Sette anni fa il rapimento in Siria di padre Paolo Dall’Oglio.
Il 29 luglio 2013 sparì a Raqqa, città siriana dove sembra che si fosse recato per negoziare la liberazione di ostaggi in mano agli estremisti islamici.
Servizio TG2000 di Maurizio Di Schino
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«Paolo Dall’Oglio, mio fratello:
non tradite gli scomparsi in Siria come lui»
Rapito 7 anni fa, ora la sorella ne parla in un film. Per ricordare i 100 mila desaparecidos siriani
«Ayouni» in arabo significa letteralmente «i miei occhi» ma è un’espressione usata nel linguaggio degli affetti per dire «amore mio», non solo tra innamorati ma anche tra fratelli. È il titolo del docufilm di Yasmin Fedda, che ha accompagnato per sei anni due donne nella ricerca della verità sui loro cari. Una di loro è Immacolata Dall’Oglio, sorella di Padre Paolo, il gesuita che appoggiò la rivoluzione e perciò fu cacciato dalla Siria dove aveva vissuto per 30 anni come monaco; il 29 luglio 2013 sparì a Raqqa, città siriana dove sembra che si fosse recato per negoziare la liberazione di ostaggi in mano agli estremisti islamici. L’altra è Noura Safadi, che cerca dal 2012 il marito Bassel, informatico che diffondeva i video delle proteste anti-regime: erano «gli sposi della rivoluzione».
«Yasmin ha dato la parola a noi per dar voce a tutti gli altri scomparsi», spiega al Corriere Immacolata Dall’Oglio a sette anni dal sequestro del fratello. Si stima che le sparizioni forzate siano 100mila in nove anni di guerra, accanto ai 380mila morti e ai 13,5 milioni di rifugiati e sfollati.
Il film mette a fuoco «quello che l’opinione pubblica corre il rischio di dimenticare, e cioè l’inizio sincero, coraggioso, generoso, della rivoluzione del popolo siriano, che ha perso il meglio della sua gioventù, come diceva Paolo, nelle carceri del regime, sotto le bombe, nei campi profughi, in mano all’Isis, lungo la rotta balcanica e nel Mediterraneo — sottolinea la sorella —. Bassel è stato vittima del regime; Paolo è stato rapito non sappiamo da chi ma chiunque sia stato, alla radice della violenza c’è la stessa negazione dei diritti di libertà, di parola, di confronto».
La pellicola racconta l’attesa, l’incertezza, il bisogno di risposte concrete di chi ha visto sparire forzatamente una persona cara. Immacolata ha conosciuto la regista nel 2014 nel Kurdistan iracheno, dove con il marito si era recata per avvicinarsi il più possibile al fratello scomparso visitando il monastero in cui lui aveva trovato accoglienza, non potendo tornare in Siria. «Yasmin ha preso per mano me e Noura, ci ha accompagnate nella ricerca». Quasi ogni anno si sono incontrate, per aggiungere un tassello. «E non si riusciva a mettere la parola fine al film, non ci riusciva Yasmin per prima. Poi ha scelto di farlo dopo la comunicazione ufficiale che Bassel era stato ucciso nelle carceri siriane e dopo un evento a Berlino con l’associazione Families for Freedom, quando il ritratto di Paolo è stato collocato su un autobus rosso partito da Londra, insieme a quelli di tante persone detenute o scomparse. Per me è stata un’esperienza profonda di piccolezza — spiega Immacolata — perché la mia è una storia privilegiata. Ognuna di quelle donne, a partire da Noura, ha pagato duramente. Ho chiarissimo il volto fiero di una giovane che era stata incarcerata lei stessa, ricordo gli occhi verdi di una intensità infinita di una ragazza scappata con la madre: il papà non le aveva seguite, non poteva abbandonare il suo popolo. Quando abbiamo messo Paolo, col suo ritratto, su quel pullman, accanto ai volti di sei bambini fatti sparire insieme al padre, sapevo che mio fratello stava al suo posto».
Paolo è «nato nove anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è stato giovane a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, ed è un figlio del Concilio Vaticano II, che credeva nel dialogo religioso come condivisione della profondità dell’esperienza di fede». La fine della sua storia, come le altre, resta sospesa. «Per Paolo è tutto aperto, e noi siamo disponibili a tenerlo aperto. Inoltre resta la necessità di attribuire delle responsabilità. Si sta facendo un processo importante in Germania contro alcuni crimini del governo siriano, ma che tipo di supporto internazionale è stato dato a chi opera sul campo per dare un volto alle persone nelle fosse comuni di Raqqa? Yasmin ha chiuso il film perché non aveva alternative, ma sette anni dopo le questioni sono tutte aperte». Come il disastro siriano: i profughi, la fame e ora anche il Covid. «Se li dimentichiamo, l’umanità non andrà avanti».
Il docufilm
Mercoledì 29 luglio, alle 21.30, nella sala virtuale del cinema «La Compagnia» (la casa del documentario dalla Regione Toscana, informazioni a questo link) va in onda Ayouni di Yasmin Fedda. L’evento è promosso dal festival Middle East Now, come anteprima della prossima edizione che si svolgerà dal 6 all’11 ottobre a Firenze. Il film sarà visibile on demand fino al 31 agosto.
(fonte: Corriere della Sera, articolo di Viviana Mazza 28/07/2020)