Gli scioperi per Gaza
Eppure... «quando il saggio indica il genocidio, gli stolti guardano le vetrine».

Come ha affermato lo scrittore e giornalista Basilio Petruzza, a proposito della straordinaria partecipazione allo sciopero generale e ai cortei promossi dalle sigle sindacali di base in solidarietà con Gaza e a sostegno della Global Sumud Flotilla, «quando il saggio indica il genocidio, gli stolti guardano le vetrine».
La notizia che, nei telegiornali di lunedì sera e nei quotidiani del giorno dopo, doveva essere lo sciopero per il genocidio a Gaza con i fiumi di persone che avevano riempito pacificamente le strade di 80 città italiane, è divenuta la violenza in stazione a Milano. Così «il particolare diventa la notizia e il generale diventa un contorno sfumato, rarefatto, quasi inesistente». Quasi tutti i giornali hanno dedicato i commenti ai politici e i servizi sono andati sul singolo episodio, ignorando o relegando in spazi ridottissimi le piazze strapiene.
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A distanza di qualche giorno è importante ritornare sulla notizia, applicando il processo di «fusione dei metalli»: raggiunta la temperatura di liquefazione le scorie galleggiano in superficie, mentre il metallo liquido – ciò che interessa – si deposita sul fondo, da cui deve essere spillato e drenato. È quanto dobbiamo fare in questo specifico caso, separando gli episodi spuri dall’essenza e dal significato rappresentato da quelle centinaia di migliaia di persone che si sono messe in movimento.
Lo sdegno e l’angoscia individuali per quanto succede a Gaza (e in Cisgiordania), hanno assunto una dimensione collettiva che va ben oltre, come scritto dalla redazione di Jacobin Italia, «le sigle sindacali e le loro identità». Ben oltre: questo è ciò che davvero conta!
Il valore delle manifestazioni non è solo nell’altissimo numero di partecipanti, ma nella ricchezza, nella varietà dei linguaggi e identità dei partecipanti, attraversati da un unico obiettivo: esserci!
Esserci per gridare, contro il silenzio e contro la complicità col genocidio di gran parte degli Stati e delle istituzioni europee: «non in nostro nome, non con i nostri soldi, non con le nostre menti».
Io ho partecipato al corteo dei 20.000 di Genova e quindi ho visto le immagini di tanti altri cortei: ovunque moltissimi giovani studenti medi e universitari, tanti bambini coi loro genitori o insegnanti, qualche disabile in carrozzella, tante persone anziane con gli occhi lucidi, operatori umanitari e del terzo settore, lavoratori sindacalizzati e persone che non avevano mai scioperato prima…
Tutte le manifestazioni si sono svolte sostanzialmente senza incidenti, con cortei lunghissimi e compatti, vivaci e determinati. Queste persone sono sempre più coscienti che non sarà dai governi – o tantomeno dalla UE – che si muoverà qualcosa per fermare il massacro: quindi l’unica strada che resta è la spinta unitaria, dal basso, pacifica, orizzontale, risoluta, continua ed efficace.
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I settori dove più alta è stata l’adesione allo sciopero sono stati quelli dei trasporti e della logistica (con una centralità dei porti), ma anche della sanità e del mondo della scuola, dell’università e della ricerca: una partecipazione ben superiore al peso organizzativo della Usb e della Cub – che hanno proclamato lo sciopero – e degli altri sindacati che hanno aderito (Sgb, Usi, Cobas, Slai Cobas ecc.); partecipazione inaspettata, considerata l’assenza dei sindacati confederali Cisl, Uil e Cgil, con quest’ultima che aveva proclamato due ore di sciopero generale il venerdì precedente (sciopero esteso a 4 ore in alcuni territori e categorie – metalmeccanici, commercio, comunicazioni, chimici, edili – e all’intera giornata a Genova e nella regione Toscana).
In occasione dello sciopero dei sindacati di base il cuore e il volano della protesta sono stati ancora i porti, luoghi simbolici non solo perché attraversati dalle rotte commerciali e militari verso Israele, ma soprattutto perché tutto è nato dai portuali di Genova del Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali), quando hanno deciso di non essere più un ingranaggio della logistica della guerra.
La prima azione diretta contro il trasferimento di armamenti risale al maggio 2019, quando lo sciopero in porto dichiarato dalla Filt Cgil – a cui gli attivisti del Calp erano iscritti, prima di passare in maggioranza alla Usb – aveva impedito l’imbarco di una fornitura di generatori ed equipaggiamenti ad uso militare prodotti dalla romana Teknel e destinati all’Arabia Saudita verso la guerra in Yemen.
Il Calp da allora non si è più fermato e ai suoi appelli hanno aderito da subito realtà tra le più diverse, dal pacifismo cattolico di Pax Christi agli anarchici, contribuendo così a scrivere una pagina di successo della convergenza antimilitarista del nostro paese, contro il transito di armi anche negli altri porti italiani. A ciò ha concorso la campagna «Fari di Pace», coordinata da The Weapon Watch e Pax Christi, attraverso iniziative nei porti di Spezia, Napoli, Bari, Ravenna, Trieste e Livorno, a cui hanno aderito le rispettive Diocesi con diverse associazioni e movimenti di area cattolica presenti in tali territori.
Da quel momento, anche se con vicende alterne, le azioni dirette per contrastare il transito di armamenti in porti destinati a Paesi in guerra e/o che violano diritti umani fondamentali – dall’Arabia Saudita alla Libia, dagli Emirati Arabi Uniti a Israele, dal Qatar alla Turchia – sono state per il Calp una costante.
Si tratta di disobbedienza civile coerente, contro l’economia di guerra e gli interessi dei fabbricanti d’armi che ne sono i principali beneficiari, come lucidamente denunciato in più occasioni da papa Francesco: una lotta contagiosa che, nel tempo, si è estesa dai porti italiani a quelli europei e del Mediterraneo, coinvolgendo attraverso la Usb anche diversi scali aeroportuali; un’azione che, come The Weapon Watch, abbiamo supportato in questi anni con lo studio e la ricerca sull’industria e la logistica legata al settore militare e col monitoraggio dei flussi di transito dei materiali di armamento.
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In continuità con queste lotte, anche nella giornata di lunedì scorso, sono stati bloccati i varchi portuali di Genova, Livorno, Civitavecchia, Salerno, Palermo, Ancona, Venezia e Trieste, oltre che il porto di Ravenna, dove già nella settimana precedente i portuali di Cgil, Cisl e Uil avevano fermato due container di munizioni ed esplosivi pronti ad essere imbarcati su una nave diretta a Israele.
A Livorno, il giorno successivo allo sciopero, l’Usb ha iniziato un presidio permanente del Molo Italia in porto per impedire l’approdo della Slnc Severn, una bulk carrier battente bandiera statunitense, salpata da Port Said, in Egitto, dopo essere arrivata dall’approdo americano di Paulsboro e transitata anche dal porto israeliano di Eilat, con a bordo caterpillar militari: in tal caso col sindacato di base si sono schierate anche Filt Cgil e Uiltrasporti, dichiarando lo sciopero dell’intero sistema portuale livornese, esclusi servizi essenziali, se la nave dovesse ormeggiare per espletare le operazioni di scarico della merce.
La nave respinta a Livorno potrebbe fare rotta verso la Liguria. Ma pronta è stata la reazione della Filt Cgil ligure che ha deciso lo stato di agitazione, per respingerla nel caso in cui punti la prua verso La Spezia o Genova.
Oggi e domani – 26 e 27 settembre – a Genova si svolgerà una riunione di coordinamento internazionale dei portuali promossa dal Calp di Genova e dalla Usb nazionale alla quale parteciperanno delegazioni, oltre che da altri porti italiani, dai porti francesi, greci, marocchini, sloveni, svedesi e turchi. È realistico pensare che in questo incontro, come ha dichiarato Riccardo Rudino del Calp, sia decisa un’azione internazionale di sciopero contro il trasferimento di armamenti allo Stato di Israele.
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Era da moltissimo tempo che non si vedeva un movimento così ampio di dimensioni internazionali in solidarietà a un popolo oppresso: contro la guerra, contro il militarismo e contro le politiche di riarmo. La politica tutta dovrebbe raccogliere questa spinta emersa dal basso, rispettandone l’autonomia e valorizzandone il pluralismo e la convergenza unitaria.
Come ha scritto recentemente l’eco-teologo brasiliano Leonardo Boff, «come non indignarci per il genocidio di migliaia di bambini innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra di Israele contro Hamas, che prende di mira indiscriminatamente l’intera popolazione della Striscia di Gaza, mirando a sterminare specialmente bambini e giovani che in futuro potrebbero essere contro lo Stato di Israele. L’etica per essere pienamente umana deve incorporare la compassione. C’è tanta sofferenza nella storia, troppo sangue versato sul nostro cammino e l’infinita solitudine di milioni e milioni di persone, che si caricano da sole, nel loro cuore, la croce dell’ingiustizia, dell’incomprensione e dell’amarezza».
(fonte: Settimana News, articolo di Gianni Alioti 26/09/2025)
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Vedi anche il post precedente (all'interno altri link):