamo, non c’è nulla di scontato. E questo, come tanti altri casi analoghi, è una conferma. Che, però, sconvolge perché ha qualcosa d’innaturale, di enormemente imponderabile, di assurdo. Se neppure l’implorazione del proprio figlio è in grado di vincere la paura del vaccino e l’ideologia di chi afferma che è tutto un complotto, cosa serve di più?

Davvero possiamo illuderci che basti la corretta informazione (c’è già), mettere in fila i numeri (fior di analisti li danno ogni giorno), additare gli esempi di chi è morto perché non ha voluto né curarsi né vaccinarsi (la cronaca è piena)?

Federico Barocci, Fuga di Enea da Troia, 1598, Galleria Borghese, Roma
L’Occidente ha una grandiosa allegoria della responsabilità: l’eroico Enea che fugge da Troia in fiamme con il padre Anchise caricato sulle spalle e il figlioletto Ascanio tenuto per mano. Quell’uomo, sia pure nel fiore degli anni e del vigore, arranca perché con un braccio deve reggere il padre infermo e con l’altro sorreggere il bimbo. È l’immagine di una società che non scarta gli anziani e prende per mano i bambini.

La pandemia sta capovolgendo anche questo archetipo. Adesso sono i figli – come dimostrano tanti casi di ragazzi che chiedono ai genitori No vax di vaccinarsi per sé stessi e gli altri – che prendono per mano il padre e cercano di incoraggiarlo e salvarlo. O, come in questo caso, cercano di convincere i genitori a farsi prestare tutte le cure possibili per non morire di Covid.

Perché i figli hanno bisogno dei genitori, li amano, vogliono loro bene, non vorrebbero perderli. Anche quando si è colpiti da qualsiasi altra malattia che non dà scampo, i figli cercano sempre di fare tutto il possibile, fino all'estremo, per salvare la propria madre o il padre, in un'alleanza virtuosa, in un reciproco lottare. Ma se chi è malato non vuole curarsi e nega persino la malattia che lo sta uccidendo? Anche l’amore di un figlio a quel punto deve dolorosamente fermarsi in una presa d’atto disumana.

«Queste persone», ha commentato il primario di rianimazione dell’ospedale di Vicenza, Vinicio Danzi, «non credono più al sistema sanitario, alla medicina, ci vedono come nemici e hanno una visione distorta della realtà. Restano a casa fino a quando sono in condizioni disperate e si lasciano morire, ma perderli così no, questo no».
Almeno speriamo che la morte di Alessandro Mores e di tanti altri come lui serva a qualcosa e risparmi ad altri figli la crudeltà di vedere il loro appello a curarsi cadere nel vuoto. Non basta che l’esperienza della pandemia offra degli insegnamenti per accoglierli. Occorre decidersi a dare ascolto alla propria esperienza.

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Marina Corradi
L'ostinato rifiuto delle cure anti-Covid. 
Questa letale ansia di guerra


«C’è qualcosa, in questa pandemia, che lascia senza parole noi medici: il rifiuto alle cure da parte di no-vax che stanno morendo di Covid». Sono parole che continuano a segnare le testimonianze di medici e infermieri. E colpiscono come sferzate. Spesso le persone esitano davanti a una terapia dura, ma poi la voglia di vivere prevale, istintiva, atavica. Questa volta, no. Una citazione per tutte: «Mai – ha scritto lo pneumologo Sergio Harari sul 'Corsera' – ho assistito a un diniego così netto, oppositivo e ideologico come con i novax che da soli si condannano a morte certa e, purtroppo, anche angosciosa come solo la mancanza di fiato può causare».

Che succede, nell’inverno della cosiddetta quarta ondata, nel cuore e nei pensieri di alcuni italiani?
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Ma, anche restando fuori dal circuito più 'dark' delle elucubrazioni no-vax, come accade che persone finora come le altre, lavoratori, padri, scendano in questa china di ostilità assoluta a ogni cura?

Sembra quasi che, dopo 77 anni di pace, in qualcuno vivesse come il bisogno, l’attesa di una guerra. L’urgenza di schierarsi, di scegliere da che parte stare, di combattere. La guerra, purtroppo, è arrivata davvero. Ma, chi è il nemico? Il virus di cui dicono i media, davvero? O non siamo, invece, dentro a un immenso complotto in cui tutti, tutti, governanti, giornalisti, medici, sono coinvolti e corrotti?

I no-vax percorrono il deep web alla ricerca di crepe nella menzogna globale, e trovano profeti che li confortano nella verità di cui già sono certi: il vaccino non salva, anzi ci cambia il Dna, opera in noi una metamorfosi. È una visione in fondo paranoide del mondo: tutti mentono, tutti sono nemici. E si nega persino l’evidenza: grazie ai vaccini si muore assai di meno, no-vax ovviamente a parte.
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Ma, anche restando fuori dal circuito più 'dark' delle elucubrazioni no-vax, come accade che persone finora come le altre, lavoratori, padri, scendano in questa china di ostilità assoluta a ogni cura?

Sembra quasi che, dopo 77 anni di pace, in qualcuno vivesse come il bisogno, l’attesa di una guerra. L’urgenza di schierarsi, di scegliere da che parte stare, di combattere. La guerra, purtroppo, è arrivata davvero. Ma, chi è il nemico? Il virus di cui dicono i media, davvero? O non siamo, invece, dentro a un immenso complotto in cui tutti, tutti, governanti, giornalisti, medici, sono coinvolti e corrotti?

I no-vax percorrono il deep web alla ricerca di crepe nella menzogna globale, e trovano profeti che li confortano nella verità di cui già sono certi: il vaccino non salva, anzi ci cambia il Dna, opera in noi una metamorfosi. È una visione in fondo paranoide del mondo: tutti mentono, tutti sono nemici. E si nega persino l’evidenza: grazie ai vaccini si muore assai di meno, no-vax ovviamente a parte.

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Medico di Torino smonta punto per punto 
le obiezioni al vaccino anti Covid-19



Ottavio Davini, medico con 40 anni di esperienza, ultimo incarico all’Azienda ospedaliero-universitaria San Giovanni Battista di Torino e autore di alcuni libri di divulgazione sanitaria (“Nella bolla del virus”, Neos Edizioni – “Il prezzo della salute”, Nutrimenti Edizioni), ha spiegato in maniera approfondita e dettagliata perchè bisogna fidarsi del vaccino contro il coronavirus Covid-19, smontando punto per punto le obiezioni di chi per varie ragioni teme la campagna di vaccinazione appena cominciata.
Leggi tutto l'articolo da QuotidianoPiemontese

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