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sabato 22 settembre 2012

"Una tragedia immane che diventa normale" di Giorgio Langella


Poche righe nascoste nelle “brevi” di cronaca. Una nebbia avvolgente. La notizia bisogna cercarla con attenzione, “navigando” su internet, raccogliendo informazioni in giornali poco diffusi e in siti stranieri. Un paio di giorni fa, in Pakistan, oltre 300 persone sono morte nell’incendio di due fabbriche. Uomini, donne e bambini che lavoravano senza alcuna sicurezza sono morti, bruciati vivi. Una tragedia immane che, grazie al silenzio e all’indifferenza, diventa “normale”. Qualcosa alla quale ci si deve abituare. Cercando in internet si apprende che i proprietari della fabbrica tessile dove si è verificato la tragedia maggiore (oltre 260 morti) non sono stati arrestati perché hanno pagato mezzo milione di rupie (circa 4.000 euro) per garantirsi la libertà per almeno otto giorni. Alcuni testimoni scampati alla strage affermano che i padroni della fabbrica si preoccupavano di mettere in salvo i macchinari. Dei lavoratori poco importa.
Di fronte a ciò si resta attoniti. Mancano le parole, le idee si rattrapiscono. Si prova un forte sentimento di indignazione di fronte a quella che è una strage frutto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Poi si legge che Mario Monti ha dichiarato che lo Statuto dei lavoratori ha provocato molti danni. E si ascoltano le dichiarazioni di “lorsignori” sulla necessità di essere competitivi abbassando la soglia della sicurezza nel lavoro, cancellando i diritti e aumentando lo sfruttamento...

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La notizia
Il Pakistan ha vissuto ieri una delle sue giornate più nere non per un attentato terroristico, ma per la mancanza di sicurezza sul lavoro che ha mietuto oltre 310 operai bruciati vivi nell'orrendo rogo di due fabbriche a Lahore e a Karachi, le due più grandi e caotiche metropoli pachistane. 
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