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lunedì 27 luglio 2020

Don Matteo Zuppi, artigiano della pace


Don Matteo Zuppi, artigiano della pace

Intervista. L'arcivescovo di Bologna sui temi della guerra, della pandemia, dell'isolamento giovanile


Lo conoscono e lo rispettano in moltissimi, credenti e non, tra Trastevere e Torre Angela, Sant’Egidio, Rebibbia e Regina Cieli, e molti altri luoghi da lui frequentati. Tutti lo chiamano per nome e gli danno del tu, rimpiangono la sua assenza e trovano ingiusto il suo trasferimento nella ben pasciuta Bologna a discapito della nostra disastrata e sbrindellata Roma-Calcutta disgraziata e vituperata capitale. Per fortuna ogni tanto ripassa. A volte a ricevere nomine e onorificenze, che non sembrano aver modificato la sua natura aperta e disponibile, altre, per fortuna, ad incontrarsi e dialogare con i suoi vecchi concittadini. L’ultima volta che ci siamo visti è stato a novembre al Teatro India in una serata speciale nella quale Sua Eminenza il Cardinale Matteo Zuppi si è amichevolmente e direi fraternamente confrontato col filosofo movimentista Franco Berardi detto Bifo sul tema dell’Apocalisse. 
Alla fine dell’interessante incontro mi è parso che il più mistico e pessimista dei due fosse Bifo mentre più politico e terreno e naturalmente dotato di speranza Zuppi. Ma forse era solo un’impressione superficiale. 
Questa volta l’occasione è data dai ragazzi del cinema America che lo hanno invitato a presentare il film Tutto quel che vuoi di Francesco Bruni il 31 luglio a piazza S. Cosimato. 
Approfitto dell’occasione per fargli un’intervista telefonica, gli argomenti sarebbero molti … anche io gli darò del tu.

Intanto domanda a bruciapelo, dimmi due parole su Santa Sofia

Ha ragione Papa Francesco. Addolora. Credo che Papa Francesco intenda dire che i luoghi simbolo che sono i luoghi dove si vede la storia appartengono e devono restare sempre aperti a tutti.

Verrai a presentare il film di Francesco Bruni che parla dell’amicizia tra un ragazzo ed un anziano. 

Sì, è il rapporto tra un giovane ed un anziano malato di alzheimer

Quindi difficile.

Sì, una comunicazione che all’inizio sembra impossibile, tra due mondi distanti ma che si risolve nel migliore dei modi perché si conoscono e l’incontro, quello che in realtà sembrava incomunicabile, finisce per provocare un cambiamento impensabile per il ragazzo e quindi è chiaro che abbiamo bisogno delle radici, e che l’eleganza e l’intelligenza anche se malmessa dell’anziano quando riesce a comunicare, quando arriva a qualcuno che non ne ha mai fatto esperienza, trasforma sia l’uno che l’altro. Quindi il problema vero è che i mondi devono parlarsi.

A proposito di giovani, so che hai incontrato le sardine bolognesi, dopo il lockdown: come sta riprendendo la partecipazione giovanile?

Penso che è tutto ancora molto aperto, è difficile perché in realtà se dovessimo ragionare sulla ripresa, adesso potrebbe sembrare che i ragazzi abbiano ripreso a comportarsi come prima, ricominciano a venire come se niente fosse, come se avessero vissuto in maniera impermeabile la pandemia, come se nulla fosse accaduto ma in realtà credo non sia così. C’è un problema molto più profondo tutto da capire su cosa è cambiato per te quando sei costretto a studiare da solo, fare gli esami davanti a un computer, quando ti accorgi che la comunicazione digitale che ha sostituito la vera comunicazione non basta più, ti accorgi che non è sufficiente, che hai bisogno di una comunicazione fisica reale; mi sembra che siano tutti dei punti interrogativi che si risolveranno nei prossimi mesi perché non credo che non ci sia stata sofferenza in una condizione come questa. E poi c’è l’esperienza del limite che è una esperienza che abbiamo fatto tutti e della responsabilità, della fine che per la prima volta hanno fatto in maniera fisica anche i giovani. Cosa ha significato? potrebbe aver significato una chiusura o anche un’ apertura.

In questo periodo si è spesso paragonata la pandemia alla guerra cosa ne pensi?

Cito una frase di Papa Francesco: penso che ci accorgiamo che non è possibile pensare di vivere sani in un mondo malato che non è possibile che ci si salvi se intorno c’è la guerra e quindi dobbiamo fare qualcosa per la guerra, lì è il nodo, abbiamo capito che quando c’è una guerra colpisce tutti. Questo è chiaro, nessuno è protetto quando c’è la guerra anche chi ha un sacco di soldi non si salva. Il problema vero è che chi sta male sta molto peggio, che le differenze aumentano come nella pandemia.

A proposito di guerre e guerriglie Don Matteo Zuppi è stato mediatore per la pace in Mozambico insieme alla Comunità di Sant’Egidio nel 1992, è tornato a celebrare una seconda volta la pace nel 2017 ma anche questa volta la pace sembra un’utopia.

La situazione è gravissima ci sono tantissimi morti e sfollati e tantissima brutalità e bisogna tener presente che questo comincia già alla fine del 2017 con atti di brutalità per terrorizzare la popolazione.

Ti cito un pezzo scritto da Maria Salghetti,(organizzatrice del sistema sanitario mozambicano e infermiera personale di Samora Machel ) su «voci globali.it: «Dal 2017 nel Nord del Paese, soprattutto nella zona di Cabo Delgado e proprio nelle antiche zone liberate del FRELIMO, è sorto un nuovo focolaio di violenza di ispirazione integralista islamica che ha trovato terreno fertile tra i giovani delusi e senza futuro di una popolazione che ha dato tutto per la liberazione del Paese, trovandosi poi abbandonata a se stessa per anni. E che ora soffre dell’esproprio della sua terra a favore di grandi investimenti da cui non ottiene alcun beneficio. Assiste all’apertura di strade, piste di atterraggio, costruzione di villaggi confortevoli per i tecnici. Vede sfrecciare camion, bulldozer, lussuosi Suv, percependo che girano moltissimi soldi.» Qual è l’identità dei banditi? sono gli Al Shabab? è per via dei soldi che stanno circolando dopo la scoperta del giacimento di gas nell’oceano di fronte al nord del Mozambico?

Certo, sicuramente ci sono gli aspetti economici, non c’è dubbio, ma alcuni si domandano quanto siano davvero gli estremisti islamici perché anche molti mussulmani locali hanno subito molte vittime per cui si tratta di un misto tra islam e banditismo e traffico di droga.

Il Mozambico è il paese in cui si svolge la gran parte del traffico di droga proveniente dall’Asia e diretta in Europa?

Esatto in più c’è l’arrivo delle Big Oil come e quindi a un certo punto i mozambicani si sono trovati davanti a grandissime aspettative e quindi anche il rischio che questo innesto improvviso di una potenziale ricchezza abbia creato non pochi problemi all’interno del tessuto sociale nel nord del Mozambico perché intanto sono già arrivati alcuni simboli di questa ricchezza che fondamentalmente non è una ricchezza, perché ancora non sono cominciati gli sfruttamenti, cioè esplorazioni sì sfruttamenti ancora no, e quindi è chiaro che c’è una connessione con tutti i progetti petroliferi. Comunque chi siano i banditi è un grande punto interrogativo perché credo ci siano dei predicatori che vengono da fuori poi c’è la Somalia alcuni vengono dal Malawi dallo Zimbabwe dal Gambia.

Cito di nuovo Maria Salghetti: «I giovani vengono strumentalizzati dall’ISIS (il legame è stato riconosciuto anche dal Governo). Secondo alcuni, i complottisti, è per creare un’instabilità locale tesa a favorire il libero movimento degli investitori. Altri, invece, sostengono che è per permettere il passaggio impune di ingenti quantità di droghe tra l’Oriente e i Paesi occidentali. Comunque, alla base di tutto c’è la povertà e la disperazione.
Quindi consideri il Mozambico in una situazione veramente grave.

Sì, da non prendere assolutamente sottogamba e poi va sempre peggiorando.

Mi sembra che la situazione sia grave in molti posti dalla Siria alla Libia, Yemen… un elenco lunghissimo di guerre e dittature rispetto alle quali l’Europa, e l’Italia in particolare, non riesce a risolvere le proprie contraddizioni né a prendere posizioni nette ed eticamente accettabili.

Uno degli effetti della pandemia è che ci si rende conto delle grandi sfide con cui ci dobbiamo misurare e che la consapevolezza che durante la pandemia tutti quanti dovremmo avere è che in realtà soltanto insieme se ne esce, per cui se intanto c’è una convergenza per provare a restaurare a guarire tante parti del mondo che sono in difficoltà e non accettarle cinicamente, questo dovrebbe essere il frutto vero della pandemia.

Cosa pensi della diminuzione drastica delle nascite nel nostro paese? sembra che neanche gli emigrati facciano più figli, siamo un paese che non ha più nulla da offrire al futuro? non siamo in grado di proteggerlo forse neanche più immaginarlo?

In effetti se non hai garanzie non c’è niente da fare e anche gli stimoli, no? in questa situazione ti chiudi, guardi solo al presente, ti conservi, ecco, ora il nodo è che questo funziona per tutti indipendentemente dal ruolo, è la mentalità comune, anche degli stranieri. Però non è soltanto un problema economico, sì c’è anche quello, ma è proprio un problema di stimoli, di possibilità di pensare un futuro e anche su cosa punti. Questa sarebbe anche un po’ la cosa per cui effettivamente punti sulla carriera oppure …il problema è la speranza.

La speranza ma anche il riconoscimento di diritti non solo ai migranti ma anche alle donne.

Si è vero la parità non c’è , però non credo che avere finalmente una piena parità di stipendio sia il problema, il problema è che se vuoi fare un figlio perdi il lavoro, non hai protezione, non hai garanzia che sia tale e che ti assicuri una stabilità e poi c’è il problema di guardare oltre. Noi siamo un po’ una generazione individualista, che pensa solo al presente, per cui a un certo punto hai meno spazio per l’altro che ancora non c’è.

Tu a Roma eri conosciuto da moltissimi giovani, come va con i ragazzi bolognesi?

Oltre alle parrocchie tutte le volte che posso vado a parlare nelle scuole e cerco di seguire tutte le realtà giovanili però amerei fare di più.
(fonte: Il Manifesto, articolo di Alessandra Manzi 25/07/2020)