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giovedì 30 luglio 2020

30 luglio Giornata internazionale dell'amicizia - Le amicizie vere fanno bene. Anche alla salute. Ecco perché

30 luglio Giornata internazionale dell'amicizia 
Le amicizie vere fanno bene. Anche alla salute. Ecco perché
La salute passa anche da qui: dal piacere di chiacchiere e risate tra “ragazze” (foto Getty Images)
Il modo in cui ci siamo comportati in questa curva improvvisa della nostra esistenza interesserà i ricercatori per gli anni a venire. È un esperimento naturale e involontario sulla nostra specie.
Cos’è accaduto ai Sapiens quando la pandemia ha portato la morte e la paura della morte? Arriveranno indagini e risultati su tutto, dai livelli nel sangue di cortisolo, l’ormone dello stress, fino alla produzione in casa di lievito madre.
Al tempo della peste boccaccesca ci si limitava a descrivere «lo sbigottimento delle genti». Ma il senso non cambia: abbiamo sofferto, abbiamo subito uno shock emotivo. E ora non possiamo rimanere prigionieri dell’angoscia. È necessario riemergere, come invitano a più riprese gli psicologi. Riprendiamoci i nostri amici, dunque, ricominciamo da lì, ci sono mancati.
Con le cautele del caso, certo, ma ripartiamo dagli affetti. Già nel 1946 l’Organizzazione mondiale della sanità dava una definizione di salute che va ben oltre l’assenza di malattia: è «uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale». Un’armonia tra corpo, mente e le relazioni con gli altri.

Il cervello è sociale
L’amicizia ha origine dalla cooperazione, ricorrente tra gli animali, perfino negli insetti come formiche o api. Inermi, esili, i nostri antenati si aggiravano in un habitat irto di pericoli e avevano bisogno gli uni degli altri per sopravvivere.
Ma sono stati gli ultimi diecimila anni quelli decisivi per plasmare il nostro cervello, quando l’uomo primitivo, con la diffusione dell’a-gricoltura, da errante è diventato un essere tribale.
L’evoluzione ha premiato i rapporti umani, tanto che la neocorteccia, cioè la sede delle funzioni cognitive superiori, ha fatto della socialità uno dei suoi cardini.

Si producono endorfine
Usando le tecnologie di imaging, in pratica guardando nell’intrico dei nostri neuroni, si è visto che coltivare gli affetti lascia tracce profonde. Uno studio dell’Università di Oxford ha provato che frequentare gli amici porta a un rilascio nel cervello di endorfine, sostanze che danno benessere e che funzionano da antidolorifici potenti.
Quando si dice: avere una spalla su cui piangere. «L’amicizia migliora la felicità e abbatte l’infelicità, col raddoppiare della nostra gioia e col dividere il nostro dolore» scriveva Cicerone.
Un amico è colui che ascolta i tuoi racconti, che entra nel tuo mito personale. C’è anche quando i canali del confronto con i familiari sono intasati. Rappresenta un territorio di estraneità in cui espandere la nostra esperienza, rendendo fertili il pensiero e l’immaginazione.

Almeno 10 amici, non oltre 150
Una ricerca condotta all’Università inglese di Nottingham, su un campione di 1760 persone, conclude che si sta meglio se si hanno almeno dieci amici. I sentimenti sono terreni scivolosi, non si possono prendere per oro colato i risultati degli studi, seppure seri e accurati.
A proposito di cifre, è celebre il cosiddetto “numero di Dunbar”. Negli anni ’90, l’antropologo e psicologo Robin Dunbar ha dimostrato con i suoi esperimenti come gli uomini, in qualsiasi contesto e periodo storico, riescano a mantenere relazioni significative con 150 persone al massimo.
La neocorteccia non riesce a gestirne di più, pena l’estinzione di alcuni dei rapporti (per assenza di contatti). Il nucleo di base, secondo le analisi dello scienziato, è formato da tre o cinque best friends. Oltre a questa prima cerchia, se ne trova in genere una seconda con altre dieci persone, con cui si comunica almeno una volta al mese, anche per una chiacchierata, poi una terza sfera con trenta e così via, – fino ai conoscenti con cui magari si scambiano solo gli auguri per le festività.

Gli studi su Facebook
Non avremmo la capacità d’intrattenere relazioni stabili con più di 150 persone. E Facebook? I contatti dei social network aiutano a sostenere un’intelaiatura di relazioni più ampia? O forse, nell’illusione di aprire a migliaia di potenzialità amicali, si rischia di impoverire i legami forti, cui viene sottratto del tempo che si sparpaglia online?
Plutarco avvertiva, un paio di secoli fa: «L’amicizia si compiace della compagnia, non della folla […]. Se si divide un fiume in diversi canali, il suo corso diventa debole e sfinito. Così è dell’amicizia: s’indebolisce a misura che si divide».
I timori di un mondo distopico, in cui i cellulari battono la realtà, animano da tempo il dibattito contemporaneo. Gli studi negativi hanno occupato la scena per anni, mentre negli ultimi tempi è emerso un certo consenso. Indagini recenti hanno rilevato che la maggior parte delle persone comunica su Facebook o Instagram soprattutto con gli amici della vita reale e che, in questi casi, la connessione digitale riduce la depressione e accresce la percezione di supporto sociale.
Le interazioni online, del resto come quelle offline, sono più soddisfacenti se avvengono con qualcuno cui siamo molto legati.

I legami dormienti
I risultati di una ricerca condotta dalla Rutgers University, nel New Jersey, fanno pensare che la combinazione di varie modalità di interazione, dal telefono a WhatsApp, dalle e-mail ai messaggi via LinkedIn, possano addirittura rafforzare le amicizie. Non solo: mantengono vivi i legami dormienti.
I canali social ci darebbero la possibilità di restare in contatto con persone di cui avremmo altrimenti smarrito le tracce nel corso dell’esistenza. Compagni delle elementari, vecchi colleghi, parenti lontani.
In un certo senso, recuperiamo una natura delle relazioni che è svanita fin dagli albori della rivoluzione industriale, quando uomini e donne hanno cominciato ad abbandonare i villaggi d’origine per trasferirsi in città, perdendo di vista le figure con cui erano cresciute.
Più in là, gli studi elaboreranno in dati il come e il quando delle nostre interazioni online. È ancora presto per dire che cosa succederà quando la paura del Covid 19 sarà davvero finita, se il distanziamento sociale avrà portato a un avvicinamento social, se Instagram e Tik Tok avranno riempito o amplificato il vuoto lasciato dalle cene in compagnia. Intanto riprendiamoci gli amici. E parliamo, ridiamo.
Gli arabi hanno una parola bellissima, samar, che significa «sedersi insieme per narrare storie all’ora del tramonto». Torneremo a farlo.
(fonte: IOdonna, articolo di Eliana Liotta 10/07/2020)