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martedì 16 settembre 2025

Atto finale a Gaza, i tank di Israele invadono la Striscia

Atto finale a Gaza,
i tank di Israele invadono la Striscia


L’orribile affermazione del ministro della Difesa israeliano Israel Katz, felice di annunciare con un tweet su X che “Gaza sta bruciando”, non è soltanto una provocazione insensata, ma la rivendicazione oscena della scelta di sprofondare l’umanità nel baratro dell’odio e della distruzione.

L’occupazione di Gaza non è un atto militare come tanti altri, ma l’ennesimo crimine, l’ultima violazione del diritto internazionale di Israele, che mette a nudo la responsabilità collettiva nel permettere le atrocità degli ultimi 23 mesi.
Le bombe dei raid aerei, prima, e i tank, oggi, hanno concentrato sempre più la forza di fuoco israeliana su Gaza city, segnando un inasprimento del conflitto: la totale occupazione militare della regione.

Questa escalation si compie mentre altri tre giornalisti, tra cui il fotoreporter Mohammed al-Kouifi, ucciso ieri in un attacco nel quartiere Nassr di Gaza City, e la collega Iman al-Zamili, si aggiungono all’elenco degli operatori dell’informazione ufficio a Gaza. Della terza vittima, Ayman Haniyeh, avevamo scritto già nei giorni scorsi.
La loro morte evidenzia non solo la brutalità del conflitto, ma anche le difficoltà di chi cerca di documentare le atrocità in un territorio ormai sull’orlo del collasso.

L’offensiva israeliana, alimentata da mesi di escalation e dai crescenti scontri tra Hamas e le forze israeliane, ha portato all’approccio di una vera e propria occupazione di Gaza. Con i carri armati schierati alle porte della regione, le autorità israeliane sembrano prepararsi a un intervento di vasta portata, che mira a consolidare il controllo e interrompere ogni insurrezione o resistenza.
Il quadro sul terreno è drammatico. I raid aerei sono diventati più intensi, e i bombardamenti colpiscono non solo postazioni militari, ma anche aree civili, creando un clima di devastazione diffusa. Le immagini di distruzione e di civili sfollati si moltiplicano sui media internazionali, mentre le notizie di nuovi morti si fanno sempre più frequenti. La presenza dei tank, pronti ad avanzare, rappresenta un segnale chiaro di un’occupazione che potrebbe trasformare un conflitto temporaneo in un’occupazione di lunga durata.

Per i giornalisti presenti sul campo, questa situazione è altamente pericolosa. L’uccisione di Mohammed al-Kouifi e di Iman al-Zamili è l’ennesima conferma del rischio nel raccontare la verità sotto le bombe. Entrambi erano impegnati a documentare le sofferenze di civili e gli attacchi militari quando sono stati colpiti. La loro perdita si aggiunge alla lunga lista di professionisti dell’informazione, ad oggi 179, uccisi o feriti nelle zone di conflitto, sottolineando quanto sia rischioso il ruolo di chi cerca di informare il mondo in contesti di guerra.

La prospettiva di un’occupazione completa di Gaza solleva molte preoccupazioni internazionali. Organizzazioni umanitarie e diplomazie chiamano alla calma e tentano di negoziare un freno alle ostilità, ma la determinazione israeliana di consolidare il controllo sembra ogni giorno più forte. La popolazione civile, già duramente provata, si trova intrappolata tra le fiamme, senza possibilità di fuga o di assistenza adeguata.

L’occupazione di Gaza si configura come uno dei capitoli più cupi di questo conflitto, con un prezzo umano altissimo e la morte di giornalisti che avevano il compito di raccontare la verità. Il futuro della regione rimane estremamente incerto, mentre la comunità internazionale osserva con preoccupazione l’evolversi della crisi. La speranza che si possa trovare una via per la pace è definitamente morta.

Gaza, quella città, quella terra, che è stata per millenni un crocevia di civiltà, un luogo di incontro tra popoli e culture, un simbolo di resistenza, non esiste più.
Lo stato di Israele, schierato nella sua presunta moralità, ha distrutto con inaudita ferocia una delle più antiche città del Mediterraneo, cancellando case, scuole, monumenti, spazi di socialità, fino all’ultimo respiro di un popolo già stanco e sfinito.

Non è solo il genocidio di Gaza”: è un assalto a tutto ciò che ci rende umani. La ferocia israeliana, che si proclama “morale” e “democratica”, si unisce alla silente complicità di chi, a livello internazionale, osserva senza intervenire, senza alzare la voce. In questo modo, il mondo si consegna ancora una volta alla barbarie, alla logica del più forte.
Una ferita profonda nell’anima collettiva dell’umanità.
Tra chi ricopre posizioni di vertice – nella politica, nelle istituzioni, nel mondo accademico e religioso – continua a prevalere un silenzio assordante.

E allora, nel silenzio pauroso di chi non vuole vedere, e nell’indifferenza di chi preferisce voltare lo sguardo, dobbiamo ricordarci che Gaza brucia anche perché chi poteva evitarlo ha invece permesso che accadesse.
La storia li giudicherà, ma soprattutto chiederà conto di cosa sia stato fatto – o di cosa sia stato lasciato fare – in nome di una guerra causata da un atto terroristico che si è trasfeormata in un genocidio.
(fonte: Articolo 21, articolo di Antonella Napoli 16/09/2025)