XXVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
Lasciarci togliere il sonno
Dovremmo augurarci che il volto del povero alla porta o del bambino che fugge da Gaza ci tolgano il sonno la notte. Solo chi si lascia interpellare da una mancanza riesce ad accogliere una Presenza più grande di sé
Mi commuove che, nel tessere la parabola, per parlare del povero, al Maestro sia venuto in mente il nome dell’amico cui voleva molto bene (Gv 5,11), per cui scoppiò in pianto davanti a tutti gli altri (Gv 11,35), Lazzaro. Mi fa immaginare la tenerezza con cui Gesù doveva pensare a questo povero coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco – tanto da dargli il nome dell’amico che amava molto (cfr. Gv 11,36).
E chissà che volto doveva avere questo povero Lazzaro nella mente del Maestro. Chissà come se lo immaginava, seduto a terra, mentre finanche i cani arrivavano a leccare le sue piaghe. A me viene da immaginarlo con il volto dolce e disperato di quel bambino che piange e porta sulle spalle la sorellina, con gli occhi confusi, mentre va via scalzo da Gaza.
Dovremmo provare anche noi, come ha fatto Gesù, a dare, per un attimo, a quel bambino il nome della persona cui vogliamo molto bene. Resteremmo senza sonno al pensiero di non sapere dove sia ora, e cosa stia facendo.
Ma io voglio dire una parola di tenerezza anche a te, uomo ricco dai vestiti di porpora e di lino finissimo, anche se Gesù ti ha lasciato anonimo. Voglio parlare anche con te, perché ci somigliamo così tanto. E forse anche a te, qualche volta, rientrando in casa, ti sarà venuta una stretta di compassione a vedere quel povero alla tua porta. Forse, lasciando il freddo della strada per il tepore delle tue stanze, per qualche istante c’avrai anche pensato, ti sarai forse anche sentito in colpa.
Poi, però, c’era la cena da preparare, gli ospiti a cui pensare, la stanchezza della giornata da smaltire. Ci mette poco la polvere dei nostri comodi affari a riprendersi tutto lo spazio che Lazzaro ha aperto in noi.
Invece io vorrei dire a te, a me, e ai tuoi cinque fratelli, di lasciarci togliere il sonno. Se c’è un augurio che ti farei è quello di sognartelo la notte, quel volto. Di esserne ossessionato. E non perché ci sia una giustizia biecamente retributiva da temere. Chi racconta la parabola è lo stesso che ha raccontato di un padrone che dà agli operai dell’ultima ora la stessa paga di chi ha lavorato dal mattino. Ma perché solo chi si lascia interpellare da una mancanza riesce ad accogliere una Presenza più grande di sé.
È per questo che i poveri già possiedono il regno dei cieli (Mt 5,3). Ed è per questo che – ne sono convinto – anche Lazzaro è andato da Abramo a pregarlo: «Mandami a bagnargli la lingua, perché soffre terribilmente».
Questo vorrei dirti, uomo ricco che mi somigli così tanto. Ma «l’uomo nella ricchezza non comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,21). E mi pare di cogliere, nello sguardo del Maestro che racconta, una profonda tristezza, che gli altri non avranno compreso, quando conclude con amarezza: «Non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti…».
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Luigi Testa 28/09/2025)