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mercoledì 24 dicembre 2025

Enzo Bianchi - Solidale dalla nascita alla morte

Enzo Bianchi
 Solidale dalla nascita alla morte

Quel Dio che si fa carne nel Natale e si fa croce nella Passione ci garantisce che il male non vincerà

Famiglia Cristiana - 21 Dicembre 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


La festa del Natale cambia profondamente la preghiera del credente nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, l’unico Dio vivente e veritiero, perché Dio con il Natale è venuto tra di noi diventando un uomo, carne fragile e mortale come siamo noi. Se ci pensate è qualcosa di indicibile e di paradossale: Dio è Dio e non può essere uomo, e l’uomo è creatura mortale e peccaminosa che non può essere Dio. Ma il nostro Dio ha voluto diventare uno di noi, nascere come noi, crescere come noi, vivere come noi e morire come noi, per essere in tutto solidale con noi, nostro fratello.

Questo è lo specifico della fede cristiana, un Dio uomo! Dio che era parola celeste, immortale, si è fatto carne terrena, mortale, conoscendo tutti i nostri limiti, vivendo di fede, di speranza e di amore come noi siamo chiamati a vivere. Noi a Natale ricordiamo questa nascita di Gesù, un uomo che nessun uomo ci poteva dare, un uomo generato solo dallo Spirito di Dio, un uomo che ha voluto camminare sulle nostre vie, accompagnarci nelle nostre vite e guidarci verso il Regno del Padre suo, Dio. Così noi preghiamo chi abita la nostra umanità, conosce e condivide le nostre sofferenze, patisce gli stessi mali, fatica nelle diverse situazioni della vita e va verso la morte nella speranza della resurrezione, cioè di una parola definitiva del Padre più forte della morte.

Gesù nel presepio, Gesù sulla croce è sempre lo stesso Gesù che mi ha amato e ha voluto essere un uomo per stare accanto a me e condurmi sulle vie della beatitudine qui e del Regno dopo la morte. Da quel giorno della nascita a Betlemme egli è dunque l’Emmanuele, il Dio con noi, e niente e nessuno ci separerà dal suo amore. Neppure il peccato, neppure la morte!
(fonte: Blog dell'autore)

martedì 23 dicembre 2025

La nostra umanità sta morendo con i bambini di Gaza


La nostra umanità sta morendo con i bambini di Gaza

Il patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa è a Gaza, dove neonati e bambini continuano a morire di freddo e di fame. Terribile anche la situazione in Cisgiordania: non c’è giustizia per i palestinesi. L’amministratore delegato del Patriarcato denuncia: non c’è alcuna intenzione di permettere alle persone che vivono a Gaza di ricominciare a ricostruire le loro vite con dignità

Palestinesi sfollati si fanno strada su un carro trainato da animali attraverso una strada allagata a seguito di forti piogge a Khan Younis, nel sud di Gaza. Ansa, EPA/HAITHAM IMAD

Li abbiamo visti morire di fame e sotto le bombe. Adesso stanno morendo anche di freddo. Manca poco al Natale, quando più di duemila anni fa un altro Bambino nacque proprio in Terra Santa. Secondo la tradizione, a riscaldarlo c’erano la paglia, le braccia della Mamma e il fiato caldo del bue e dell’asinello. A Gaza, in questi giorni, ci sono stati temporali incessanti e adesso è arrivato anche il freddo, ma Israele non fa entrare nella Striscia i materiali per proteggere le misere e gelide tende in cui i palestinesi sono costretti a vivere dopo la distruzione delle loro case.

E mentre noi stiamo preparando i doni per i nostri figli, Mohammed Khalil Abu al Khair non riceverà niente per Natale. Aveva due settimane ed è morto di freddo. Come lui, altri 4 bambini nelle ultime settimane.

A Gaza è arrivato il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme per i latini, accompagnato dal vicario, mons. William Shomali, e da una piccola delegazione, per una visita pastorale alla parrocchia della Sacra Famiglia, alla vigilia delle celebrazioni natalizie. Domenica, Pizzaballa presiederà la messa di Natale per una “comunità – si legge in un comunicato – che ha vissuto e continua a vivere tempi bui e difficili”.

Tende di famiglie palestinesi sfollate tra le rovine di edifici distrutti nel quartiere di Al Zaitun nella parte orientale di Gaza City Ansa/ EPA/MOHAMMED SABER

Anche il cardinale Pizzaballa può entrare a Gaza solo se autorizzato da Israele. Non è invece ancora riuscita a varcare i confini della Striscia la papa mobile regalata da papa Francesco ai palestinesi. Bergoglio l’aveva usata nel viaggio a Betlemme del 2014. Ribattezzata Veicolo della speranza, è stata attrezzata per portare cure mediche ai bambini di Gaza. È tutto pronto, ma il governo israeliano ancora non dà l’ok.

Ma com’è la situazione per i palestinesi dopo la tregua voluta dal presidente statunitense Donald Trump? Purtroppo, è peggiorata. Lo spiega Sami El-Yousef, amministratore delegato del Patriarcato latino di Gerusalemme. “Quando è stato dichiarato il cessate il fuoco – ha scritto – c’era grande speranza che la guerra fosse finita e che fossimo sulla strada verso una soluzione pacifica. Man mano che i dettagli del piano di pace venivano resi noti, con il 58% di Gaza che rimaneva sotto il controllo dell’esercito israeliano con nuovi confini e con il protrarsi degli attacchi violenti dei coloni, per non parlare della continua confisca di terre e dell’espansione degli insediamenti in Cisgiordania, tra i palestinesi si è diffuso il sentimento unanime che non sia stata fatta giustizia e che l’obiettivo del mondo sia la gestione del conflitto piuttosto che la sua risoluzione”. Quindi, a meno che non ci sia un deciso cambiamento di rotta, la situazione resta tragica e, purtroppo, aggiunge El-Yousef, “sarà solo questione di tempo prima che esploda il prossimo conflitto”.

Un palestinese amputato cammina vicino alla moschea di Al Mahata distrutta nel quartiere di Al Tuffah, a est di Gaza City. Circa 1,9 milioni di persone a Gaza, quasi il 90% della popolazione, sono stati sfollati dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas nell’ottobre 2023, secondo le Nazioni Unite. EPA/MOHAMMED SABER

La tempesta che ha devastato la Striscia, commenta l’amministratore delegato del patriarcato, “avrebbe dovuto essere un grande sollievo per una regione che ha un disperato bisogno di acqua, ma la vista di Gaza allagata e dei circa due milioni di sfollati interni che vivono praticamente per strada senza un riparo adeguato è stata un duro promemoria che non è finita! La lunga lista di articoli vietati a Gaza, tra cui materiali per la costruzione di rifugi, attrezzature pesanti per la rimozione delle macerie, materiali da costruzione e la limitazione del numero di aiuti umanitari che possono entrare, dimostra solo che non c’è alcuna intenzione di permettere alle persone che vivono lì di ricominciare a ricostruire le loro vite con dignità”.

Le truppe israeliane demoliscono abitazioni palestinesi nella città di Nablus, in Cisgiordania. Ansa/ EPA/ALAA BADARNEH

C’è poi la situazione della Cisgiordania: “un recente viaggio in auto – commenta El-Yousef – ci ha ricordato quanto gli insediamenti ebraici si siano espansi negli ultimi anni e la vista delle barriere visibili all’ingresso di ogni città e villaggio palestinese, così come le centinaia di posti di blocco, ci hanno chiaramente ricordato che, mentre il mondo parla di porre fine alla guerra e di elaborare un piano di pace nella regione, la realtà sul campo è nettamente diversa e le sofferenze sono in continuo aumento”.

Fortunatamente, resta spazio per la speranza. Nelle scuole del Patriarcato, per esempio, migliaia di studenti fanno esperienza di dialogo interreligioso, tolleranza, perdono e convivenza pacifica. Per decisione del cardinale Pizzaballa, sono stati condonati milioni di vecchi debiti scolastici accumulati dagli studenti, per dare sollievo economico alle loro famiglie. Solo la fede, afferma El-Yousef, “porterà il nostro popolo a sviluppare la speranza necessaria per poter continuare a vivere nella nostra regione dilaniata dai conflitti”.

II patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, lo scorso luglio, a Gaza con la comunità della parrocchia del Sacro Cuore e il patriarca greco ortodosso, Teofilo III. Foto del Patriarcato latino di Gerusalemme

I parrocchiani di Gaza dove si è recato il cardinale Pizzaballa, spiega l’amministratore delegato del Patriarcato, “sono i nostri eroi, che svolgono il loro lavoro in silenzio ma con costanza, compiendo grandi sacrifici personali. Il nostro lavoro a Gaza non si limita al sostegno alla comunità cristiana. Dall’inizio della guerra abbiamo distribuito aiuti a più di mezzo milione di persone, fornendo generi alimentari, prodotti per l’igiene e medicinali. È incredibile ciò che questa piccola comunità cristiana di circa 650 persone è riuscita a fare per alleviare le sofferenze di così tante persone”.

Difficilissima la situazione lavorativa in Cisgiordania, a causa del crollo del settore dei pellegrinaggi e del turismo e della revoca dei permessi di lavoro per i palestinesi da parte di Israele. “Con centinaia di migliaia di persone che si sono aggiunte alle fila dei disoccupati, abbiamo intensificato i nostri sforzi. Tra questi – commenta El-Yousef – vi sono buoni alimentari, anticipi in contanti, sostegno per il pagamento delle bollette di base, sostegno per l’affitto, assistenza medica e sostegno per le tasse scolastiche, solo per citarne alcuni. Il lavoro più importante è quello relativo alla creazione di posti di lavoro e alla generazione di reddito”. Alla vigilia di Natale, “continuiamo a pregare affinché il processo che si è avviato porti alla pace reale di cui hanno tanto bisogno tutte le persone che vivono in questa Terra Santa e la considerano sinceramente la loro casa, siano essi musulmani, ebrei o cristiani”.
(fonte: Città Nuova, articolo di Sara Fornaro 19/12/2025)


#profughi - IL BREVIARIO di Gianfranco Ravasi

#profughi
IL BREVIARIO 
di Gianfranco Ravasi


In pochi alle vostre spiagge arriveranno a nuoto. Che razza di uomini è mai questa con un comportamento così barbaro? Ci negano l’asilo della sabbia, ci fanno guerra, ci vietano di soggiornare sulla riva. Se non avete il rispetto degli uomini, sappiate che gli dèi ricordano ciò che è sacro e ciò che è sacrilego.

Solo per quella menzione finale degli dèi riusciamo a capire che queste righe non sono state scritte ai nostri giorni, ad esempio, dopo una strage di profughi verso qualche spiaggia italiana. È, infatti, Virgilio che nell’Eneide (I, 538-543) sta descrivendo l’approdo drammatico degli esuli di Troia sulle coste di Cartagine, e il poeta sta vergando questi versi nel I sec. a.C. Non è solo la testimonianza dell’attualità dei classici, ma è anche l’atto d’accusa che viene incessantemente rivolto all’indifferenza, all’egoismo, alla crudeltà che pervadono la cosiddetta modernità civilizzata. Tra l’altro, non dimentichiamo che lo stesso cristianesimo ha nella biografia iniziale del suo fondatore proprio un’esperienza analoga, quella di essere profugo attraverso il mare del deserto verso una terra di riparo, l’Egitto.

L’avvicinarsi del Natale di questo Bambino diventa, così, una provocazione non tanto a strappare i festoni e le luminarie, ma a rivolgere lo sguardo e il cuore ai tanti disperati della terra. La retorica dell’identità cristiana che si affida solo a segni esteriori e a proclami spesso strumentali dovrebbe essere spazzata via dalle mani delle vittime di guerre e migrazioni che attendono di essere afferrate da chi ha una disponibilità, un impulso di generosità, un palpito d’amore operoso. Forse il presepio più autentico è quello che un ateo come Bertolt Brecht aveva descritto nella sua poesia Alla vigilia di Natale: «Noi, gente misera, oggi siamo seduti in una gelida stanzetta. Il vento corre fuori, il vento entra. Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo: perché Tu ci sei davvero necessario».

(Fonte: “Il Sole 24 Ore - Domenica” - 21 dicembre 2025)

lunedì 22 dicembre 2025

Palestina, sperare contro ogni speranza


Palestina, sperare contro ogni speranza

Segni di luce nella notte per un cammino verso la pace in Terra Santa. Intervista a Izzedin Elzir, imam di Firenze dal 2001. Già presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII) dal 2010 al 2018. Presidente della Scuola Fiorentina di Alta Formazione per il Dialogo Interreligioso e Interculturale

Izzedin Elzir, Imam di Firenze ANSA/CLAUDIO GIOVANNINI

In un’era di narrazioni polarizzate e intransigenti sul conflitto israelo-palestinese, occorrono persone capaci di trascendere la logica dello scontro, per intravedere spiragli di luce nella notte. Abbiamo perciò sentito il parere di Izzedin Elzir, imam di Firenze e figura di spicco del dialogo interreligioso in Italia, già presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia). Palestinese, nato ad Hebron in Cisgiordania, ha lasciato la sua terra nel 1991 durante la prima intifada per recarsi a Firenze dove ha incontrato e condiviso la vita del Centro internazionale studenti Giorgio La Pira.

Di fronte a uno scenario segnato dalla cosiddetta pace imposta con la forza e all’immane strazio della popolazione di Gaza, quali sono i segnali di speranza che si possono cogliere?

Un uomo di fede ha sempre speranza. I media si concentrano sulla violenza, ma dimenticano i miliardi di persone che desiderano vivere in pace. Queste tragedie devono sollecitarci a non essere indifferenti, e questo non vuol dire essere “tifosi” di una parte o dell’altra, ma lavorare attivamente. La grande speranza che vedo risiede nelle piazze di tutto il mondo, dove milioni di persone manifestano contro l’ingiustizia. Questo è il segno che l’umanità non è morta, ma vive. Anche se la forza del male può sembrare prevalere per un momento, come le tenebre, siamo certi che dopo questo buio arriverà il sole. Un segnale, pur piccolo, lo si può trovare persino nella negatività, nella recente strage di Sydney, dove un uomo musulmano è intervenuto per fermare la violenza contro la comunità ebraica, agendo non in base all’identità religiosa, ma per un principio universale di umanità.

Si discute molto delle forme della resistenza. Esiste la possibilità che in Palestina si affermino modelli di resistenza non violenta, come quello di Nelson Mandela, per creare un ponte di dialogo con quella parte della società israeliana che si oppone alla deriva attuale del proprio governo?

La società palestinese ha una lunga storia di quasi 80 anni di occupazione, “prima degli inglesi, poi degli israeliani”, in cui ha dimostrato una grande capacità di rispondere con azioni positive. La lotta armata è stata solo una “parentesi”. Il punto cruciale non è che i palestinesi debbano decidere quale tipo di resistenza adottare; il problema è la risposta di chi ha la forza. Se i palestinesi fanno un atto di violenza, Israele, come abbiamo visto, fa mille volte in più di atti di violenza. Anche quando in Cisgiordania si attua una resistenza pacifica, come nei campi profughi di Jenin e Tulkarm, la risposta è la distruzione, la demolizione di case, lo sradicamento degli ulivi e lo sfollamento di decine di migliaia di persone, costrette a rivivere la tragedia dell’esodo.

Molti osservatori sostengono che sia ormai impossibile riconoscere oggi uno Stato palestinese, data la frammentazione territoriale e l’occupazione progressiva di oltre 600 mila coloni israeliani suprematisti. Altri, invece, propongono la visione di un unico Stato confederale per entrambi i popoli. Qual è la sua prospettiva su queste opzioni?

Il percorso deve iniziare dai fatti, e il primo passo imprescindibile è il riconoscimento dello Stato di Palestina. Solo a quel punto si potrà negoziare tra “due pari”. Finché uno ha uno Stato e l’altro no, il confronto sarà sempre sbilanciato, come accaduto con gli Accordi di Oslo del 1993. Ho criticato Oslo fin dal primo giorno, perché era una tattica per prendere tempo ed espandere gli insediamenti: i coloni sono passati da 150.000 ai numeri attuali.

Una volta ottenuto il riconoscimento, si può discutere di tutto. Respingo l’idea che i due popoli non possano convivere. Il problema non è culturale, ma politico: la mancanza di diritti. Personalmente, la mia visione è quella di un unico Stato laico e democratico, dove tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti a prescindere dalla fede. Comprendo il timore israeliano di diventare una minoranza, ma la forza militare non è eterna. Per questo affermo che oggi è Israele, in quanto detentore del potere, ad avere la responsabilità di decidere di fare la pace.

La realizzazione di questo percorso, tuttavia, non dipende solo dagli attori locali, ma è profondamente influenzata dal ruolo e dalle responsabilità della comunità internazionale.

Ha menzionato i produttori di armi. Qual è la sua analisi specifica del ruolo dell’Italia? E come risponde all’obiezione del governo italiano, che subordina qualsiasi riconoscimento dello Stato palestinese al previo disarmo di Hamas?

Le nazioni che producono armi fomentano le guerre per interesse. Papa Francesco ha sempre condannato il potere prevalente e pervasivo dei produttori di armi. L’Italia, purtroppo, è, dopo Usa e Germania, il terzo fornitore di armi a Israele, un fatto che contrasta con la nostra Costituzione e con una cultura di pace del popolo italiano che ha saputo esprimere testimoni credibili come Giorgio La Pira. Riguardo alla posizione del governo Meloni, apprezzo che si accolgano bambini palestinesi per curarli, ma ringrazierei il mio governo mille volte di più se non mandasse le armi per ucciderli.

La richiesta di disarmare Hamas è un pretesto. L’Occidente stesso ha dimostrato come le designazioni politiche siano fluide: l’attuale presidente siriano era nella blacklist degli Usa e oggi viene accolto come un capo di Stato. La logica che prevale è quella del più potente. Solo il rispetto dei diritti umani svuota l’attrazione verso l’uso delle armi.

Personalmente sono per una resistenza senza armi né violenza, ma non posso negare ai palestinesi il diritto all’autodifesa entro i limiti del riconoscimento del diritto internazionale.

Attualmente tuttavia, Hamas sembra godere di un forte sostegno tra i palestinesi. Come si spiega questo fenomeno? La liberazione dal carcere israeliano di una figura come Marwan Barghouti potrebbe rappresentare una via per unificare il popolo su una linea politica nonviolenta?

I palestinesi votano la resistenza. Chiunque si trovi sotto occupazione cerca la liberazione, e il sostegno va a chi “alza la bandiera” di quella lotta. In passato, quando era Al Fatah a guidare la resistenza, i palestinesi hanno votato Fatah. Oggi, molti sostengono Hamas per la stessa ragione. Ho amici e fratelli cristiani in Cisgiordania che dichiarano chiaramente che voterebbero Hamas non per adesione ideologica o scelta della violenza, ma come voto per la liberazione.

Riguardo alla leadership, non ho dubbi che Marwan Barghouti possa essere una figura di “unità nazionale”, ed è proprio per questo che Israele si rifiuta di liberarlo. Tuttavia, fino a quando non si terranno nuove elezioni democratiche, il presidente ufficiale della Palestina resta Mahmoud Abbas. Personalmente non condivido la sua politica, ma il principio di legittimità va rispettato.

Occorre avere una grande fede per sperare ancora…

Sebbene la situazione possa sembrare senza via d’uscita, la mia convinzione è che Dio stesso abbia speranza nell’uomo, avendolo creato per essere un “fattore di pace”. Sento perciò di augurare di cuore buon Natale a tutte le mie sorelle e fratelli cristiani e un buon inizio d’anno a tutta l’umanità.
(Fonte: Città Nuova ,articolo di Carlo Cefaloni 20/12/2025)


21/12/2025 Angelus e benedizione dei Bambinelli - Leone XIV, davanti al Presepe pregate Gesù anche per le intenzione del Papa e per la pace (Sintesi/commento, testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
IV Domenica di Avvento, 21 dicembre 2025


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Leone XIV, davanti al Presepe pregate Gesù
anche per le intenzione del Papa e per la pace

All'Angelus il Papa benedice i Bambinelli dei presepi e ricorda le virtù di San Giuseppe, pietà e carità, misericordia e abbandono


"Giuseppe, con un grande atto di fede, lascia anche l’ultima spiaggia delle sue sicurezze e prende il largo verso un futuro che è ormai totalmente nelle mani di Dio". Papa Leone XIV lo ha detto nella riflessione prima della recita della preghiera dell' Angelus alle 12 in piazza San Pietro.

Seguendo la liturgia della quarta Domenica di Avvento, il Papa riflette su San Giusppe che "mostra di cogliere il senso più profondo della sua stessa osservanza religiosa: quello della misericordia".

Il Papa cita Sant' Agostino e aggiunge: "Pietà e carità, misericordia e abbandono: ecco le virtù dell’uomo di Nazaret che la Liturgia oggi ci propone, affinché ci accompagnino in questi ultimi giorni di Avvento, verso il Santo Natale". Per il Papa sono atteggiamenti che "educano il cuore all’incontro con Cristo e con i fratelli, e che possono aiutarci ad essere, gli uni per gli altri, presepe accogliente, casa ospitale, segno della presenza di Dio. In questo tempo di grazia, non perdiamo occasione per praticarli: perdonando, incoraggiando, dando un po’ di speranza alle persone con cui viviamo e a quelle che incontriamo; e rinnovando nella preghiera il nostro filiale abbandono al Signore e alla sua Provvidenza, affidandogli tutto con fiducia". E chiede aiuto a Maria e Giuseppe "che per primi, con fede e amore grande, hanno accolto Gesù, il Salvatore del mondo".

Dopo la preghiera il Papa ha salutato i molti gruppi presenti provenienti da ogni parte del mondo e in particolare dei bambini degli Oratori Romani in piazza per la tradizionale benedizione delle statuette di Gesù Bambino per i presepi: "Davanti al Presepe pregate Gesù anche per le intenzione del papa in particolare perché tutti i bambini del mondo possano vivere nella pace" ha detto il Papa augurando un santo e sereno Natale a tutti.
(fonte: ACI Stampa, articolo di Angela Ambrogetti 21/12/2025)

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PAPA LEONE XIV

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, quarta Domenica di Avvento, la Liturgia ci invita a meditare sulla figura di San Giuseppe. Ce lo presenta, in particolare, nel momento in cui Dio gli rivela, in sogno, la sua missione (cfr Mt 1,18-24). Ci propone così una pagina molto bella della storia della salvezza, il cui protagonista è un uomo fragile e fallibile, come noi, e al tempo stesso coraggioso e forte nella fede.

L’Evangelista Matteo lo chiama “uomo giusto” (cfr Mt 1,19), e ciò lo connota come un pio israelita, che osserva la Legge e frequenta la sinagoga. Oltre a ciò, però, Giuseppe di Nazaret ci appare anche come una persona estremamente sensibile e umana.

Lo vediamo quando, prima ancora che l’Angelo gli riveli il mistero che si sta compiendo in Maria, di fronte a una situazione difficile da comprendere e da accettare, egli non sceglie, nei confronti della sua futura sposa, la via dello scandalo e della pubblica condanna, ma quella discreta e benevola del ripudio segreto (cfr Mt 1,19). E così mostra di cogliere il senso più profondo della sua stessa osservanza religiosa: quello della misericordia.

La purezza e la nobiltà dei suoi sentimenti, però, diventano ancora più evidenti quando il Signore, in sogno, gli rivela il suo piano di salvezza, indicandogli il ruolo inaspettato che egli dovrà assumervi: essere lo sposo della Vergine Madre del Messia. Qui infatti Giuseppe, con un grande atto di fede, lascia anche l’ultima spiaggia delle sue sicurezze e prende il largo verso un futuro che è ormai totalmente nelle mani di Dio. Sant’Agostino descrive così il suo assenso: «Alla pietà e alla carità di Giuseppe nacque dalla vergine Maria un figlio, e proprio il Figlio di Dio» (Sermo 51, 20.30).

Pietà e carità, misericordia e abbandono: ecco le virtù dell’uomo di Nazaret che la Liturgia oggi ci propone, affinché ci accompagnino in questi ultimi giorni di Avvento, verso il Santo Natale. Sono atteggiamenti importanti, che educano il cuore all’incontro con Cristo e con i fratelli, e che possono aiutarci ad essere, gli uni per gli altri, presepe accogliente, casa ospitale, segno della presenza di Dio. In questo tempo di grazia, non perdiamo occasione per praticarli: perdonando, incoraggiando, dando un po’ di speranza alle persone con cui viviamo e a quelle che incontriamo; e rinnovando nella preghiera il nostro filiale abbandono al Signore e alla sua Provvidenza, affidandogli tutto con fiducia.

Ci aiutino in questo la Vergine Maria e San Giuseppe, che per primi, con fede e amore grande, hanno accolto Gesù, il Salvatore del mondo.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Saluto con affetto tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di altre parti del mondo, in particolare quelli venuti da Jumilla, in Spagna, e il gruppo di insegnanti dell’Our Lady College, di Hong Kong. Saluto inoltre i fedeli di Chieti Scalo e di Voghera, i docenti e gli alunni del Liceo Scientifico “Banzi Bazoli” di Lecce e i membri della “Fondazione Agostiniani nel Mondo”, in occasione del suo anniversario.

Oggi rivolgo un saluto speciale ai bambini e ai ragazzi di Roma! Carissimi, siete venuti con i vostri familiari e con i catechisti per la benedizione delle statuette di Gesù Bambino, da collocare nel presepio delle vostre case, delle scuole e degli oratori. Ringrazio il Centro Oratori Romani che ha organizzato questo evento e benedico di cuore tutti i Bambinelli. Cari ragazzi, davanti al presepe, pregate Gesù anche per le intenzioni del Papa. In particolare, preghiamo insieme perché tutti i bambini del mondo possano vivere nella pace. Vi ringrazio di cuore!

E con i Bambinelli e tutte le espressioni della nostra fede nel Bambino Gesù vi benedica sempre il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

A tutti auguro una buona domenica e un santo e sereno Natale!

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Guarda il video della benedizione dei Bambinelli


Guarda il video integrale


domenica 21 dicembre 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO A

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO A  

21 Dicembre 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, il tempo dell’Avvento si rivela sempre più come tempo pedagogico, perché ci insegna a saper guardare gli avvenimenti e la nostra storia di oggi andando oltre la loro superficie, per cogliere, invece, nella profondità di essi la venuta del Messia Gesù con l’agire creativo dello Santo Spirito. Animati da questa speranza innalziamo al Signore che viene le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Marana tha, vieni Signore Gesù

  

Lettore


- Ti preghiamo e ti affidiamo, Signore Gesù, la tua Chiesa, tuo Corpo visibile in mezzo all’umanità di oggi. Come Giuseppe, l’uomo giusto, e Maria, la vergine accogliente, si sono resi pienamente disponibile alla tua Parola, così la tua Chiesa Sposa sia nel mondo segno luminoso della Tua Presenza di Salvatore e di Emmanuele, Dio-con-noi, germoglio di un progetto di vita nuova, segnata dall’amore, dal dono e dalla gratuità. Preghiamo.

- Ti affidiamo, Signore Gesù, il ministero di papa Leone: donagli sapienza e coraggio profetico per guidare la navigazione della Chiesa in questi tempi così complessi, difficili e segnati da profondi cambiamenti e da guerre infinite. Ti affidiamo il ministero del nostro arcivescovo Giovanni e del suo ausiliare Cesare. Preghiamo.

- Il tuo Spirito di Sapienza, Signore Gesù, scenda su tutti i popoli della terra, su tutte le fedi religiose, su tutti i regimi politici. Suscita in ogni cuore il sogno di dare un volto nuovo alla terra, di lavorare con onestà e giustizia, di cooperare alla salvezza della casa comune, messa a dura prova dall’emergenza climatica, dall’uso distorto delle nuove tecnologie e dal facile ricorso alla guerra come via privilegiata per la soluzione dei conflitti. Preghiamo.

- Guarda, Signore Gesù, ed accompagna quanti si sono messi in viaggio in questi giorni, che precedono le feste natalizie. Custodisci i migranti giovani, donne e bambini, che lasciano la loro terra guidati unicamente dal sogno di una vita più vivibile. Sii vicino anche ad ognuno di noi, perché impariamo ad accoglierti nella nostra vita, nella nostra casa, nelle nostre relazioni quotidiane. Preghiamo.

- O Gesù Emmanuele, Dio-con-noi, ti affidiamo i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ti affidiamo i morti di tutte le guerre sparse nel mondo, in particolare nel Congo, in Ucraina e purtroppo ancora in Palestina, come pure i migranti che continuano a morire nel Mar Mediterraneo. Dona a tutti di contemplare il tuo Volto di amore e di pace. Preghiamo.


Per chi presiede

Ascolta, o Signore Gesù, le suppliche della tua Chiesa in preghiera. Donaci la tua Sapienza e rendici capaci di accoglierti come Maria e di custodirti come Giuseppe. Te lo chiediamo perché tu sei il Dio-con-noi, nostro Salvatore e Liberatore, nei secoli dei secoli.

AMEN.


UDIENZA GIUBILARE 20 dicembre 2025 - Leone XIV "La storia è nelle mani di chi spera in Dio" (Sintesi/commento, testo e video)

UDIENZA GIUBILARE

Piazza San Pietro
Sabato, 20 dicembre 2025

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Il Papa all’ultima udienza giubilare dell’Anno Santo 2025

La storia è nelle mani
di chi spera in Dio


«La storia è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui. Non c’è solo chi ruba, c’è soprattutto chi genera». Perché sebbene il Giubileo volga «al termine, non finisce la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza». Lo ha assicurato Leone XIV nell’ultima delle udienze giubilari del sabato, avviate nel gennaio scorso dal predecessore Francesco, in occasione dell’Anno Santo 2025.

In piazza San Pietro, alla presenza di circa dodicimila fedeli, il Pontefice agostiniano ha tenuto una catechesi sul tema «Sperare è generare. Maria, speranza nostra», denunciando come «la ricchezza della terra» sia «nelle mani di pochissimi, sempre più concentrata ingiustamente». Ma, di contro, «Dio ha destinato a tutti i beni del creato» e di conseguenza «il nostro compito è generare, non derubare», ha spiegato il vescovo di Roma.

In un’atmosfera natalizia richiamata dal grande albero addobbato al centro della piazza nei pressi dell’obelisco e dal presepe allestito accanto ad esso, il Papa ha compiuto a bordo della vettura bianca scoperta il consueto giro iniziale tra i reparti, scambiando qualche parola, tra gli altri, con una coppia di futuri sposi. E al termine dell’incontro, nei saluti ai gruppi presenti, ha espresso proprio l’auspicio che i «giovani, con coraggio e pieni di speranza, comprendano l’importanza del matrimonio sacramentale e siano aperti alla nuova vita».

Leggi anche:
(fonte: L'Osservatore Romano 20/12/2025)


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CATECHESI DI LEONE XIV


Catechesi. 11. Sperare è generare. Maria, speranza nostra

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Quando il Natale è alle porte, possiamo dire: il Signore è vicino! Senza Gesù, questa affermazione – il Signore è vicino – potrebbe suonare quasi come una minaccia. In Gesù, invece, noi scopriamo che, come avevano intuito i profeti, Dio è un grembo di misericordia. Gesù Bambino ci rivela che Dio ha viscere di misericordia, attraverso le quali genera sempre. In Lui non c’è minaccia, ma perdono.

Carissimi, quella di oggi è l’ultima delle udienze giubilari del sabato, avviate lo scorso gennaio da Papa Francesco. Il Giubileo volge al termine, non finisce però la speranza che questo Anno ci ha donato: rimarremo pellegrini di speranza! Abbiamo ascoltato da San Paolo: «Nella speranza, infatti, siamo stati salvati» (Rm 8,24). Senza speranza, siamo morti; con la speranza, veniamo alla luce. La speranza è generativa. Infatti è una virtù teologale, cioè una forza di Dio, e come tale genera, non uccide ma fa nascere e rinascere. Questa è vera forza. Quella che minaccia e uccide non è forza: è prepotenza, è paura aggressiva, è male che non genera niente. La forza di Dio fa nascere. Per questo vorrei dirvi infine: sperare è generare.

San Paolo scrive ai cristiani di Roma qualcosa che ci fa pensare: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). È un’immagine molto forte. Ci aiuta ad ascoltare e a portare in preghiera il grido della terra e il grido dei poveri. “Tutta insieme” la creazione è un grido. Ma molti potenti non ascoltano questo grido: la ricchezza della terra è nelle mani di pochi, pochissimi, sempre più concentrata – ingiustamente – nelle mani di chi spesso non vuole ascoltare il gemito della terra e dei poveri. Dio ha destinato a tutti i beni del creato, perché tutti ne partecipino. Il nostro compito è generare, non derubare. Eppure, nella fede il dolore della terra e dei poveri è quello di un parto. Dio genera sempre, Dio crea ancora, e noi possiamo generare con Lui, nella speranza. La storia è nelle mani di Dio e di chi spera in Lui. Non c’è solo chi ruba, c’è soprattutto chi genera.

Sorelle e fratelli, se la preghiera cristiana è così profondamente mariana, è perché in Maria di Nazaret vediamo una di noi che genera. Dio l’ha resa feconda e ci è venuto incontro coi suoi tratti, come ogni figlio somiglia alla madre. È Madre di Dio e nostra. “Speranza nostra”, diciamo nella Salve Regina. Somiglia al Figlio e il Figlio somiglia a lei. E noi somigliamo a questa Madre che ha dato volto, corpo, voce alla Parola di Dio. Le somigliamo, perché possiamo generare la Parola di Dio quaggiù, trasformare il grido che ascoltiamo in un parto. Gesù vuole nascere ancora: possiamo dargli corpo e voce. Ecco il parto che la creazione attende.

Sperare è generare. Sperare è vedere che questo mondo diventa il mondo di Dio: il mondo in cui Dio, gli esseri umani e tutte le creature passeggiano di nuovo insieme, nella città-giardino, la Gerusalemme nuova. Maria, speranza nostra, accompagni sempre il nostro pellegrinaggio di fede e di speranza.

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Saluti

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, particularly those from the United States of America. In these final days before our celebration of the Lord’s birth at Christmas, I invoke upon all of you and your families, the joy and peace of the Lord Jesus Christ, son of God and Prince of Peace. God bless you!

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos a María, Madre de la Esperanza, que nos acompañe siempre en nuestro camino de configuración con Cristo, su Hijo, el Verbo hecho carne que puso su morada entre nosotros. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Niech Dzieciątko Jezus napełnia pokojem wasze serca, rodziny, wspólnoty i całe społeczeństwo. Zawierzam Mu szczególnie ludzi młodych, aby z odwagą i pełni nadziei doceniali znaczenie sakramentalnego małżeństwa i byli otwarci na nowe życie. Błogosławionych Świąt Bożego Narodzenia!

[Saluto cordialmente i polacchi. Il Bambino Gesù riempia di pace i vostri cuori, le vostre famiglie, le vostre comunità e l’intera società. Affido a Lui in modo particolare i giovani, affinché con coraggio e pieni di speranza comprendano l’importanza del matrimonio sacramentale e siano aperti alla nuova vita. Buone Feste del Santo Natale!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Trani, Fisciano, Casoli, Macchia Val Fortore, come pure la Delegazione dell’ANAS.

Il mio pensiero va, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Accostatevi al mistero di Betlemme con gli stessi sentimenti di fede e di umiltà che furono di Maria, per divenire ricchi di speranza e di letizia.

A tutti la mia benedizione!

Guarda il video integrale


"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 5 - 2025/2026 - IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


IV DOMENICA DI AVVENTO anno A

Vangelo:

«Ho avuto paura!» (Gen 3,10). Sono queste le prime parole che l'uomo rivolge a Dio nel giardino dell'Eden. Per questa ragione: «Non temete!» sono le parole che, da sempre, Dio ripete (anche a noi) quando si rivela: a Zaccaria nel Tempio (Lc 1,13); a Maria a Nazareth (Lc 1,30); ai Pastori (Lc 2,10) e adesso a Giuseppe. L'Altissimo compie ciò che mente umana mai avrebbe pensato potesse avverarsi, la sorpresa più incredibile che una creatura possa mai immaginare: concepire l'Inconcepibile, il suo Creatore. Dio fa irruzione nella storia dell'uomo perché l'uomo possa prendere parte alla sua e lo fa assumendo la nostra povera carne, la nostra fragilità, affinché noi si possa accogliere la sua vita così come lui si manifesta: un bimbo piccolo, debole, povero. E realista questo meraviglioso progetto colmando Maria del suo amore, della sua grazia, della sua tenerezza, coinvolgendola nel suo amore per l'umanità intera. Maria è la prima di tutti i credenti perché nel suo grembo la Parola increata si è fatta uno di noi. Se veramente vogliamo accogliere il Figlio, dobbiamo necessariamente prendere con noi anche la Madre, Maria, come ha fatto Giuseppe. «Non possiamo accedere, in via ordinaria, a Gesù, se non attraverso la mediazione storica di chi lo ha accolto. Solo in Maria, figura dell'Israele rimasto fedele, troviamo la carne del Signore e il Signore che si dona ad ogni carne» (cit.). Giuseppe, il sognatore, è l'uomo dell'ascolto che mette in pratica la Parola, che nel silenzio realizza il progetto di Dio sul mondo. Giuseppe è figura del nuovo Adamo, immagine della Chiesa, che non ha più paura, ma si pone in ascolto del suo Signore, si risveglia dagli incubi della menzogna antica e accoglie la sua sposa e con essa il Figlio, sua vita.

sabato 20 dicembre 2025

NON TEMERE I TUOI SOGNI "... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo. ... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge. ... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. - IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO A - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

NON TEMERE I TUOI SOGNI


... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.
 ... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge. 
... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.


Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa. Mt 1, 18-24
 
NON TEMERE I TUOI SOGNI
 
... Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.
... l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge
... l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

Dopo Giovanni, il profeta dubbioso di domenica scorsa, ecco un altro sognatore dubbioso, Giuseppe, l’ultimo patriarca. La sua casa è pronta, pronto il matrimonio, e i suoi sogni raccontano un’intensa storia d’amore con Maria; ma il dramma e il cuore ferito raccontano anche un’umanissima storia di crisi.

Prima che andassero a vivere insieme, Maria si trovò incinta... Allora Giuseppe pensò di ripudiarla in segreto.

È un buon giudeo, vorrebbe osservare la legge, andare dal rabbino a spiegargli la situazione: non è figlio mio. Dall’altro lato, però, non vuole mettere a rischio la vita di Maria, perché semplicemente quella ragazza lui la ama: gli ha occupato il futuro, il cuore e i sogni.

La legge prescriveva che il peccatore, l’adultero, doveva essere tolto di mezzo. Giuseppe lo sa, ma non lo fa, va controcorrente: decise di ripudiarla in segreto... di annullare il matrimonio senza clamore, senza processo, senza pericolo per Maria. È entrato in una logica altra: ha capito che qualcosa vale più della Legge antica, che prima viene l’amore. Quell’amore che è sempre un po’ “fuori legge”.

Ma ecco che in seguito a questa decisione fece un sogno. Non temere Giuseppe. Noi tutti abbiamo tantissime paure, e, tra queste, forse la più grande è la paura di amare fino in fondo.

Non avere paura di prendere con te Maria. Non temere il futuro con lei e con questo figlio non tuo. Dio non interviene a risolvere i nostri problemi, siamo noi e le nostre paure che dobbiamo essere risolti.

Da chi ha imparato Gesù a ribaltare la legge antica, a mettere la persona prima della legge se non ascoltando Giuseppe? Da chi ha capito il piccolo Gesù che l’amore viene prima di tutto, perché è esso stesso la legge? Dove ha imparato a sognare cieli nuovi e terra nuova e cuori nuovi, a darci speranza? È stato Giuseppe a dargli ali per volare, e mani robuste per dare concretezza ai suoi sogni.

Giuseppe che non parla mai, silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore, uno della stirpe dei dirottatori, che sa andare controcorrente: le sorti del mondo sono affidate ai suoi sogni. Perché l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio.

Giuseppe fece come gli aveva detto l'angelo e prese con sé la sua sposa.

Il suo non è un rassegnato consenso, ma un virile e straordinario “sì” alla realtà che non ha deciso lui. Per questo coraggio di Giuseppe, che antepone l'amore alla generazione, Dio avrà un figlio tra noi.

Il santo cardinale Newman pregava così: non ti chiedo luce fino in fondo al mio orizzonte, ma solo per il primo passo

Anche noi avremo tanta luce quanta ne basta a un solo passo, e poi la luce si rinnoverà, come i sogni, la fede e i dubbi di Giuseppe. Avremo tanto coraggio quanto ne serve ad affrontare la prima notte. Poi il coraggio troverà la sua strada, come gli angeli nei sogni del giusto Giuseppe.

Enzo Bianchi: Vegliamo nell’attesa del Signore che viene

Enzo Bianchi
 Vegliamo nell’attesa del Signore che viene

Il tempo di Avvento ci richiama a una pratica spirituale faticosa, ma estremamente fruttuosa

Famiglia Cristiana - 14 Dicembre 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


In ogni tempo liturgico la preghiera cristiana muta accentuando un aspetto. In Avvento si prega soprattutto vigilando, vegliando. Purtroppo questa postura della preghiera cristiana oggi è poco praticata perché si rifugge dalla fatica in generale e di conseguenza anche dalla fatica di una pratica orante. 
Eppure tutte le Scritture, e in particolar modo i Vangeli, testimoniano che Gesù “vegliava”, la sera, nella notte, al mattino presto! Vegliare significa sottrarre ore al sonno per stare desti, stare in attesa, attenti alla presenza e alla voce del Signore. Nei tempi antichi c’erano monaci che restavano a pregare addirittura tutta la notte vietandosi di dormire, appoggiando la testa su un bastone. Si chiamavano “vigilanti”, ma ancora adesso molti monaci si alzano nel cuor della notte a pregare, alle tre del mattino, e altri prima dell’alba. 
Vegliare è preghiera seria, che impegna il corpo che sperimenta la fatica di combattere contro il sonno e resta in attesa del Signore: bisogna farla questa esperienza per sentire come inebria di forza e come irrobustisce la speranza, che è attesa delle cose invisibili!

Chi è il cristiano, si chiedeva san Basilio? È colui che attende il Signore! 
Un’attesa umile, un’attesa amorosa, un’attesa impegnata, un’attesa che è epiclesi: Signore vieni! 
Come la sentinella attende l’aurora, tanti cristiani attendono la venuta del Signore: sono ai confini della chiesa, non sempre compresi, uomini di frontiera tra cielo e terra, tra incarnazione e parusia. D’altronde tutti sanno che dove c’è amore c’è attesa della persona amata: questo è un segno inequivocabile dell’amore. Il cristiano perciò in questo tempo di Avvento si interroghi: attende il Signore? Veglia nella notte per aspettarlo? Cerca di farsi trovare pronto? Dalla risposta potrà conoscere se in lui c’è la fede, la vera fede che è adesione al Signore.
(fonte: Blog dell'autore)


venerdì 19 dicembre 2025

MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2026 - Papa Leone smaschera la “logica distorta” del Rearm Europe e della propaganda di guerra alimentata dai governi (sintesi/commento e testo integrale)

MESSAGGIO DI LEONE XIV
PER LA LIX GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2026

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Papa Leone smaschera la “logica distorta” del Rearm Europe e della propaganda di guerra alimentata dai governi 


Nel rapporto tra cittadini e governanti si sta affermando “una logica distorta che arriva a considerare una colpa il non prepararsi alla guerra, il non essere pronti a reagire agli attacchi e a rispondere alle violenze”. Lo denuncia Papa Leone XIV nel suo Messaggio per la Giornata della Pace che sarà celebrata il prossimo primo gennaio 2026. Il Papa non discute il principio di legittima difesa, ma osserva come “questa mentalità contrappositiva rappresenti uno degli elementi più inquietanti dell’attuale destabilizzazione planetaria, sempre più drammatica e imprevedibile”.

“I ripetuti appelli all’aumento delle spese militari vengono spesso giustificati dai governanti – rileva Papa Prevost – con la presunta pericolosità dell’altro, alimentando una spirale fondata sulla paura e sul dominio della forza. In questo quadro, la deterrenza nucleare appare come l’emblema di un rapporto irrazionale tra i popoli, lontano dal diritto, dalla giustizia e dalla fiducia”.

In merito il Messaggio del Papa riporta che “nel 2024 le spese militari mondiali sono cresciute del 9,4%, raggiungendo i 2.718 miliardi di dollari, pari al 2,5% del PIL globale”, mentre “parallelamente, si assiste a un preoccupante riallineamento delle politiche educative, che sostituiscono la cultura della memoria con una narrazione permanente della minaccia”.

Da qui l’appello a “un risveglio delle coscienze, al dialogo e a una pace disarmante, fondata sulla fiducia, sull’umiltà e sul rifiuto della logica bellica come destino inevitabile dell’umanità”. “Chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace”. Lo ricorda il Pontefice citando Sant’Agostino nel Messaggio per la Giornata della Pace 2026. Nel testo, Leone XIV, invita a preferire “la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui”. Il Papa sottolinea come “sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo” e ricorda le parole della Costituzione Gaudium et spes: “Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni”.

Il testo richiama l’urgenza di vigilare sul “processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari” causato dal crescente affidamento delle decisioni di vita o di morte alle macchine, e denuncia “le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che spingono gli Stati in questa direzione”. L’appello continua citando San Francesco d’Assisi: “In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose… Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti”.

Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, il Papa cita Giovanni XXIII per sostenere che “l’arresto agli armamenti a scopi bellici” risulterebbe impossibile se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale, Secondo Leone XIV, “il criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti deve essere sostituito dal principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia”. Il Pontefice formula nel testo un invito alla responsabilità politica e sociale: “Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche, considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale… Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde”.

“Possa essere questo un frutto del Giubileo della Speranza”, auspica Papa Prevost commentando le parole della Sacra Scrittura: “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione”. Leone reclama dunque “un impegno concreto di pace, dialogo e disarmo dei cuori”.

Nel Messaggio il Papa spiega anche come “l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati”. “Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente ‘delegare’ alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane”, conclude il Pontefice.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri 18/12/2025)

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TESTO INTEGRALE

La pace sia con tutti voi.
Verso una pace disarmata e disarmante

“La pace sia con te!”.

Questo antichissimo saluto, ancora oggi quotidiano in molte culture, la sera di Pasqua si è riempito di nuovo vigore sulle labbra di Gesù risorto. «Pace a voi» ( Gv 20,19.21) è la sua Parola che non soltanto augura, ma realizza un definitivo cambiamento in chi la accoglie e così in tutta la realtà. Per questo i successori degli Apostoli danno voce ogni giorno e in tutto il mondo alla più silenziosa rivoluzione: “La pace sia con voi!”. Fin dalla sera della mia elezione a Vescovo di Roma, ho voluto inserire il mio saluto in questo corale annuncio. E desidero ribadirlo: questa è la pace del Cristo risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. [1]

La pace di Cristo risorto

Ad aver vinto la morte e abbattuto i muri di separazione fra gli esseri umani (cfr Ef 2,14) è il Buon Pastore, che dà la vita per il gregge e che ha molte pecore al di là del recinto dell’ovile (cfr Gv 10,11.16): Cristo, nostra pace. La sua presenza, il suo dono, la sua vittoria riverberano nella perseveranza di molti testimoni, per mezzo dei quali l’opera di Dio continua nel mondo, diventando persino più percepibile e luminosa nell’oscurità dei tempi.

Il contrasto fra tenebre e luce, infatti, non è soltanto un’immagine biblica per descrivere il travaglio da cui sta nascendo un mondo nuovo: è un’esperienza che ci attraversa e ci sconvolge in rapporto alle prove che incontriamo, nelle circostanze storiche in cui ci troviamo a vivere. Ebbene, vedere la luce e credere in essa è necessario per non sprofondare nel buio. Si tratta di un’esigenza che i discepoli di Gesù sono chiamati a vivere in modo unico e privilegiato, ma che per molte vie sa aprirsi un varco nel cuore di ogni essere umano. La pace esiste, vuole abitarci, ha il mite potere di illuminare e allargare l’intelligenza, resiste alla violenza e la vince. La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”. In questo orizzonte ci ha introdotti il Risorto. In questo presentimento vivono le operatrici e gli operatori di pace che, nel dramma di quella che Papa Francesco ha definito “terza guerra mondiale a pezzi”, ancora resistono alla contaminazione delle tenebre, come sentinelle nella notte.

Il contrario, cioè dimenticare la luce, è purtroppo possibile: si perde allora di realismo, cedendo a una rappresentazione del mondo parziale e distorta, nel segno delle tenebre e della paura. Non sono pochi oggi a chiamare realistiche le narrazioni prive di speranza, cieche alla bellezza altrui, dimentiche della grazia di Dio che opera sempre nei cuori umani, per quanto feriti dal peccato. Sant’Agostino esortava i cristiani a intrecciare un’indissolubile amicizia con la pace, affinché, custodendola nell’intimo del loro spirito, potessero irradiarne tutt’intorno il luminoso calore. Egli, indirizzandosi alla sua comunità, così scriveva: «Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso». [2]

Sia che abbiamo il dono della fede, sia che ci sembri di non averlo, cari fratelli e sorelle, apriamoci alla pace! Accogliamola e riconosciamola, piuttosto che considerarla lontana e impossibile. Prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte. Anche nei luoghi in cui rimangono soltanto macerie e dove la disperazione sembra inevitabile, proprio oggi troviamo chi non ha dimenticato la pace. Come la sera di Pasqua Gesù entrò nel luogo dove si trovavano i discepoli, impauriti e scoraggiati, così la pace di Cristo risorto continua ad attraversare porte e barriere con le voci e i volti dei suoi testimoni. È il dono che consente di non dimenticare il bene, di riconoscerlo vincitore, di sceglierlo ancora e insieme.

Una pace disarmata

Poco prima di essere catturato, in un momento di intensa confidenza, Gesù disse a quelli che erano con Lui: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi». E subito aggiunse: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Il turbamento e il timore potevano riguardare, certo, la violenza che si sarebbe presto abbattuta su di Lui. Più profondamente, i Vangeli non nascondono che a sconcertare i discepoli fu la sua risposta non violenta: una via che tutti, Pietro per primo, gli contestarono, ma sulla quale fino all’ultimo il Maestro chiese di seguirlo. La via di Gesù continua a essere motivo di turbamento e di timore. E Lui ripete con fermezza a chi vorrebbe difenderlo: «Rimetti la spada nel fodero» (Gv 18,11; cfr Mt 26,52). La pace di Gesù risorto è disarmata, perché disarmata fu la sua lotta, entro precise circostanze storiche, politiche, sociali. Di questa novità i cristiani devono farsi, insieme, profeticamente testimoni, memori delle tragedie di cui troppe volte si sono resi complici. La grande parabola del giudizio universale invita tutti i cristiani ad agire con misericordia in questa consapevolezza (cfr Mt 25,31-46). E nel farlo, essi troveranno al loro fianco fratelli e sorelle che, per vie diverse, hanno saputo ascoltare il dolore altrui e si sono interiormente liberati dall’inganno della violenza.

Sebbene non siano poche, oggi, le persone col cuore pronto alla pace, un grande senso di impotenza le pervade di fronte al corso degli avvenimenti, sempre più incerto. Già Sant’Agostino, in effetti, segnalava un particolare paradosso: «Non è difficile possedere la pace. È, al limite, più difficile lodarla. Se la vogliamo lodare, abbiamo bisogno di avere capacità che forse ci mancano; andiamo in cerca delle idee giuste, soppesiamo le frasi. Se invece la vogliamo avere, essa è lì, a nostra portata di mano e possiamo possederla senza alcuna fatica». [3]

Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze. Molto al di là del principio di legittima difesa, sul piano politico tale logica contrappositiva è il dato più attuale in una destabilizzazione planetaria che va assumendo ogni giorno maggiore drammaticità e imprevedibilità. Non a caso, i ripetuti appelli a incrementare le spese militari e le scelte che ne conseguono sono presentati da molti governanti con la giustificazione della pericolosità altrui. Infatti, la forza dissuasiva della potenza, e, in particolare, la deterrenza nucleare, incarnano l’irrazionalità di un rapporto tra popoli basato non sul diritto, sulla giustizia e sulla fiducia, ma sulla paura e sul dominio della forza. «In conseguenza – come già scriveva dei suoi tempi San Giovanni XXIII – gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile. Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capaci di assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerra causerebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico». [4]

Ebbene, nel corso del 2024 le spese militari a livello mondiale sono aumentate del 9,4% rispetto all’anno precedente, confermando la tendenza ininterrotta da dieci anni e raggiungendo la cifra di 2.718 miliardi di dollari, ovvero il 2,5% del PIL mondiale. [5] Per di più, oggi alle nuove sfide pare si voglia rispondere, oltre che con l’enorme sforzo economico per il riarmo, con un riallineamento delle politiche educative: invece di una cultura della memoria, che custodisca le consapevolezze maturate nel Novecento e non ne dimentichi i milioni di vittime, si promuovono campagne di comunicazione e programmi educativi, in scuole e università, così come nei media, che diffondono la percezione di minacce e trasmettono una nozione meramente armata di difesa e di sicurezza.

Tuttavia, «chi ama veramente la pace ama anche i nemici della pace». [6] Così Sant’Agostino raccomandava di non distruggere i ponti e di non insistere col registro del rimprovero, preferendo la via dell’ascolto e, per quanto possibile, dell’incontro con le ragioni altrui. Sessant’anni fa, il Concilio Vaticano II si concludeva nella consapevolezza di un urgente dialogo fra Chiesa e mondo contemporaneo. In particolare, la Costituzione Gaudium et spes portava l’attenzione sull’evoluzione della pratica bellica: «Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l’occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari, a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti all’umanità intera, l’enorme peso della loro responsabilità». [7]

Nel ribadire l’appello dei Padri conciliari e stimando la via del dialogo come la più efficace ad ogni livello, constatiamo come l’ulteriore avanzamento tecnologico e l’applicazione in ambito militare delle intelligenze artificiali abbiano radicalizzato la tragicità dei conflitti armati. Si va persino delineando un processo di deresponsabilizzazione dei leader politici e militari, a motivo del crescente “delegare” alle macchine decisioni riguardanti la vita e la morte di persone umane. È una spirale distruttiva, senza precedenti, dell’umanesimo giuridico e filosofico su cui poggia e da cui è custodita qualsiasi civiltà. Occorre denunciare le enormi concentrazioni di interessi economici e finanziari privati che vanno sospingendo gli Stati in questa direzione; ma ciò non basta, se contemporaneamente non viene favorito il risveglio delle coscienze e del pensiero critico. L’Enciclica Fratelli tutti presenta San Francesco d’Assisi come esempio di un tale risveglio: «In quel mondo pieno di torri di guardia e di mura difensive, le città vivevano guerre sanguinose tra famiglie potenti, mentre crescevano le zone miserabili delle periferie escluse. Là Francesco ricevette dentro di sé la vera pace, si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti». [8] È una storia che vuole continuare in noi, e che richiede di unire gli sforzi per contribuire a vicenda a una pace disarmante, una pace che nasce dall’apertura e dall’umiltà evangelica.

Una pace disarmante

La bontà è disarmante. Forse per questo Dio si è fatto bambino. Il mistero dell’Incarnazione, che ha il suo punto di più estremo abbassamento nella discesa agli inferi, comincia nel grembo di una giovane madre e si manifesta nella mangiatoia di Betlemme. «Pace in terra» cantano gli angeli, annunciando la presenza di un Dio senza difese, dal quale l’umanità può scoprirsi amata soltanto prendendosene cura (cfr Lc 2,13-14). Nulla ha la capacità di cambiarci quanto un figlio. E forse è proprio il pensiero ai nostri figli, ai bambini e anche a chi è fragile come loro, a trafiggerci il cuore (cfr At 2,37). Al riguardo, il mio venerato Predecessore scriveva che «la fragilità umana ha il potere di renderci più lucidi rispetto a ciò che dura e a ciò che passa, a ciò che fa vivere e a ciò che uccide. Forse per questo tendiamo così spesso a negare i limiti e a sfuggire le persone fragili e ferite: hanno il potere di mettere in discussione la direzione che abbiamo scelto, come singoli e come comunità». [9]

Giovanni XXIII introdusse per primo la prospettiva di un disarmo integrale, che si può affermare soltanto attraverso il rinnovamento del cuore e dell’intelligenza. Così scriveva nella Pacem in terris: «Occorre riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità». [10]

È questo un servizio fondamentale che le religioni devono rendere all’umanità sofferente, vigilando sul crescente tentativo di trasformare in armi persino i pensieri e le parole. Le grandi tradizioni spirituali, così come il retto uso della ragione, ci fanno andare oltre i legami di sangue o etnici, oltre quelle fratellanze che riconoscono solo chi è simile e respingono chi è diverso. Oggi vediamo come questo non sia scontato. Purtroppo, fa sempre più parte del panorama contemporaneo trascinare le parole della fede nel combattimento politico, benedire il nazionalismo e giustificare religiosamente la violenza e la lotta armata. I credenti devono smentire attivamente, anzitutto con la vita, queste forme di blasfemia che oscurano il Nome Santo di Dio. Perciò, insieme all’azione, è più che mai necessario coltivare la preghiera, la spiritualità, il dialogo ecumenico e interreligioso come vie di pace e linguaggi dell’incontro fra tradizioni e culture. In tutto il mondo è auspicabile che «ogni comunità diventi una “casa della pace”, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono». [11] Oggi più che mai, infatti, occorre mostrare che la pace non è un’utopia, mediante una creatività pastorale attenta e generativa.

D’altra parte, ciò non deve distogliere l’attenzione di tutti dall’importanza della dimensione politica. Quanti sono chiamati a responsabilità pubbliche nelle sedi più alte e qualificate, «considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su piano mondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrutino il problema fino a individuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali, durature, feconde». [12]È la via disarmante della diplomazia, della mediazione, del diritto internazionale, smentita purtroppo da sempre più frequenti violazioni di accordi faticosamente raggiunti, in un contesto che richiederebbe non la delegittimazione, ma piuttosto il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali.

Oggi, la giustizia e la dignità umana sono più che mai esposte agli squilibri di potere tra i più forti. Come abitare un tempo di destabilizzazione e di conflitti liberandosi dal male? Occorre motivare e sostenere ogni iniziativa spirituale, culturale e politica che tenga viva la speranza, contrastando il diffondersi di «atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana». [13] Se infatti «il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori», [14] a una simile strategia va opposto lo sviluppo di società civili consapevoli, di forme di associazionismo responsabile, di esperienze di partecipazione non violenta, di pratiche di giustizia riparativa su piccola e su larga scala. Lo evidenziava già con chiarezza Leone XIII nell’Enciclica Rerum novarum: «Il sentimento della propria debolezza spinge l’uomo a voler unire la sua opera all’altrui. La Scrittura dice: È meglio essere in due che uno solo; perché due hanno maggior vantaggio nel loro lavoro. Se uno cade, è sostenuto dall’altro. Guai a chi è solo; se cade non ha una mano che lo sollevi ( Eccl 4,9-10). E altrove: il fratello aiutato dal fratello è simile a una città fortificata ( Prov 18,19)». [15]

Possa essere questo un frutto del Giubileo della Speranza, che ha sollecitato milioni di esseri umani a riscoprirsi pellegrini e ad avviare in sé stessi quel disarmo del cuore, della mente e della vita cui Dio non tarderà a rispondere adempiendo le sue promesse: «Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,4-5).

Dal Vaticano, 8 dicembre 2025

LEONE PP. XIV


[1] Cfr Benedizione apostolica “Urbi et Orbi” e primo saluto, Loggia centrale della Basilica di San Pietro (8 maggio 2025).
[2] Agostino d’Ippona, Discorso 357, 3.
[3] Ibid., 1.
[4] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 60.
[5] Cfr SIPRI Yearbook: Armaments, Disarmament and International Security (2025).
[6] Agostino d’Ippona, Discorso 357, 1.
[7] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 80.
[8] Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 4.
[10] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 61.
[12] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), 63.
[13] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 42.
[14] Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 15.
[15] Leone XIII, Lett. enc. Rerum novarum (15 maggio 1891), 37.

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