Ricordo del Card. Carlo Maria Martini
La forza della libertà
In ascolto dell’altro perché in ascolto di Dio
di
Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
Ho avuto il dono di conoscere da vicino il Card. Carlo Maria Martini e di condividere con lui innumerevoli dialoghi ed esperienze di fede. Che cosa mi hanno dato i lunghi anni della nostra amicizia, nata dalla Sua generosità e fiducia?...
Libertà interiore, ascolto dell'altro, ascolto di Dio: queste tre componenti le ho avvertite presenti e fuse nel Cardinale in modo esemplare. Ho cercato di far mia questa lezione, come ho potuto, con i limiti della mia persona e delle mie capacità. Il Signore è stato buono nel darmi aiuti preziosi: e fra questi preziosissima l'amicizia di Martini. La gratitudine che nutro per Lui è immensa, e sono convinto che ogni credente consapevole e onesto non potrà che condividerla...
E ora che questo grande Padre della Chiesa del nostro tempo è entrato nella luce e nella bellezza della vita senza fine in Dio, sarà il Signore a ricompensarlo per l’eternità!
Resterà nel ricordo ammirato e grato d’innumerevoli persone che non hanno il dono di credere. È e sarà sempre nella mia preghiera, come in quella di tanti credenti. Gli chiedo di fare lo stesso per me, per tutta la Chiesa che tanto ha amato, affinché in essa tutti - e specialmente chi ha responsabilità per altri - possiamo agire sempre e solo “ad majorem Dei gloriam”, come recita il motto di Sant’Ignazio, maestro e padre del gesuita Martini: per quella più grande gloria di Dio, che è l’uomo vivente, nel tempo e nel giorno senza fine dell’Eterno, nella cui luce ora vive Padre Carlo, maestro di vita e di fede.
Le quattro stagioni
di
Gianfranco Ravasi
Arcivescovo titolare di Villamagna di Proconsolare Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, delle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra
Nell'impresa molto ardua di comporre un ritratto non solo storico-ecclesiale del cardinale Carlo Maria Martini potrebbe essere di aiuto una sorta di parabola indiana a lui cara perché ebbe occasione di evocarla più di una volta. Essa è sostanzialmente una metafora della stessa esistenza umana, scandita in quattro stagioni fondamentali.
C'è innanzitutto il tempo dell'imparare e dell'ascolto, quando si è discepoli e ci si avvia, guidati per mano, lungo i percorsi del conoscere, dell'apprendere, dello studiare...
È stato proprio da questa tappa che è derivata spontaneamente la seconda, quella che l'apologo indiano definisce come il tempo dell'insegnamento, del comunicare ad altri ciò che si è acquisito, rielaborandolo, approfondendolo e rendendolo più personale e originale...
Ma ormai era alle porte la terza stagione: allo scadere dei 75 anni il Cardinale Martini decise che per lui - come per quel testo sapienziale indiano - iniziava una nuova esperienza, quella suggestivamente detta del "bosco", cioè il ritiro nel silenzio. Un silenzio non "nero", pura e semplice cancellazione di parole e di atti, ma "bianco", in cui le esperienze e le realtà vissute ricevevano una nuova luce, alimentata dalla riflessione, dalla contemplazione, dalla preghiera...
Invece lo attendeva la quarta stagione di quella parabola, ossia il tempo "del mendicante", segnato idealmente dalle parole che Gesù rivolge a Pietro, il primo degli apostoli: «Quando eri giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Giovanni 21, 18). Sono stati gli ultimi anni in cui la malattia lo aveva reso “mendicante", cioè bisognoso degli altri...
Martini ha saputo presentare sia il Dio glorioso del Sinai e della Pasqua, ma anche soprattutto con la sua vicenda finale, anche il Dio muto del Calvario che non risponde neppure al Figlio. Ha indicato a uomini e donne di buona volontà il Dio della parola luminosa, e il Dio silenzioso che molti credono sia assente o inesistente, mentre è solo un mistero altissimo da scoprire.
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«Martini voleva andare avanti e noi abbiamo avuto paura»
Intervista a
Luigi Bettazzi
Vescovo emerito di Ivrea Presidente del Centro Studi Economico Sociali di Pax Christi Italia
È stato un riferimento per molti, anche nella Chiesa il cardinale Carlo Maria Martini. Soprattutto per il suo coraggio e per la sua libertà, alimentata dalla forza del Vangelo, di parlare all’uomo contemporaneo. Da qui anche la sua fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua capacità di guardare con fiducia al futuro. È il biblista che si fa pastore e profeta. Così lo ricorda monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea e uomo del Concilio.
Monsignor Bettazzi, come risponderebbe a una delle ultime domande poste dal cardinale Martini: perché la Chiesa ha paura di avere coraggio?
«Perché cercando di incarnare il Vangelo nelle situazioni storiche che è un suo dovere troppo spesso si è rimasti fermi al passato. Quando il Papa era anche re, si dava un’impronta alla Chiesa adatta a quei tempi, ma non certo all’oggi. La Chiesa invecchia quando perde il rapporto con la storia che muta. Per questo Giovanni XXIII ha voluto un Concilio Vaticano II pastorale e non dogmatico. Che aiuti la Chiesa a camminare con la gente. Forse abbiamo avuto paura che ciò portasse ad eccessivi rinnovamenti e tutti assieme gerarchia e popolo di Dio abbiamo avuto paura ad andare avanti. Questo avrebbe richiesto una purificazione dei nostri modi di pensare e di agire che forse richiedevano troppo sacrificio. A questa purificazione e al superamento di certi modi del passato ci ha chiamato il cardinale Martini, lui così radicato nella Parola di Dio, da sentire quanto forte fosse il richiamo a viverla nel nostro tempo».
Cosa è stato per lei?
«Un punto di riferimento. Non ho avuto molte occasioni di contatti personali con lui. Era un uomo di grande levatura, sia per la sua profonda conoscenza delle scritture, che per la sua preparazione. Sapeva illuminare le situazioni. Ho avuto modo di frequentarlo negli ultimi tempi a Gallarate, quando gli abbiamo presentato un progetto di rilancio del Concilio. Abbiamo trovato una certa consonanza, una simpatia. Durante uno di questi incontri mi ha chiesto di presiedere l’eucarestia familiare. Lo ricordo con molta commozione e gratitudine»...
Saranno accolte queste richieste poste da un profeta che ha avuto la libertà di guardare oltre?
«Me lo auguro. A volte i profeti da morti hanno più influenza che da vivi. Direbbe Martini: è il principio evangelico, quello del frutto di frumento che in terra se vive resta solo, se muore dà molto frutto».
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