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sabato 25 luglio 2020

"Quando il califfo non entrò in chiesa" di Giorgio Bernardelli

Quando il califfo non entrò in chiesa
di Giorgio Bernardelli

Mentre scorrono le immagini della preghiera muscolare di Erdogan a Santa Sofia penso a uno dei luoghi più nascosti di Gerusalemme. Che in Saint Helena Road racconta la storia del giorno in cui il califfo Omar – il conquistatore – scelse per rispetto dei cristiani di non entrare al Santo Sepolcro


Dice di aver realizzato «un sogno della sua infanzia» il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E sulle tv di tutto il mondo scorrono le immagini della targa che da oggi a Istanbul indica la «Grande moschea di Santa Sofia» e della prima preghiera pubblica tenutasi dopo 86 anni in questa grande basilica cristiana fatta costruire da Giustiniano che fu il simbolo di Costantinopoli, prima di essere trasformata in moschea nel 1453. Molto è stato detto in questi giorni su questo passo di Erdogan, che proprio nel giorno dell’anniversario del Trattato di Losanna, ha cancellato la scelta di Kemal Ataturk che l’aveva trasformata in un museo. Una prova di forza inseparabile da tutto il resto: gli attacchi alle altre chiese, la nuova ondata di intolleranza verso tutte le minoranze, il linguaggio violento diventato ormai normalità in Turchia come ci raccontava qualche giorno fa il parlamentare siriaco Tuma Çelik in questa intervista.

Al di là di tutto questo – però – guardando oggi quelle immagini mi è venuto in mente un altro luogo che avrebbe potuto essere conteso e invece non lo è stato. Ho pensato alla Moschea di Omar a Gerusalemme. Quella vera. Sì perché molti pensano che nella Città Santa la Moschea di Omar sia la Cupola della roccia, la cupola dorata che svetta sulla Spianata. In realtà, però, quella non è una moschea; la moschea è al Aqsa, che si trova proprio di fianco. La Moschea intitolata a Omar – il successore del Profeta dell’islam, nonché conquistatore di Gerusalemme nell’anno 637 – si trova in un luogo molto più nascosto che chi passa dalla Città Santa nemmeno nota, nonostante si trovi a pochi metri dal Santo Sepolcro. Ci si passa oltre percorrendo Saint Helena Road tra le bottegucce di icone e altri articoli religiosi cristiani, con lo sguardo già rivolto alla porta che immette sul cortile da cui si accede alla basilica che a Gerusalemme custodisce il luogo della Crocifissione e la Tomba vuota. Io stesso sono passato davanti tante volte al suo cancello prima di accorgermi di un cartello che in arabo e in inglese dice «Moschea di Omar. Solo per la preghiera» (come si può vedere nella foto qui a fianco, tratta dal sito del Madain Project).

L’indicazione sembrerebbe pleonastica: che altro si dovrebbe andare a fare in una moschea se non a pregare? Nell’abituale caos di un certo turismo che consuma anche un luogo come Gerusalemme forse non è così scontato. Ma a me piace però pensare che quella scritta sia piuttosto legata alla storia straordinaria che questo luogo ha da raccontare. Una storia che rimanda a quel giorno dell’aprile 637 in cui i bizantini – dopo un lungo assedio – erano capitolati davanti all’esercito dell’islam e il califfo stava entrando nel posto più importante, la «madre di tutte la chiese» fatta costruire intorno al Sepolcro ormai tre secoli prima dall’imperatrice Elena.

Quel giorno l’allora patriarca Sofronio – il capo religioso degli sconfitti – in questo punto della città aspettava Omar preparandosi al peggio. E invece capitò quello che a troppi sguardi di oggi appare impensabile: il conquistatore decise di fermarsi e non entrare al Santo Sepolcro in segno di rispetto nei confronti dei cristiani. Non entrò a pregare lì dentro, con un gesto che avrebbe avuto conseguenze politiche pesantissime e probabilmente avrebbe portato alla trasformazione della basilica in una moschea. Anche se la città ormai era nelle sue mani, Omar decise che quello sarebbe rimasto il luogo della loro preghiera. E all’aperto, proprio là dove oggi sorge la piccola e dimenticata moschea di Omar, si fermò a pregare.

Il paragone con Santa Sofia è fin troppo facile: è proprio questo rispetto dell’identità altrui ciò che il gesto di oggi ha asciato cadere. La pretesa di cancellare la complessità della storia di un luogo, per esaltare un disegno semplicemente politico. Ma la moschea di Omar sta lì a raccontare che un’altra strada esiste ed è parte anche della storia dell’islam. Basterebbe solo ricordarlo a chi oggi sa solo mostrare i muscoli per puntellare il suo potere a Istanbul.

P.S. Si dirà: però il califfo Omar al posto del Tempio degli ebrei la Cupola della roccia l’ha costruita… Sbagliato. Quando ci arrivò lui la Spianata era in rovina da secoli. Era stato infatti l’imperatore romano Adriano nel 135 d.C. a bandire gli ebrei da Gerusalemme. Infastidito dalle loro rivolte giudaiche aveva ribattezzato la città come Aelia Capitolina e ne aveva cancellata ogni traccia. Fu proprio con Omar – cinque secoli dopo – che anche agli ebrei fu consentito di tornare a Gerusalemme. E cominciare a pregare davanti all’ultimo reperto rimasto del Tempio: quello che occhi conosciamo come il Muro Occidentale (il cosiddetto Muro del Pianto).
(fonte: Mondo e Missione 24/07/2020)