“E Dio vide che era cosa buona”
Meravigliarsi
HOREB 62 - N. 2 del 2012
TRACCE DI SPIRITUALITÀ
A CURA DEI CARMELITANI
Il cactus è lì con i suoi
fiori aperti, bellissimi. È uno spettacolo che si ripete e ogni volta
sorprende, stupisce. Meraviglia che questa pianta, cresce anche in luoghi
aridi, e raggiunge quattro metri di altezza e spesso anche di più, tutta
tronco, totalmente ricoperta di spine, se la tocchi in modo maldestro ti lascia
il segno, riesca a produrre fiori così luminosi, che in certo senso fanno luce
alla notte.
Il fiore del cactus la
possiamo considerare cifra di una bellezza nascosta negli anfratti della vita.
Nei volti che ci scivolano addosso o perché andiamo di corsa perché abbiamo
premura o perché ci fanno paura e ci chiudiamo in un autismo sociale, in una
nicchia dorata che ci soffoca. È bellezza nascosta nelle relazioni quotidiane,
che comunque viviamo, ma che spesso rimangono superficiali e strettamente
tecniche, professionali, negli avvenimenti quotidiani che diamo sempre per
scontati, perché spinosi, e per questo non riusciamo a cogliere questa bellezza
e non ci meravigliamo di niente.
Il fatto che non ci
meravigliamo più è un brutto segnale, è come se stessimo di fronte a un mondo
impoverito, defraudato
Eppure, nella notte di
questa vita, se stiamo attenti, vigilanti, c’è sempre un fiore, degli sprazzi
di luce, lì dove meno ce lo aspettiamo, che ci
aprono in modo nuovo al cammino della vita.
Se ne incrociato nelle
periferie di città, che strutturalmente hanno del disumano, ma lì si incontrano
persone che ti stupiscono per la loro umanità. Se ne incontrano in ospedale tra
gli ammalati che ti meravigliano perché vivono con grande dignità il dolore, la
precarietà, il limite e l’esperienza della morte.
Crediamo che ritorneremo a
meravigliarci se, come ci ricorda l’apostolo Pietro, lasceremo esplodere
“l’umano nascosto nel cuore”; e questo sarà possibile se impareremo a rischiare
uscendo da noi stessi ma anche dal coro abituale per sentire le voci che ci
sono fuori, sono tante, bellissime, uniche e ricche di mistero. Questo chiede
di liberarci da ogni certezza e di metterci al servizio della vita, di ciò che
viene, accettando di essere sempre in qualche misura ignoranti, alla ricerca,
con tanta sete di imparare dagli altri.
Se faremo questo esodo facilmente
ritorneremo ad osservare e a restare stupiti per un filo d’erba che stranamente
riesce a farsi strada e a nascere nel cemento.
È questa la prospettiva in
cui vogliamo collocare la monografia del presente quaderno...
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