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martedì 13 maggio 2025

Viaggi, sfide di tennis, doni di sciarpe e reliquie. Papa Leone saluta i giornalisti

Viaggi, sfide di tennis, doni di sciarpe e reliquie.
Papa Leone saluta i giornalisti

Il Pontefice, dopo il discorso ai rappresentanti dei media di tutto il mondo ricevuti in Aula Paolo VI, ha voluto salutare alcuni gruppi di giornalisti. In regalo una sciarpa delle Ande del Perù e una reliquia di Papa Luciani, poi la proposta di una partita di tennis: “Purché non ci sia Sinner” e le domande su viaggi a Fatima e Nicea. “Noi non siamo nemici, ma suoi alleati”

Il Papa indossa la chalina, una sciarpa artigianale peruviana donata dalla giornalista peruviana Paola Ugaz

Una sciarpa in alpaca delle Ande peruviane, la foto a fianco ad una giornalista con il tailleur di un bianco quasi ‘papale’, il dono di una reliquia di Papa Luciani, la proposta di match di tennis (uno dei suoi sport preferiti), la battuta sul possibile viaggio a Nicea e quella sfumato a Fatima che avrebbe voluto fare da cardinale. Si aspettava il baciamano, in fila, uno ad uno, invece Papa Leone XIV è sceso dai gradini dell’Aula Paolo VI ed è andato lui stesso a salutare le prime file dei giornalisti - in rappresentanza dei media di tutto il mondo - ricevuti oggi come segno di ringraziamento per il grande lavoro di copertura svolto dalla morte di Papa Francesco fino al Conclave e alla sua elezione.

Una partita a tennis?

Foto, regali, firme di autografi, benedizioni, durante il lungo giro del Pontefice tra i vaticanisti di varie lingue e testate, e anche qualche frase spiritosa. Come ad esempio quella su un possibile match di tennis di beneficenza, proposto da Inés San Martin, responsabile della comunicazione delle Pontificie Opere Missionarie: “Sarebbe bello fare una partita, la organizzo io!”. “Ah sì, è davvero è una buona idea. Basta che però non porti Sinner”, ha ribattuto il Papa, lasciando intendere di ‘temere’ il talento del campione italiano.

La bandiera del Perù su un pc (@Vatican Media)

Un dono in ricordo di Papa Luciani

Con gratitudine Leone XIV ha accolto il regalo di Stefania Falasca, editorialista di Avvenire e postulatrice della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo I che ha donato una piccola reliquia del beato Luciani, il quale ha fatto suo proprio il “Sermo humilis” di Sant’Agostino affinché il messaggio della salvezza potesse arrivare a tutti. Luciani, che avrebbe voluto fare il giornalista in gioventù, diceva infatti: “Anche con la penna si può fare tanto del bene”.

Foto e regali

Numerose le lettere e i biglietti consegnati al Pontefice che ha suscitato uno spontaneo "oooh" nella folla quando ha ripetuto il saluto in lingua dei segni mostratogli da suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio per la pastorale delle Persone con disabilità della CEI. Per qualche istante Papa Prevost si è soffermato con l’inviata di Tv2000, Cristiana Caricato, che scherzava sul suo completo tutto bianco e le scarpe rosse: “Ho un abito bianco, lo so, ma non ho ambizioni da papessa”. “No, bello”, ha detto Leone, chiedendo di scattare una foto a fianco alla vaticanista. E lo stesso ha fatto con la giornalista, Paola Ugaz, nota in Perù per la sua inchiesta sul movimento Sodalicio, la quale gli ha donato una chalina, una sciarpa multicolore in lana di alpaca, proveniente dalle terre andine. Quelle in cui il Pontefice è stato missionario per circa vent’anni. Papa Prevost l’ha indossata al collo per lo scatto, poi ha salutato un gruppo di peruviani che gli mostravano al computer la loro bandiera.

Suor Donatello saluta il Papa con la lingua dei segni (@Vatican Media)

Usa, Fatima, Nicea

E se al collega statunitense che chiedeva se fosse previsto un viaggio a casa (negli Usa) “soon”, Leone XIV ha risposto “not soon”, con la giornalista portoghese Aura Miguél, che ricordava la festa di domani, 13 maggio, della Madonna di Fatima, il Papa ha invece detto: “Sì, il cardinale Prevost aveva previsto di andare (a Fatima) ma i piani sono cambiati”. Sempre in tema viaggi, alcuni giornalisti hanno domandato al Pontefice se si terrà il famoso viaggio a Nicea, in Turchia, per i 1700 anni del Concilio, desiderio di Papa Francesco che tante volte e in tante occasioni ha espresso la volontà di vivere questo evento. Leone XIV si è mostrato aperto alla possibilità.

"Compagni di viaggio"

Da parte di alcuni cronisti, infine, una manifestazione di intenti: “Non siamo suoi nemici, ma vogliamo essere suoi alleati e compagni di viaggio e che se un giorno vorrà ci piacerebbe che ci ascoltasse”.

Il saluto del Papa ai giornalisti (@Vatican Media)
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 12/05/2025)

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L’America di papa Leone non è l’America first di Trump

Maddalena Maltese*

L’America di papa Leone
non è l’America first di Trump

Il nuovo papa americano non incarna gli ideali sbandierati dal governo USA attuale, rappresenta invece «la dottrina sociale cattolica, una serie di insegnamenti sugli emarginati, sulla dignità di tutti gli esseri umani, sull'accoglienza dello straniero»

 
ANSA/ANGELO CARCONI

La sera dell’8 maggio, mentre su Roma si spegnevano i riflettori sull’elezione del cardinale Robert Prevost a papa Leone XIV, nella Cattedrale di San Patrizio, sulla Quinta Avenue, i cattolici di New York pregavano in ginocchio e con commozione per il primo papa statunitense della storia. L’incredulità, la sorpresa, la gioia espresse con un applauso contenuto durante la messa, sono diventate lacrime e preghiera davanti alla piccola statua della Madonna Bianca, in una cappella defilata dalla maestosità della navata centrale. In ginocchio erano americani bianchi e ispanici, asiatici e afroamericani, giovani professionisti in cravatta e nonne, membri della comunità LGBTQ e suore: un popolo variegato, unito nel nome di Cristo e di Leone. La scelta di un papa americano da parte dei cardinali ha sfidato la convinzione prevalente che la Chiesa non avrebbe scelto un leader proveniente da una superpotenza globale. Nei giorni precedenti il conclave, i commentatori cattolici avevano ipotizzato che la rottura dell’ordine politico ed economico globale operata da Trump rendesse ancora più improbabile un papa nato negli Stati Uniti.

Papa Leone ha nelle sue radici un’America costruita da immigrati, come prova il suo cognome francese Prevost, e come quella del sobborgo di Chicago dove è nato, in cui le diverse generazioni di immigrati alla domanda sulla provenienza rispondevano: San Barnaba, Santa Maria, ovvero prima la parrocchia e poi la nazionalità. La storia personale di Robert Prevost, noto in questo angolo del Midwest, come padre Bob, mostra un altro volto degli Stati Uniti, non inflazionato dalla narrativa di Hollywood e nemmeno da una lettura politica dirompente e ossessiva. L’America di papa Leone è quella che lavora e studia sodo, che si nutre di fede e spiritualità, che sa essere tifosa di baseball e appassionata di musica jazz e allo stesso tempo sa sradicarsi dal suo benessere per prendersi cura delle povertà e delle miserie negli angoli più disparati della terra, come dimostrano le migliaia di organizzazioni e fondazioni benefiche made in USA.

Il motivo per cui i cardinali abbiano scelto un americano come successore di san Pietro rimarrà probabilmente un mistero ben custodito tra le mura della Cappella Sistina, ma l’elezione di Leone arriva in un momento cruciale per l’immagine che gli Stati Uniti stanno proiettando sulla scena mondiale. Isolati, inaffidabili, sempre più armati e divisi, lacerati dalle disparità sociali ed economiche, mentre l’arroganza e l’incompetenza di alcuni esponenti politici e imprenditoriali rimbombano sui media acclamando un’America first, papa Leone XIV restituisce forza morale e voce ai milioni di statunitensi rispettabili e rispettati, generosi e discreti, affidabili e, se possiamo usare ancora una parole desueta: normali.

David Brooks, giornalista e attivista che con il progetto Weave (Tessere), lavora alla ricostruzione del tessuto sociale Usa, ha paragonato la scelta di Leone a quella di Giovanni Paolo II. «Un paio di decenni fa, quando l’Unione Sovietica era la principale area problematica del mondo, i cardinali scelsero Giovanni Paolo II, un polacco, e lui contribuì a porre fine al comunismo», ha detto Brooks, spiegando che ora è «l’America la nazione più travagliata del mondo», e che la scelta sia caduta su «un americano che rappresenta la dottrina sociale cattolica, che rappresenta una serie di insegnamenti sugli emarginati, sulla dignità di tutti gli esseri umani, sull’accoglienza dello straniero» annuncia un’era diversa da quella inaugurata da Trump. Se il presidente Usa parla di dominio, potere, controllo, vittoria, conquista, papa Leone sceglie di essere un mite, un costruttore di ponti, il portatore di una pace disarmata contro la pace armata sposata dal suo Paese natale. Papa Bob, come è già chiamato amichevolmente sulla strada, incarna nelle sue radici familiari e nella sua variegata esperienza umana e spirituale quel E Pluribus Unum – Da molti uno, che è il motto fondativo degli USA e che racchiude anche l’essenza della Chiesa che ha scelto Leone, non monolitica, ma varia e anche unita.
(Fonte: Città Nuova, articolo di Maddalena Maltese 12/05/2025) 

*Maddalena Maltese Corrispondente per Radiocor-Il Sole24 ore, collabora con varie testate in Italia e negli Usa ed è giornalista per Città Nuova dal 2008. Membro dell’Association of Foreign Press Correspondents, è stata selezionata dalla New York University- Gallatin School tra i 50 scrittori immigrati emergenti del 2018 e 2019.
Per la Fondazione Mario Diana è consulente su Ecologia integrale ed Economia circolare e per Focolare Media US si occupa di strategia e vision.
Appassionata di dialogo interculturale e interreligioso, è ambasciatrice di Religions for Peace International, di cui è stata direttore della comunicazione. Vive a New York, dove rappresenta la ONG New Humanity al Multifaith Advisory Council dell’Onu. Ha anche lavorato nell’ufficio stampa di Rita Borsellino a Palermo.
Master in Giornalismo, certification in Comunicazione pubblica e Social Journalism, ha una laurea in Filosofia e una in Giornalismo per uffici stampa. Si sta specializzando in Global Affairs all’Università di New York.


lunedì 12 maggio 2025

LEONE XIV AGLI OPERATORI DELLA COMUNICAZIONE: «Dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra. ... Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace.» (testo e video)



È un profondo trattato di deontologia professionale quello che Leone XIV traccia per gli operatori della comunicazione di tutto il mondo, incontrati stamani, 12 maggio, nell’Aula Paolo VI. Circa tremila volti e voci provenienti da ogni parte del globo sorridono e acclamano l'ingresso del Pontefice, accolto da un fragoroso applauso. Il suo è un discorso punteggiato da tanti battimani dei presenti, consapevoli del senso di responsabilità che ciascun giornalista è chiamato a raccogliere per portare avanti “il servizio alla verità” e alla pace. L’impegno delineato dal Pontefice è chiaro:

"Portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla."


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DISCORSO DEL SANTO PADRE LEONE XIV
AGLI OPERATORI DELLA COMUNICAZIONE

Aula Paolo VI
Lunedì, 12 maggio 2025


Buongiorno! Good morning, and thank you for this wonderful reception! They say when they clap at the beginning it doesn’t matter much… If you are still awake at the end, and you still want to applaud… Thank you very much!

[traduzione italiana: Buongiorno e grazie per questa bellissima accoglienza! Dicono che quando si applaude all’inizio non vale granché! Se alla fine sarete ancora svegli e vorrete ancora applaudire, grazie mille!]

Fratelli e sorelle!

Do il benvenuto a voi, rappresentanti dei media di tutto il mondo. Vi ringrazio per il lavoro che avete fatto e state facendo in questo tempo, che per la Chiesa è essenzialmente un tempo di Grazia.

Nel “Discorso della montagna” Gesù ha proclamato: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Si tratta di una Beatitudine che ci sfida tutti e che vi riguarda da vicino, chiamando ciascuno all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla. La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra.

Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, e con queste parole anche chiederne la liberazione di questi giornalisti incarcerati. La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere. La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa.

Grazie, cari amici, per il vostro servizio alla verità. Voi siete stati a Roma in queste settimane per raccontare la Chiesa, la sua varietà e, insieme, la sua unità. Avete accompagnato i riti della Settimana Santa; avete poi raccontato il dolore per la morte di Papa Francesco, avvenuta però nella luce della Pasqua. Quella stessa fede pasquale ci ha introdotti nello spirito del Conclave, che vi ha visti particolarmente impegnati in giornate faticose; e, anche in questa occasione, siete riusciti a narrare la bellezza dell’amore di Cristo che ci unisce tutti e ci fa essere un unico popolo, guidato dal Buon Pastore.

Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni” (cfr Discorso 311). Noi siamo i tempi».

Grazie, dunque, di quanto avete fatto per uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni, attraverso i quali leggiamo spesso la vita cristiana e la stessa vita della Chiesa. Grazie, perché siete riusciti a cogliere l’essenziale di quel che siamo, e a trasmetterlo con ogni mezzo al mondo intero.

Oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi. Perciò, il vostro servizio, con le parole che usate e lo stile che adottate, è importante. La comunicazione, infatti, non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto. E guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali.

Cari amici, impareremo con il tempo a conoscerci meglio. Abbiamo vissuto – possiamo dire insieme – giorni davvero speciali. Li abbiamo, li avete condivisi con ogni mezzo di comunicazione: la TV, la radio, il web, i social. Vorrei tanto che ognuno di noi potesse dire di essi che ci hanno svelato un pizzico del mistero della nostra umanità, e che ci hanno lasciato un desiderio di amore e di pace. Per questo ripeto a voi oggi l’invito fatto da Papa Francesco nel suo ultimo messaggio per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana.

Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace.

Grazie a tutti voi. Che Dio vi benedica!


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Lampedusa: intollerabile conta senza fine di bambini morti a causa della nostra indifferenza.


La denuncia di Save the Children
(11 maggio 2025)

Lampedusa: intollerabile conta senza fine di bambini morti a causa della nostra indifferenza.

“È intollerabile continuare questa conta senza fine di bambini morti per la nostra indifferenza. Pensare che due piccole vite sono stata spezzate a causa della fame e della sete, così come viene riportato dai media, a due passi di quella che avrebbe dovuto essere la terra dove poter crescere, è inaccettabile. Così come non è pensabile che oggi delle madri potranno abbracciare solo il proprio dolore” ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children,l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

“Non è più il momento degli alibi, è il momento dell’azione: Save the Children rinnova l’appello per l’attivazione di un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare vite umane, agendo nel rispetto dei principi internazionali, e per l’apertura di canali regolari e sicuri per raggiungere l’Europa”, conclude Daniela Fatarella.

Dal 2014, sono quasi 32.000 le persone morte o disperse nel Mediterraneo, nel tentativo di raggiungere l’Europa, 500 solo dall’inizio del 2025. Molte di loro erano bambini e adolescenti.[1]

Per informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children
Tel. 3389625274 - 3316676827 - 3409367952 – 3385791870


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La notizia

Lampedusa, recuperati in mare i corpi senza vita di due bambini e un adulto

Due bambini di due anni e un adulto sono morti in una traversata del mare Mediterraneo dalla Libia all’Italia. Lo hanno reso noto i volontari della nave Nadir della ong tedesca ResqShip che ha effettuato ieri il soccorso a sud di Lampedusa. Il gommone alla deriva con 63 persone a bordo era stato avvistato da un aereo di sorveglianza dell’agenzia europea per le frontiere Frontex: «Quando noi siamo arrivati — ha affermato Rania, paramedico a bordo della Nadir — era troppo tardi per aiutare tutte le persone. Ci sono stati consegnati due corpi di infanti. Erano morti il giorno prima, probabilmente di sete».

Il barcone è stato intercetto a circa 60 miglia da Lampedusa, in acque internazionali. La Guardia costiera italiana è arrivata intorno alle 20.45 (di ieri) e ha preso a bordo due neonati con le loro madri e altre due persone gravemente ferite per portarli più rapidamente a Lampedusa. Alle 4 del mattino anche il Nadir ha raggiunto l’Isola. I 59 sopravvissuti sono sbarcati e trasferiti nell’hotspot di Contrada Imbriacola. Sul gommone un uomo è stato trovato in stato di incoscienza. Un medico ha cercato di rianimarlo ma è morto. I soccorritori sono stati informati dai sopravvissuti che un altro migrante era annegato venerdì dopo essere caduto in mare. E' finito in acqua forse per trovare sollievo alle ustioni provocate dal sole, dell'acqua salata e dal carburante. Non sarebbe più riuscito a risalire a bordo per il mare agitato.

I migranti sono partiti dal porto di Zawiya, Libia, mercoledì notte. Hanno pagato ai trafficanti 1.500 dollari a testa. Nel gruppo delle persone tratte in salvo dalla nave Nadir, anche 13 donne e 2 minori originari di Gambia, Ghana, Niger, Sierra Leone, Nigeria e Togo. Molti dei sopravvissuti hanno subito ustioni chimiche. I corpi sono stati trasferiti nel cimitero di Cala Pisana.

Secondo il racconto dei sopravvissuti, il motore del gommone si è rotto dopo un giorno di navigazione, lasciando i migranti alla deriva, esposti al vento e alle alte onde del mare. «Questa tragedia — denuncia ResqShip — poteva essere evitata. È un esempio del fallimento della politica migratoria europea. Invece di coordinare gli aiuti e facilitare le vie di fuga sicure, l’Europa sta abbandonando persone indifese a se stesse, con conseguenze mortali. Il fatto che i bambini muoiano di sete durante la fuga è un fallimento politico imperdonabile».

Lampedusa, ricordiamolo, è il primo porto di scalo per molti migranti che cercano di raggiungere l’Europa dal Nord Africa. Una rotta marittima tra le più mortali al mondo. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, dal 2014 sono almeno 25.000 le persone morte o scomparse nel Mediterraneo (circa 1.700 sono i migranti morti nel 2024 e poco meno di 400 quest’anno). «È sempre difficile, davanti a notizie come queste — è il commenta di Rosario Valastro, Presidente della Croce Rossa Italiana — trovare parole adeguate. Tre vite sono state spezzate in un viaggio che avrebbe dovuto dare loro la speranza di un futuro migliore, lontano da pericoli e difficoltà». (Corriere della Sera, articolo di Agostino Gramigna 11/05/2025)


Leone XIV: «Considero un dono di Dio il fatto che la prima domenica del mio servizio come Vescovo di Roma sia quella del Buon Pastore... sì, è Lui che guida la Chiesa con il suo Santo Spirito.» Regina Caeli 11/05/2025 (foto,testo e video)

PAPA LEONE XIV

REGINA CAELI

Loggia Centrale della Basilica di San Pietro
Domenica, 11 maggio 2025


“Cari fratelli e sorelle, buona domenica! Considero un dono di Dio il fatto che la prima domenica del mio servizio come vescovo di Roma sia quella del Buon Pastore, la quarta del tempo di Pasqua”. 
È iniziato con queste parole il primo Regina Coeli di Leone XIV, davanti a decine di migliaia di fedeli – la prima stima della mattina era di 150mila persone – che hanno riempito gli spazi delimitati dal colonnato del Bernini. 
"Oggi, dunque, fratelli e sorelle, ho la gioia di pregare con voi e con tutto il Popolo di Dio per le vocazioni, specialmente per quelle al sacerdozio e alla vita religiosa. La Chiesa ne ha tanto bisogno! Ed è importante che i giovani e le giovani trovino, nelle nostre comunità, accoglienza, ascolto, incoraggiamento nel loro cammino vocazionale, e che possano contare su modelli credibili di dedizione generosa a Dio e ai fratelli." Ha poi citato e fatto suo il Messaggio che papa Francesco aveva preparato per questa 62ª Giornata Mondiale per le vocazioni.
Dopo il canto del Regina Caeli, Leone XIV ha lanciato un accorato appello per la pace in Ucraina, nella striscia di Gaza e in tutti i Paesi ancora segnati da conflitti, in quella che Papa Francesco definiva la “terza guerra mondiale a pezzi”. “Mai più la guerra!”, le parole di Paolo VI riproposte per invocare il “miracolo della pace”. Infine un augurio speciale è stato rivolto alle mamme, nella giornata a loro dedicata.





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Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Considero un dono di Dio il fatto che la prima domenica del mio servizio come Vescovo di Roma sia quella del Buon Pastore, la quarta del tempo di Pasqua. In questa domenica sempre si proclama nella Messa il Vangelo di Giovanni al capitolo decimo, in cui Gesù si rivela come il Pastore vero, che conosce e ama le sue pecore e per loro dà la vita.

In questa domenica, da sessantadue anni, si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. E inoltre oggi Roma ospita il Giubileo delle Bande musicali e degli Spettacoli popolari. Saluto con affetto tutti questi pellegrini e li ringrazio perché con la loro musica e le loro rappresentazioni allietano la festa, la festa di Cristo Buon Pastore: sì, è Lui che guida la Chiesa con il suo Santo Spirito.

Gesù nel Vangelo afferma di conoscere le sue pecore, e che esse ascoltano la sua voce e lo seguono (cfr Gv 10,27). In effetti, come insegna il Papa San Gregorio Magno, le persone «corrispondono all’amore di chi le ama» (Omelia 14, 3-6).

Oggi, dunque, fratelli e sorelle, ho la gioia di pregare con voi e con tutto il Popolo di Dio per le vocazioni, specialmente per quelle al sacerdozio e alla vita religiosa. La Chiesa ne ha tanto bisogno! Ed è importante che i giovani e le giovani trovino, nelle nostre comunità, accoglienza, ascolto, incoraggiamento nel loro cammino vocazionale, e che possano contare su modelli credibili di dedizione generosa a Dio e ai fratelli.

Facciamo nostro l’invito che Papa Francesco ci ha lasciato nel suo Messaggio per la Giornata odierna: l’invito ad accogliere e accompagnare i giovani. E chiediamo al Padre celeste di essere gli uni per gli altri, ciascuno in base al proprio stato, pastori “secondo il suo cuore” (cfr Ger 3,15), capaci di aiutarci a vicenda a camminare nell’amore e nella verità. E ai giovani dico: “Non abbiate paura! Accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore!”

La Vergine Maria, la cui vita fu tutta una risposta alla chiamata del Signore, ci accompagni sempre nella sequela di Gesù.

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Dopo il Regina Caeli

Fratelli e sorelle,

l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, terminava 80 anni fa, l’8 maggio, dopo aver causato 60 milioni di vittime. Nell’odierno scenario drammatico di una terza guerra mondiale a pezzi, come più volte ha affermato Papa Francesco, mi rivolgo anch’io ai grandi del mondo, ripetendo l’appello sempre attuale: “Mai più la guerra!”.

Porto nel mio cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino. Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie.

Mi addolora profondamente quanto accade nella Striscia di Gaza. Cessi immediatamente il fuoco! Si presti soccorso umanitario alla stremata popolazione civile e siano liberati tutti gli ostaggi.

Ho accolto invece con soddisfazione l’annuncio del cessate il fuoco tra India e Pakistan, e auspico che attraverso i prossimi negoziati si possa presto giungere a un accordo durevole.

Ma quanti altri conflitti ci sono nel mondo! Affido alla Regina della pace questo accorato appello perché sia lei a presentarlo al Signore Gesù per ottenerci il miracolo della pace.

Ed ora saluto con affetto tutti voi, romani e pellegrini di vari paesi. Saluto i membri della British and Foreign Bible Society, il gruppo di medici da Granada (Spagna), i fedeli di Malta, Panama, Dallas (Texas), Valladolid, Torrelodones (Madrid), Montesilvano e Cinisi (Palermo).

Saluto i partecipanti alla manifestazione “Scegliamo la vita” e ai giovani della Fraternità Santa Maria Immacolata e San Francesco di Assisi di Reggio Emilia.

Oggi in Italia e in altri Paesi si celebra la festa della mamma. Mando un caro saluto a tutte le mamme, con una preghiera per loro e per quelle che sono già in Cielo.

Buona festa a tutte le mamme!

Grazie a tutti voi! Buona domenica a tutti!

Guarda il video


domenica 11 maggio 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO C
11 maggio 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, la nostra vita è davvero al sicuro, se ci apriamo all’ascolto della voce del Pastore e ci affidiamo alle sue mani, che ci custodiscono e ci risollevano. Forti di questa consapevolezza innalziamo al Signore le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Gesù, nostro Pastore, ascoltaci

  

Lettore

- Custodisci e sostieni, Signore Gesù, papa Leone XIV all’inizio del suo ministero di vescovo di Roma, che hai chiamato a presiedere la Chiesa Cattolica nell’unità e nella carità. Ti affidiamo il nostro vescovo Giovanni ed il suo ausiliare Cesare e con loro tutti i vescovi delle varie chiese disseminate nel mondo, assieme ai loro presbiteri. Rendi tutti sapienti ascoltatori della tua Parola, affinché sappiano accompagnare, con cura e tenerezza – proprie di un vero pastore – il cammino di fede del popolo di Dio. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore Gesù, per gli ebrei credenti e per le Chiese ortodosse di Europa, che di fronte alla follia della guerra sono incapaci di annunziare la sapienza della Parola di Dio, la quale pone la sicurezza non nel possesso delle armi, ma nella disponibilità al dialogo e all’incontro con l’altro. Tu, Gesù di Nazareth, ebreo credente e Figlio di Dio nostro Pastore, dona loro, e anche a tutti noi, audacia e profezia. Preghiamo.

- Tu, Signore Gesù, sei davvero la luce del mondo. Vieni incontro all’umanità di oggi così smarrita e così incosciente da precipitare ogni giorno di più verso la catastrofe atomica e climatica. Fa’ che la tua luce possa brillare nel buio delle menti e dei cuori dei governanti, dei popoli e delle singole persone. Preghiamo.

- Ricordati, Signore Gesù, di noi, dei nostri familiari, dei ragazzi e delle ragazze, che faticano oggi a trovare persone esemplari in umanità e in compassione. Ti affidiamo, inoltre, tutti gli ammalati e quanti fanno fatica a prendersi cura degli anziani e in particolare delle persone affette da varie disabilità. La tua mano li abbracci, li sostenga e li rialzi. Preghiamo.

- Davanti a te, Signore Gesù, Agnello e Pastore, ricordiamo i nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ricordiamo i migranti morti nel Mar Mediterraneo e sulla via dei Balcani, le vittime sul lavoro e le vittime della mafia e della corruzione. Asciuga le lacrime di ognuno e tendi verso tutti la tua mano di bontà e di accoglienza. Preghiamo.



Per chi presiede

O Cristo, nostro Amico e Pastore, Tu ci dai la sicurezza di una mano forte e delicata che ci sostiene e non ci abbandona mai. Esaudisci le preghiere della tua Chiesa e chiamaci ogni giorno al servizio dei nostri fratelli, perché Tu sei il Signore Risorto, vivente nei secoli dei secoli.
AMEN.



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 27 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C

Vangelo:

«Io e il Padre siamo Uno!». Queste parole segnano il culmine della rivelazione di Gesù, il Mistero di un Dio che è Uno ma non è solo, la perfetta unità di Amore tra il Padre e il Figlio. La perentoria affermazione di Gesù è rivolta ai suoi avversari, alle autorità religiose che pretendono di sapere tutto su Dio, che non c'è più nulla da scoprire e che il messia tanto atteso non può essere certo lui. Inizia così un interrogatorio sull'identità di Gesù che sfocerà ancora una volta nella volontà omicida dei suoi ascoltatori (10,31-39). E' un mistero di unità e d'amore che i suoi nemici non possono accogliere né comprendere perché sono discepoli di un altro maestro e pecore di un altro pastore: la morte. Avere fede in Gesù implica molto più che il semplice assenso mentale o anche un certificato di battesimo. Credere significa aderire totalmente, con tutta l'esistenza al progetto d'amore del Padre nel Figlio Gesù, mettersi in obbediente ascolto della sua Parola, divenire docili alla sua voce investendo ogni attimo di vita al servizio del Regno di Dio. «Comunque l'uomo vive di fede e aderisce a ciò a cui affida la vita, si tratti di cose, idee o persone. Se l'uomo non si affida a Colui che gli dona l'esistenza per amore, si affiderà ai suoi tanti idoli che gliela toglieranno» (cit.)   

sabato 10 maggio 2025

LE 2 PAROLE PERFETTE Nessuno, mai (v.28). Due parole perfette, assolute, senza crepe. Nessuno, né creature né demoni, neppure le guerre, nessuno ci scioglierà più dall’abbraccio delle mani sue. - IV DOMENICA DI PASQUA ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

LE 2 PAROLE PERFETTE
 

Nessuno, mai (v.28). Due parole perfette, assolute, senza crepe. Nessuno, né creature né demoni, neppure le guerre, nessuno ci scioglierà più dall’abbraccio delle mani sue.


In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola». Gv 10, 27-30

 
LE 2 PAROLE PERFETTE
 
Nessuno, mai (v.28). Due parole perfette, assolute, senza crepe. Nessuno, né creature né demoni, neppure le guerre, nessuno ci scioglierà più dall’abbraccio delle mani sue.

Vangelo breve, quattro soli versetti su chi è Dio e chi siamo noi.

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Per essere di Dio ci vuole l’ascolto.

Facciamo attenzione al piccolo dettaglio: ascoltano la mia voce, e non le mie parole, perché le pecore non comprendono la lingua del pastore.

Come il neonato che per qualche mese ascolta la madre riconoscendola come unica voce al mondo che lo incanta fin da subito, pur senza capirne il senso.

Con il tono di voce possiamo graffiare, possiamo ferire oppure accarezzare, perché la voce contiene tutto: affetto, devozione, cura, seduzione.

L’ascolto è ospitalità della vita.

È l’esperienza di Maria di Magdala al mattino di Pasqua, del bambino che riconosce la voce al di là della porta e smette di piangere, certo che la mamma arriverà subito.

La voce è il canto amoroso dell’essere: Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline (Ct 2,8). E prima ancora, l’amato chiede il canto della voce dell’amata: la tua voce fammi sentire (Ct 2,14).

Ed ecco come continua il vangelo: io conosco le mie pecore. Gesù mi parla come uno che mi vede da sempre, dal grembo di mia madre. Da quando ero appena una perla di sangue ha seguito ogni mio passo, ha contato ogni mio sospiro.

Perché le pecore ascoltano? Non per costrizione, ma perché la voce è amica. E per questo bellissima, dove ha nido il futuro.

Io do loro la vita eterna Che non è quella cosa interminabile e un po’ noiosa dalla durata indefinita e vaga, che poco ci interessa. La vita eterna è la vita dell’Eterno; vivere la sua vastità, la sua intensità, il suo legame caldo con ogni creatura.

Il vangelo ci dà la sveglia con una immagine di lotta: Nessuno le strapperà dalla mia mano (v.28). Abbiamo in mente la parabola di Luca, il pastore buono che va in cerca della pecora perduta, la trova, se la carica sulle spalle, e torna.

Invece per Giovanni il pastore è un vero guerriero, che come il piccolo Davide difende con la sua fionda il gregge del padre, da lupi e da orsi.

Le sue sono le mani forti di un lottatore contro ladri e predatori, mani vigorose che stringono un bastone, per camminare e lottare.

E se abbiamo capito male e ci restano dei dubbi, Gesù coinvolge il Padre: nessuno può strapparle dalla mano del Padre (v.29).

Nessuno, mai (v.28). Due parole perfette, assolute, senza crepe. Nessuno, né creature né demoni, neppure le guerre, nessuno ci scioglierà più dall’abbraccio delle mani sue. Legame forte, non lacerabile. Nodo amoroso che nulla scioglie.

L’eternità è la sua mano che ti prende per mano. E beato chi sa fare volare queste parole lontano, verso tutti gli agnellini minacciati del mondo.

Leone XIV incontra tutti i cardinali - Il Papa: il mio nome per Leone XIII. La Chiesa risponda a sfide di dignità, giustizia, lavoro (cronaca/sintesi, testo integrale e video)


Il Papa: il mio nome per Leone XIII.
La Chiesa risponda a sfide di dignità, giustizia, lavoro

Leone XIV riceve i membri del Collegio cardinalizio e spiega la scelta del nome pontificale: un riferimento a Leone XIII che con la Rerum Novarum affrontò la questione sociale nella prima rivoluzione industriale. Oggi la Chiesa deve “rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale". Ai porporati la richiesta di sostenerlo in questo cammino appena iniziato, nel solco del Concilio e raccogliendo l'eredità di Francesco: "Riprendiamo questo cammino"


Leone XIV, un nome (pontificale) che illustra un intero programma. È lo stesso Papa Prevost a spiegare la “ragione principale” di questa scelta nel suo primo incontro con i cardinali - tutti i cardinali del Sacro Collegio, non solo quelli che lo hanno eletto in Conclave - ricevuti stamattina a porte chiuse nell'Aula del Sinodo. E cioè l'evidente riferimento a Leone XIII che, sul finire dell’800, con la storica enciclica Rerum Novarum “affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale”.

Oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di Dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro

Il Papa si dirige verso l'Aula del Sinodo per l'incontro con i cardinali, salutato da una fila di sacerdoti (@Vatican Media)

Nel solco del Concilio e con l'eredità di Francesco

Dunque un ponte tra passato e presente questa decisione di Leone XIII che, guardando al futuro, nel suo discorso (preceduto da una preghiera in latino) illustra ai cardinali le direttrici del pontificato appena iniziato: “La verità, la giustizia, la pace e la fraternità”, “principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della famiglia di Dio”. Tutto questo nel solco del Concilio Vaticano II, al quale il Papa chiede ai suoi più stretti collaboratori la “piena adesione”, raccogliendo la forte eredità di Papa Francesco che di quella storica assise “ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium”.

Della prima esortazione apostolica, road-map del pontificato di Bergoglio, Papa Leone XIV sottolinea alcune istanze fondamentali: “il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio”, anzitutto, poi “la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare; la cura amorevole degli ultimi e degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà”.

L'incontro con i membri del Collegio cardinalizio (@Vatican Media)

Il sostegno dei cardinali

In questo cammino il neo eletto Papa chiede di essere accompagnato dai fratelli cardinali, così da sostenerlo “nell’accettare un giogo chiaramente di gran lunga superiore alle mie forze, come a quelle di chiunque”.

La vostra presenza mi ricorda che il Signore, che mi ha affidato questa missione, non mi lascia solo nel portarne la responsabilità. So prima di tutto di poter contare sempre, sempre sul suo aiuto, l'aiuto del Signore, e, per sua Grazia e Provvidenza, sulla vicinanza vostra e di tanti fratelli e sorelle che in tutto il mondo credono in Dio, amano la Chiesa e sostengono con la preghiera e con le buone opere il Vicario di Cristo

Forte è la gratitudine di Papa Leone ai porporati, a cominciare dal decano del Collegio, Giovanni Battista Re, il quale – dice – “merita un applauso, almeno uno se non di più”. La sua “sapienza”, aggiunge, “frutto di una lunga vita e di tanti anni di fedele servizio alla Sede Apostolica, ci ha molto aiutato in questo tempo”. Grazie anche al camerlengo di Santa Romana Chiesa, Kevin Joseph Farrell, per “il prezioso e impegnativo ruolo” svolto nel tempo della Sede Vacante e grazie ai porporati che, per ragioni di salute, “non hanno potuto essere presenti e con voi mi stringo a loro in comunione di affetto e di preghiera”. Ma la più profonda gratitudine il Pontefice la rivolge al suo predecessore Francesco, la cui dipartita, afferma, è da vivere come “un evento pasquale”. In questa prospettiva, incoraggia Leone XIV, “affidiamo al Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione l’anima del defunto Pontefice e il futuro della Chiesa”.

Papa Leone XIV con i cardinali (@Vatican Media)

"Brezza leggera"

Di Francesco il Papa ricorda anche lo “stile di piena dedizione nel servizio e sobria essenzialità nella vita, di abbandono in Dio nel tempo della missione e di serena fiducia nel momento del ritorno alla Casa del Padre”.

Raccogliamo questa preziosa eredità e riprendiamo il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede

“Dio – aggiunge il Vescovo di Roma - ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel sussurro di una brezza leggera o, come alcuni traducono, in una sottile voce di silenzio”. Al Papa e ai cardinali spetta farsi “docili ascoltatori della sua voce e fedeli ministri dei suoi disegni di salvezza”, così da “educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio che ci è affidato”.

L'auspicio di Paolo VI

A conclusione del suo discorso la citazione di un altro Pontefice del passato, San Paolo VI. Leone XIV fa sue le parole di Montini che nel 1963, pose all’inizio del suo ministero, e ai cardinali ne rilancia un particolare auspicio:

Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo

Terminato il discorso, l'incontro coi cardinali prosegue con una "seconda parte" di condivisione "per poter sentire - dice il Papa - quali consigli, suggerimenti, proposte, cose molto concrete, di cui si è già parlato un po’ nei giorni prima del Conclave".

Il saluto del cardinale Re

Prima del Papa è stato il cardinale Re a prendere la parola e rivolgere un indirizzo di saluto, nel quale ha subito ricordato “l’entusiasmo con il quale il mondo ha accolto la sua elezione a Successore di Pietro”. “Ha gioito tutto il mondo ma abbiamo gioito anche noi e ho apprezzato la gioia in Perù, che ha detto: Nuestro Papa, nuestro Papa!”, ha detto il decano. E, a nome di tutti i cardinali, ha assicurato al Pontefice vicinanza, fedeltà, desiderio di collaborare: “Collaborare perché la Chiesa sia arca di salvezza e anche faro nel buio della notte”, specialmente in un momento storico in cui “il mondo è attanagliato da tante guerre che non vogliono finire, purtroppo, nonostante i morti e le distruzioni”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 10/05/2025)

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Il testo integrale pubblicato nel Bollettino del 10/05/2025 

Tante grazie, Eminenza. Prima di prendere i posti cominciamo con una preghiera, chiedendo che il Signore continui ad accompagnare questo Collegio e soprattutto tutta la Chiesa con questo spirito, anche entusiasmo, però di profonda fede. Preghiamo insieme in latino.

Pater noster… Ave Maria…

Nella prima parte di questo incontro c’è un piccolo discorso con le riflessioni che vorrei condividere con voi. Ma poi ci sarà una seconda parte, un po’ come l’esperienza che molti di voi avete chiesto, di una specie di condivisione con il Collegio Cardinalizio per poter sentire quali consigli, suggerimenti, proposte, cose molto concrete, di cui si è già parlato un po’ nei giorni prima del Conclave.

Fratelli Cardinali!

Saluto e ringrazio tutti voi per questo incontro e per i giorni che lo hanno preceduto, dolorosi per la perdita del Santo Padre Francesco, impegnativi per le responsabilità affrontate insieme e al tempo stesso, secondo la promessa che Gesù stesso ci ha fatto, ricchi di grazia e di consolazione nello Spirito (cfr Gv 14,25-27).

Voi, cari Cardinali, siete i più stretti collaboratori del Papa, e ciò mi è di grande conforto nell'accettare un giogo chiaramente di gran lunga superiore alle mie forze, come a quelle di chiunque. La vostra presenza mi ricorda che il Signore, che mi ha affidato questa missione, non mi lascia solo nel portarne la responsabilità. So prima di tutto di poter contare sempre, sempre sul suo aiuto, l’aiuto del Signore, e, per sua Grazia e Provvidenza, sulla vicinanza vostra e di tanti fratelli e sorelle che in tutto il mondo credono in Dio, amano la Chiesa e sostengono con la preghiera e con le buone opere il Vicario di Cristo.

Ringrazio il Decano del Collegio Cardinalizio, Cardinale Giovanni Battista Re – merita un applauso, almeno uno se non di più –, la cui sapienza, frutto di una lunga vita e di tanti anni di fedele servizio alla Sede Apostolica, ci ha molto aiutato in questo tempo. Ringrazio il Camerlengo di Santa Romana Chiesa, Cardinale Kevin Joseph Farrell – credo che è qui presente –, per il prezioso e impegnativo ruolo che ha svolto nel tempo della Sede Vacante e della Convocazione del Conclave. Rivolgo il mio pensiero anche ai fratelli Cardinali che, per ragioni di salute, non hanno potuto essere presenti e con voi mi stringo a loro in comunione di affetto e di preghiera.

In questo momento, ad un tempo triste e lieto, provvidenzialmente avvolto dalla luce della Pasqua, vorrei che guardassimo assieme alla dipartita del compianto Santo Padre Francesco e al Conclave come a un evento pasquale, una tappa del lungo esodo attraverso cui il Signore continua a guidarci verso la pienezza della vita; e in questa prospettiva affidiamo al «Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione» (2Cor 1,3) l’anima del defunto Pontefice e anche il futuro della Chiesa.

Il Papa, a cominciare da San Pietro e fino a me, suo indegno Successore, è un umile servitore di Dio e dei fratelli, non altro che questo. Bene lo hanno mostrato gli esempi di tanti miei Predecessori, da ultimo quello di Papa Francesco stesso, con il suo stile di piena dedizione nel servizio e sobria essenzialità nella vita, di abbandono in Dio nel tempo della missione e di serena fiducia nel momento del ritorno alla Casa del Padre. Raccogliamo questa preziosa eredità e riprendiamo il cammino, animati dalla stessa speranza che viene dalla fede.

È il Risorto, presente in mezzo a noi, che protegge e guida la Chiesa e che continua a ravvivarla nella speranza, attraverso l’amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5). A noi spetta farci docili ascoltatori della sua voce e fedeli ministri dei suoi disegni di salvezza, ricordando che Dio ama comunicarsi, più che nel fragore del tuono e del terremoto, nel «sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12) o, come alcuni traducono, in una “sottile voce di silenzio”. È questo l’incontro importante, da non perdere, e a cui educare e accompagnare tutto il santo Popolo di Dio che ci è affidato.

Nei giorni scorsi, abbiamo potuto vedere la bellezza e sentire la forza di questa immensa comunità, che con tanto affetto e devozione ha salutato e pianto il suo Pastore, accompagnandolo con la fede e con la preghiera nel momento del suo definitivo incontro con il Signore. Abbiamo visto qual è la vera grandezza della Chiesa, che vive nella varietà delle sue membra unite all’unico Capo, Cristo, «pastore e custode» (1Pt 2,25) delle nostre anime. Essa è il grembo da cui anche noi siamo stati generati e al tempo stesso il gregge (cfr Gv 21,15-17), il campo (cfr Mc 4,1-20) che ci è dato perché lo curiamo e lo coltiviamo, lo alimentiamo con i Sacramenti della salvezza e lo fecondiamo con il seme della Parola, così che, solido nella concordia ed entusiasta nella missione, cammini, come già gli Israeliti nel deserto, all’ombra della nube e alla luce del fuoco di Dio (cfr Es 13,21).

E in proposito vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, di cui voglio sottolineare alcune istanze fondamentali: il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio (cfr n. 11); la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana (cfr n. 9); la crescita nella collegialità e nella sinodalità (cfr n. 33); l’attenzione al sensus fidei (cfr nn. 119-120), specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare (cfr n. 123); la cura amorevole degli ultimi, e degli scartati (cfr n. 53); il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà (cfr n. 84; Concilio Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, 1-2).

Si tratta di principi del Vangelo che da sempre animano e ispirano la vita e l’opera della Famiglia di Dio, di valori attraverso i quali il volto misericordioso del Padre si è rivelato e continua a rivelarsi nel Figlio fatto uomo, speranza ultima di chiunque cerchi con animo sincero la verità, la giustizia, la pace e la fraternità (cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 2; Francesco, Bolla Spes non confundit, 3).

Proprio sentendomi chiamato a proseguire in questa scia, ho pensato di prendere il nome di Leone XIV. Diverse sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro.

Fratelli carissimi, vorrei concludere questa prima parte del il nostro incontro facendo mio – e proponendo anche a voi – l’auspicio che San Paolo VI, nel 1963, pose all’inizio del suo Ministero petrino: «Passi su tutto il mondo come una grande fiamma di fede e di amore che accenda tutti gli uomini di buona volontà, ne rischiari le vie della collaborazione reciproca, e attiri sull’umanità, ancora e sempre, l’abbondanza delle divine compiacenze, la forza stessa di Dio, senza l’aiuto del Quale, nulla è valido, nulla è santo» (Messaggio all’intera Famiglia Umana Qui fausto die, 22 giugno 1963).

Siano questi anche i nostri sentimenti, da tradurre in preghiera e impegno, con l’aiuto del Signore. Grazie!

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SANTA MESSA PRO ECCLESIA CELEBRATA DAL ROMANO PONTEFICE CON I CARDINALI 09/05/2025 - Omelia Leone XIV: la Chiesa sia faro che illumina le notti del mondo (Commento/sintesi, testo integrale e video)

SANTA MESSA PRO ECCLESIA CELEBRATA DAL ROMANO PONTEFICE CON I CARDINALI

Cappella Sistina
Venerdì, 9 maggio 2025


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Leone XIV: la Chiesa sia faro che illumina le notti del mondo

Papa Prevost celebra la Messa pro Ecclesia con i cardinali nella Cappella Sistina. Prima dell'omelia alcune parole a braccio in inglese, poi l'invito a testimoniare la fede negli ambienti in cui "è considerata una cosa assurda" perché "si preferiscono tecnologia, denaro, successo, potere, piacere". E in alcuni contesti, aggiunge, Gesù "è ridotto solamente a leader carismatico o un superuomo", e ciò anche "tra molti battezzati che finiscono così col vivere un ateismo di fatto"


Tra quegli affreschi in cui Gesù giudica il mondo, nella Cappella principale del Palazzo Apostolico, la Sistina, che nella volta mostra Dio creare l’uomo, Leone XIV pronuncia la sua prima omelia nella Messa con i cardinali e indica subito il cammino che la Chiesa deve compiere, partendo dalle parole dell’apostolo Pietro che riconosce in Cristo “il Figlio del Dio vivente”. Il Papa esorta ad un impegno personale con Dio, in “un quotidiano cammino di conversione”, poi si rivolge alla Chiesa, perché viva insieme l’“appartenenza al Signore”, porti “a tutti la Buona Notizia” e "sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo".

Le prime parole a braccio

In quello stesso luogo in cui ieri è stato eletto 267.mo Pontefice e dove tavoli e allestimenti per il Conclave sono stati presto smontati per lasciare il posto all’altare e alle sedie per i porporati, Leone XIV comincia a parlare a braccio, in inglese, rivolgendosi ai “fratelli cardinali” che lo hanno chiamato “al ministero di Pietro”, “a portare la croce e ad essere benedetto con questa missione”. “So di poter contare su ognuno di voi - dice - per camminare con me mentre continuiamo come Chiesa, come comunità di amici di Gesù, come credenti ad annunciare la buona notizia, ad annunciare il Vangelo”.

Papa Leone XIV introduce l'omelia con alcune parole a braccio

Oggi non è facile testimoniare il Vangelo

Ma nel suo testo, poi, il Pontefice guarda al mondo, consapevole della realtà in cui i cristiani sono invitati a portare la Parola di Dio.

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione.

Il mondo che ci è affidato

C’è “la mancanza di fede” che “porta spesso con sé drammi” come “la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche”, elenca il Pontefice, che non dimentica “la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco”. E ci sono anche “contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo”, e questo “non solo tra i non credenti” sottolinea Leone XIV, “ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere”, purtroppo, “un ateismo di fatto”.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Un'altra immagine dell'omelia di Papa Leone XIV

Sparire perché rimanga Cristo

E parla, poi, in prima persona il Papa, “come Successore di Pietro”, richiamando la sua “missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale” e ricordando le parole di Sant’Ignazio di Antiochia, martire a Roma: “Sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo”.

Le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa.
(fonte: Vatican News, articolo di Tiziana Campisi 09/05/2025)


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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

I will begin with a word in English, and the rest is in Italian.

But I want to repeat the words from the Responsorial Psalm: “I will sing a new song to the Lord, because he has done marvels.”

And indeed, not just with me but with all of us. My brother Cardinals, as we celebrate this morning, I invite you to recognize the marvels that the Lord has done, the blessings that the Lord continues to pour out on all of us through the Ministry of Peter.

You have called me to carry that cross, and to be blessed with that mission, and I know I can rely on each and every one of you to walk with me, as we continue as a Church, as a community of friends of Jesus, as believers to announce the Good News, to announce the Gospel.

Da qui, in italiano.

«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Con queste parole Pietro, interrogato dal Maestro, assieme agli altri discepoli, circa la sua fede in Lui, esprime in sintesi il patrimonio che da duemila anni la Chiesa, attraverso la successione apostolica, custodisce, approfondisce e trasmette.

Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre.

In Lui Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini, si è rivelato a noi negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo (cfr Conc. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, 22), fino ad apparire ai suoi, dopo la risurrezione, con il suo corpo glorioso. Ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità.

Pietro, nella sua risposta, coglie tutte e due queste cose: il dono di Dio e il cammino da percorrere per lasciarsene trasformare, dimensioni inscindibili della salvezza, affidate alla Chiesa perché le annunci per il bene del genere umano. Affidate a noi, da Lui scelti prima che ci formassimo nel grembo materno (cfr Ger 1,5), rigenerati nell’acqua del Battesimo e, al di là dei nostri limiti e senza nostro merito, condotti qui e di qui inviati, perché il Vangelo sia annunciato ad ogni creatura (cfr Mc 16,15).

In particolare poi Dio, chiamandomi attraverso il vostro voto a succedere al Primo degli Apostoli, questo tesoro lo affida a me perché, col suo aiuto, ne sia fedele amministratore (cfr 1Cor 4,2) a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa; così che Essa sia sempre più città posta sul monte (cfr Ap 21,10), arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo. E ciò non tanto grazie alla magnificenza delle sue strutture e per la grandiosità delle sue costruzioni – come i monumenti in cui ci troviamo –, quanto attraverso la santità dei suoi membri, di quel «popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9).

Tuttavia, a monte della conversazione in cui Pietro fa la sua professione di fede, c’è anche un’altra domanda: «La gente – chiede Gesù –, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Non è una questione banale, anzi riguarda un aspetto importante del nostro ministero: la realtà in cui viviamo, con i suoi limiti e le sue potenzialità, le sue domande e le sue convinzioni.

«La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Pensando alla scena su cui stiamo riflettendo, potremmo trovare a questa domanda due possibili risposte, che delineano altrettanti atteggiamenti.

C’è prima di tutto la risposta del mondo. Matteo sottolinea che la conversazione fra Gesù e i suoi circa la sua identità avviene nella bellissima cittadina di Cesarea di Filippo, ricca di palazzi lussuosi, incastonata in uno scenario naturale incantevole, alle falde dell’Hermon, ma anche sede di circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà. Questa immagine ci parla di un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo “mondo” non esiterà a respingerlo e a eliminarlo.

C’è poi l’altra possibile risposta alla domanda di Gesù: quella della gente comune. Per loro il Nazareno non è un “ciarlatano”: è un uomo retto, uno che ha coraggio, che parla bene e che dice cose giuste, come altri grandi profeti della storia di Israele. Per questo lo seguono, almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti. Però lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi.

Colpisce, di questi due atteggiamenti, la loro attualità. Essi incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo.

Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere.

Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione, perché la mancanza di fede porta spesso con sé drammi quali la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco.

Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto.

Questo è il mondo che ci è affidato, nel quale, come tante volte ci ha insegnato Papa Francesco, siamo chiamati a testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore. Perciò, anche per noi, è essenziale ripetere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).

È essenziale farlo prima di tutto nel nostro rapporto personale con Lui, nell’impegno di un quotidiano cammino di conversione. Ma poi anche, come Chiesa, vivendo insieme la nostra appartenenza al Signore e portandone a tutti la Buona Notizia (cfr Conc. Vat. II, Cost. Dogm. Lumen gentium, 1).

Dico questo prima di tutto per me, come Successore di Pietro, mentre inizio questa mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di Sant’Ignazio di Antiochia (cfr Lettera ai Romani, Saluto). Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo» (Lettera ai Romani, IV, 1). Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo.

Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa.

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