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martedì 14 luglio 2020

"Dopo la fine del lockdown: bilancio e prospettive" di Giuseppe Savagnone

"Dopo la fine del lockdown: bilancio e prospettive" 
di Giuseppe Savagnone


Le due facce del post-lockdown

La decisione del governo italiano di bloccare gli arrivi da ben 13 Stati, per limitare i rischi di contagio da coronavirus, è un indizio eloquente del capovolgimento che ha portato il nostro Paese ad essere, da focolaio di contagio, ad area relativamente sicura, rispetto a quasi tutto il resto del mondo. Al tempo stesso, il nuovo, preoccupante aumento dei casi di contagio sta portando a ventilare il prolungamento dello stato di emergenza fino alla fine dell’anno.

L’Italia, la prima nazione dell’Occidente ad essere colpita – e con estrema virulenza, almeno in alcune regioni del nord –, ha pagato un caro prezzo alla pandemia, non solo in termini di vite umane perdute (35.000), ma anche di sacrifici imposti alla popolazione e di danni subiti dall’economia per un lockdown particolarmente rigido. Oggi però si trova nelle condizioni di poter tirare un sospiro di sollevo – anche se relativo (e sempre condizionato dal mantenimento di alcune misure elementari di sicurezza) – e può fare un bilancio complessivamente positivo, pur con tutte le dovute riserve, della linea di politica sanitaria seguita per fronteggiare il coronavirus.

Lo schiaffo ai negazionisti

Ad attaccarla come insensata o accusandola di essere liberticida sono stati in tanti. All’estero essa era stata addirittura oggetto di derisione. Finché la pandemia non ha colpito con estrema violenza proprio i Paesi i cui governanti avevano ostentato il loro scetticismo e la loro noncuranza verso i segnali di allarme che venivano dall’Italia. Il primo a pagare le conseguenze di questo atteggiamento è stato il Regno Unito, il cui premier, Boris Johnson, ha vissuto sulla propria pelle, ammalandosi e rischiando la vita, la più sonora smentita del suo negazionismo, e che attualmente, con quasi 45.000 morti, è la nazione europea con un maggior numero di vittime.

Non meno clamoroso lo schiaffo dato dal coronavirus alla sicumera con cui il presidente Trump aveva assicurato che gli Stati Uniti non correvano alcun pericolo, continuando a ripetere che gli scienziati sono troppo allarmisti e che non bisognava paralizzare l’America con eccessivi timori. Da qui anche il suo appoggio ai manifestanti che in diversi Stati hanno aspramente contestato il lockdown, rivendicando il diritto alla propria “libertà”. Anche in questo caso il rifiuto ostentato di adottare le più elementari cautele – Trump ha sempre evitato di portare la mascherina e fino a pochi giorni fa ha presenziato a un raduno oceanico dei suoi sostenitori (anche loro senza mascherina) – ha dato i effetti prevedibili: più di tre milioni di contagi – con un ritmo che tocca sempre nuovi record (siamo a più di sessantamila al giorno) – con 133.000 morti.

Il terzo Paese più colpito al mondo è stato il Brasile. Il presidente Bolsonaro è stato un negazionista convinto e instancabile, e lo rimane anche ora che il virus ha colpito anche lui, insistendo sulla inutilità del lockdown e sulla necessità di continuare a condurre la vita ordinaria. Risultato: un milione e ottocentomila contagi e quasi 70.000 decessi.

I “complottisti” e don Ferrante

Foto di Anrita1705 da Pixabay
Questi dati dovrebbero fare riflettere anche coloro che tenacemente, nel nostro Paese, hanno accusato il governo di avere abusivamente limitato la libertà e i diritti. Non parlo qui dei “complottisti”, che hanno addirittura negato non solo la pericolosità reale della pandemia, ma la sua stessa esistenza, attribuendone l’“invenzione” a scienziati corrotti, al soldo delle grandi case farmaceutiche. Davanti a più di dodici milioni di persone contagiate in tutto il mondo e a più di mezzo milione di morti, la loro posizione assomiglia sempre di più a quella dei “terrapiattisti”, che attribuiscono a una congiura la tesi secondo cui la terra sarebbe rotonda.

Nemmeno mi riferisco ai sopracitati leader mondiali che, senza arrivare a questi estremi, hanno creduto però di poter contestare la gravità della pandemia e alcuni dei quali, come si è visto, hanno fatto la fine del don Ferrante dei Promessi sposi, il quale, in piena pestilenza, era arrivato alla conclusione che la peste non poteva esistere perché non rientrava nella categorie della logica aristotelica, non essendo né una sostanza né un accidente, salvo poi a ad ammalarsi e a morire lui stesso appestato.

Diritti negati?

Penso, piuttosto, alle diffuse recriminazioni di chi, a proposito del lockdown, ha con insistenza parlato di “diritti negati”, e quindi anche a quella parte del mondo cattolico che ha vivacemente protestato, finché sono rimasti in vigore, per i divieti alle celebrazione di messe, matrimoni e funerali.

Davanti al disastro provocato altrove da strategie meno severe, questi difensori della “libertà” hanno rimproverato al governo di non avere voluto seguire una linea “mediana”, che evitasse lockdown, imposizioni poliziesche e gravi danni all’economia, puntando piuttosto sul senso di responsabilità dei cittadini, senza cadere però nel lassismo provocato altrove dai governanti “negazionisti”.

Chi ha seguito i miei “chiaroscuri” di questi ultimi mesi sa che ho più volte rilevato gli errori, le incertezze, le contraddizioni che hanno contraddistinto, a livello tattico, l’azione di Conte. Mi sembra difficile, però, alla prova dei fatti, negargli il merito di avere seguito una strategia che alla fine ha limitato i danni in termini di vite umane.

Il prezzo economico: mal comune mezzo gaudio

Si potrà dire che il prezzo è stato troppo alto. In particolare, impressionano i dati dell’economia: in base alle stime del Fondo monetario internazionale, il nostro Paese avrà nel 2020 una caduta del Pil del 12,8%.

Ma a chi imputa questo prezzo agli errori di gestione da parte del governo, è facile far notare che il Fondo, sempre per il 2020, prevede anche per la Spagna un calo del Pil della stessa portata – 12,8% – e uno di poco inferiore – del 12,5% – per la Francia. Crisi a due cifre anche per il Pil britannico, che nel 2020 calerà del 10,2%. E che per la stessa “locomotiva” tedesca si preveda una contrazione del 7,8% è significativo della difficoltà incontrata da tutti i grandi Stati europei nel conciliare tutela della salute e difesa dell’economia.

Bastano i “consigli”?

Quanto all’accusa di avere violato i diritti umani, costringendo d’autorità a un confinamento che avrebbe dovuto essere se mai consigliato, c’è solo da far notare che, dei Paesi con cui il confronto è possibile (ce ne sono, come la Svezia, le cui condizioni sono troppo diverse), che hanno registrato un numero minore di morti sono quelli che hanno adottato forme di severo confinamento, mentre in altri, come l’Inghilterra, i “consigli” non sono mancati, ma si sono rivelati insufficienti.

Anche in Italia, del resto, dove la fine del lockdown è accompagnata, in questi giorni, da pressanti raccomandazioni di non abbassare la guardia, le foto pubblicate dai giornali, ma anche la nostra quotidiana esperienza, ci dicono la vanità di questi appelli. Da qui il timore di una “seconda ondata” della pandemia e le ipotesi di prolungare lo stato di emergenza.

La verità è che il dopo-lockdown sta dimostrando quanto sia carente il senso di responsabilità dei cittadini, quando non è sostenuto da norme rigorose. È un fatto che può dispiacere, ma che è difficile negare.

Il dualismo perverso tra Stato e individuo

La verità è che il coronavirus ha messo in luce una debolezza di fondo insita nella logica liberale che, indebolendo, fino a volte ad eliminarlo, il senso comunitario dei singoli e favorendo una cultura individualista, affida solo allo Stato “gendarme” (l’espressione è dei pensatori che hanno fondato il liberalismo) e alle sue leggi impositive il compito di garantire la convivenza civile. L’antica idea che l’essere umano sia “sociale” per sua natura, e strutturalmente legato agli altri da una reciproca responsabilità, ha lasciato così il posto a una visione in cui l’individuo si ritiene veramente libero quanto meno è vincolato ad essi e al rispetto delle loro esigenze.

Diritti senza doveri

Perciò, l’esaltazione dei diritti non è stata controbilanciata da una analoga percezione dei doveri. A porre questi ultimi si è dovuto e si deve provvedere con la coercizione esterna delle leggi, che, in questo modo, diventano non la garanzia, ma il limite della libertà e vengono subite con insofferenza.

Lo abbiamo visto e lo vediamo non solo di fronte alla pandemia, ma, purtroppo, nella crisi complessiva del senso di cittadinanza che dovrebbe essere alla base della nostra democrazia. Il bene comune, per la grande maggioranza, è solo uno slogan vuoto. E ai governi si chiede non di perseguire questo ideale utopico ma, molto più realisticamente, di cercare di bilanciare nei limiti del possibile i diversi e talvolta opposti interessi particolari, ovviamente appagando in primo luogo quelli più forti.

Di questa fragilità costitutiva – che mina le basi della nostra società – sentiremo tutte le conseguenze quanto più usciremo dall’emergenza. Già ora l’allentarsi del pericolo e, conseguentemente, delle regole esteriori, ha favorito il ritorno agli individualismi e ai particolarismi, anche all’interno del governo, come evidenzia la permanente paralisi che rende lentissime le sue decisioni.

“Minoranze profetiche da shock” per un mondo diverso

Esistono soluzioni? A breve scadenza, no. Una cultura diffusa non si cambia con un colpo di bacchetta magica. Ma possono incidere su di essa, per trasformarla, quelle che Jacques Maritain chiamava «minoranze profetiche da shock», gruppi capaci di esercitare una critica in profondità dell’esistente, spingendo a riflettere su prospettive diverse. Magari, come nel caso del coronavirus, partendo dalle esperienze più negative per aprire alla speranza di un mondo diverso.
(fonte: TUTTAVIA 11/07/2020)