Settantanove anime giacciono in fondo al mare, al largo di Lampedusa. Settantanove vite, giovani e meno giovani, bambini, affogati. Settantanove corpi senza sepoltura, senza il conforto di una parola, senza la presenza dei propri cari. Settantanove innocenti abbandonati, dati in pasto ai pesci.
Erano partiti da Sfax, dalla Tunisia. Da un porto dove partono le carrette del mare verso il sogno italiano. Erano partiti in cerca di una speranza, di un pezzo di pane, di un bicchiere di acqua. Li hanno abbandonati su uno sperone di roccia a dieci miglia da Lampedusa. Erano 136, 56 si sono drammaticamente salvati, 79 sono dispersi.
Dispersi nel linguaggio del mare significa che non si sono trovati i corpi. Corpi di bambini, di innocenti, di innocenti due volte. Corpi di donne, di innocenti, di innocenti due volte. Dispersi significa che non sapremo mai i loro nomi, che non sapremo mai chi era il padre e chi il figlio. Non sapremo mai da quale villaggio erano partiti e non sapremo mai dove erano diretti. Non sapremo mai se c’era qualcuno ad aspettarli e chissà per quanto ancora aspetterà.
Non sapremo mai quale Dio pregavano, ma per i disperati il Dio da pregare è uno solo. C’è un Dio che cambia nome secondo il luogo geografico, ma è sempre lo stesso Dio. Un Dio che accoglie le anime dei dispersi in mare. Un Dio che accoglie anche se il corpo non è avvolto nel sudario. Un Dio che non abbandona in mare i suoi figli, ma allarga le braccia...
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