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martedì 2 settembre 2025

Intenzione di preghiera per il mese di Settembre 2025 Preghiamo per la nostra relazione con tutto il creato

Intenzione di preghiera per il mese di Settembre 2025
Preghiamo per la nostra relazione con tutto il creato

Il Papa: il mondo, non un problema da risolvere,
ma un mistero da contemplare

Nel video con l’intenzione di preghiera per il mese di settembre, dedicato alla relazione tra l’uomo e il Creato, Leone XIV invita a “sperimentare la nostra interdipendenza con tutte le creature, amate da Dio e degne di amore e rispetto”, ispirati in questo dall’esempio di San Francesco


Le immagini di Papa Leone che passeggia per le Ville Pontificie di Castel Gandolfo; quelle della celebrazione lo scorso 9 luglio nel Borgo Laudato si con il nuovo formulario della Messa per la Custodia della Creazione, Missa pro custodia creationis; gli stralci del video “St. Francis of Assisi – Sign of Contradiction” (San Francesco d’Assisi, segno di contraddizione); le meraviglie della natura che si intrecciano con lo stupore di chi contempla.

In pochi minuti il video con l’intenzione di preghiera di Leone XIV per il mese di settembre, diffusa attraverso la Rete Mondiale di Preghiera del Papa, ben coglie il tema scelto: “Per la nostra relazione con tutto il creato”. Un tema ispirato dal Tempo del Creato, l’iniziativa ecumenica che unisce i cristiani di diverse confessioni nella preghiera e nell’azione per la cura della terra, iniziata lo scorso primo settembre e in programma fino al 4 ottobre, festa di San Francesco. "Preghiamo - è l'intenzione del Pontefice - perchè ispirati da San francesco, possiamo sperimentare la nostra interdipendenza con tutte le creature, amate da Dio e degne di amore e rispetto".

Custodi della vita

Il Papa, in lingua inglese, recita una preghiera inedita nella quale ricorda che “ogni creatura” è frutto dell’amore di Dio e che proprio nella creazione Lui si rivela “come sorgente di bontà”. “Il mondo- afferma Leone XIV - è infinitamente più di un problema da risolvere. È un mistero da contemplare con gratitudine e speranza”, da custodire, rispettare e proteggere. Questo il testo della preghiera:

Signore, tu ami tutto ciò che hai creato,
e nulla esiste al di fuori del mistero della tua tenerezza.
Ogni creatura, per quanto piccola,
è il frutto del tuo amore e ha un posto in questo mondo.
Anche la vita più semplice o più breve è circondata dalla tua cura.
Come San Francesco d'Assisi, oggi anche noi vogliamo dire:
“Laudato si’, o mio Signore!”.
Attraverso la bellezza della creazione,
ti riveli come sorgente di bontà. Ti chiediamo:
apri i nostri occhi per riconoscerti,
imparando dal mistero della tua vicinanza a tutta la creazione
che il mondo è infinitamente più di un problema da risolvere.
È un mistero da contemplare con gratitudine e speranza.
Aiutaci a scoprire la tua presenza in tutta la creazione,
affinché, riconoscendola pienamente,
possiamo sentire e sapere di essere responsabili di questa casa comune
nella quale tu ci inviti a custodire, rispettare e proteggere
la vita in tutte le sue forme e possibilità.
Laudato si’, Signore!
Amen.

Dal rispetto della natura nasce il rispetto verso la vita

Il video che accompagna l’intenzione di preghiera del Papa unisce due anniversari: l'ottavo centenario della composizione del Cantico delle creature e i dieci anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Per il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che ha sostenuto la realizzazione del video, il Papa esorta a contemplare la creazione, “a riconciliarla, a vivere in armonia, a difenderla con spirito profetico, a rispettare ogni essere umano e a promuovere una pace duratura e sostenibile”.

Il bene della terra connesso a quello dell’uomo

“Non si può separare il benessere umano da quello degli altri abitanti della terra e dallo ‘stato di salute’ del nostro pianeta”. Cosi il direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, padre Cristóbal Fones, che invita a guardare a San Francesco per intraprendere scelte di vita più semplici, meno consumistiche perché sia “una vita fondata su un rapporto fraterno con gli altri e con la natura, e su una relazione filiale, di amore e gratitudine, con Dio”.
 (fonte: Vatican News, articolo di Benedetta Capelli 02/09/2025)


Salga a bordo, Santità, e che il suo grido di speranza risuoni nel cuore del mondo anestetizzato!!!

Salga a bordo, Santità!

Foto ritagliata di Irene Grassi, tratta da Flickr

"Salga a bordo, Santità, e che il suo grido di speranza risuoni nel cuore del mondo anestetizzato" è il titolo completo del seguente articolo, pubblicato in data 31 agosto, da José Manuel Vidal sul suo blog in Religión Digital, qui nella traduzione di Lorenzo Tommaselli.

In un mondo che a volte sembra anestetizzato di fronte al dolore altrui, dove l’indifferenza si erge come un muro più alto di quello che circonda la Palestina, si leva un clamore crescente che non può essere messo a tacere. Questa domenica decine di navi salperanno dai porti di tutto il mondo, da Barcellona alla Tunisia, dall’Italia ad altri angoli del Mediterraneo, per una missione che è già passata alla storia: la «Global Sumud Flotilla».

Il suo obiettivo non è da poco: rompere l’assedio illegale di Gaza, aprire un corridoio umanitario e alzare la voce contro il genocidio che, giorno dopo giorno, miete vite palestinesi sotto il peso delle bombe, della fame, dell’incuria e dell’arroganza inumana di Israele e del suo alleato statunitense.

È un’impresa titanica, frutto del coraggio di attivisti, medici, giornalisti e personaggi pubblici provenienti da 44 paesi. Dalla giovane Greta Thunberg, che non esita a mettere il proprio corpo al servizio dei suoi ideali, a Susan Sarandon, che chiede solidarietà laddove i governi rimangono in silenzio, fino all’ex sindaca di Barcellona, Ada Colau e al deputato Juan Bordera. Tutti incarnano la resistenza della società civile di fronte all’inazione.

Ma in questo oceano di impegno c’è un’assenza che risuona come un’eco dolorosa: quella della Chiesa cattolica. Non un vescovo, non un prete, non una suora, non un cardinale salirà a bordo di quelle navi. Nemmeno papa Leone XIV?

Finora, solo il cardinale spagnolo Cristóbal López, arcivescovo di Rabat, ha alzato la voce per benedire questa iniziativa e denunciare l’indifferenza verso l’ingiustizia. Monsignor López, che gesto il suo! Da Rabat il suo sostegno alla flottiglia è un faro nella notte, un promemoria del fatto che la Chiesa non può rimanere in disparte quando l’umanità sanguina.

Ma mi lasci sognare, cardinale: cosa succederebbe se facesse un passo in più? Se salisse a bordo di una di quelle navi in ​​partenza dal Moll de la Fusta a Barcellona? Meglio ancora, s’immagi questo: una nave che attracca a Roma, con a bordo papa Leone XIV, insieme a lei e ad alcuni dei suoi curiali.

Sarebbe un gesto che farebbe tremare le fondamenta del mondo. Un papa che naviga verso Gaza, sfidando il blocco, portando con sé non solo aiuti umanitari, ma anche il peso morale di un’istituzione che nel corso dei secoli è stata un faro di speranza nei momenti più bui.

Israele oserebbe intercettare questa flottiglia, come ha fatto con la Madleen a giugno o con l’Handala a luglio, se il vicario di Cristo fosse a bordo? Oserebbero ripetere le azioni che Amnesty International ha definito come violazioni del diritto internazionale, con il papa come testimone? E cosa direbbe allora Donald Trump, che nel 2025, dalla Casa Bianca, ha definito il bombardamento della chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza un «grave errore», ma non ha mosso un dito per fermare la macchina da guerra?

Un papa sulla flottiglia sarebbe molto più di un simbolo: sarebbe una sfida diretta al silenzio complice del mondo, un duro colpo al tavolo della storia. Perché non inganniamoci: quello che sta accadendo a Gaza non è una guerra; è, come denuncia «Caritas Internationalis», un «annientamento». La carestia, dichiarata ufficialmente dall'ONU, ha già causato 317 vittime dall’ottobre 2023, tra cui 121 bambini. Ospedali, scuole, rifugi, persino l’unica chiesa cattolica di Gaza, sono stati rasi al suolo.

Padre Gabriel Romanelli, ferito nel bombardamento della parrocchia della Sagrada Familia, parlava quotidianamente con il defunto papa Francesco, che invocava incessantemente la pace. Oggi, Leone XIV ha l’opportunità di raccogliere questo testimone, di accogliere il grido del suo predecessore e dei Patriarchi di Terra Santa, che hanno invocato un cessate il fuoco e l’apertura di corridoi umanitari.

La Global Sumud Flotilla non è solo un convoglio di imbarcazioni cariche di cibo, acqua e medicine. È un atto di resistenza morale, un promemoria del fatto che, come afferma il portavoce della missione Saif Abukeshek, «se i politici non agiscono, lo faremo noi».

E la Chiesa, la Chiesa di Cristo, la Chiesa dei poveri, la Chiesa che da sempre è chiamata a stare con gli ultimi, non può restare in disparte. Monsignor López, il suo sostegno è un primo passo, ma il mondo ha bisogno di più. Ha bisogno di vedere il papa in prima linea, come lo è stato tante volte Francesco, non solo con le parole, ma con gesti che cambiano la storia.

Si immagini, Santo Padre, l’impatto: lei, Leone XIV, che naviga verso Gaza, circondato da attivisti, medici, giornalisti, donne, veterani, tutti uniti dal comune desiderio di giustizia.

Sarebbe il gesto definitivo per fermare il genocidio, per dire al mondo che, nonostante le conquiste estremiste, le politiche della paura e il silenzio dei potenti, c’è ancora speranza. L’umanità saprebbe allora che può sempre fidarsi del papa di Roma, che la Chiesa continua ad essere madre e maestra, faro e rifugio.

Non lascino che questa flottiglia navighi da sola. Che la Chiesa, con Leone XIV come timoniere, salga a bordo. Perché, come dice il Vangelo, «nessuno accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sopra il candelabro, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15). Che la luce della Chiesa illumini il cammino verso Gaza, verso la pace, verso la giustizia. È tempo di fare la storia e fermare il genocidio!
(fonte: Adista, articolo di José Manuel Vidal 01/09/2025)


Papa Francesco ti scrivo… A distanza di qualche mese, un grazie ancora a Papa Francesco


Papa Francesco ti scrivo…
A distanza di qualche mese, un grazie ancora a Papa Francesco


Penso che uno dei compiti dei pastori che servono una comunità sia quello di offrire una visione alla luce del Vangelo e della fede su quello che accade e sul tempo che viviamo. Tutto ciò con umiltà e semplicità; con la possibilità per tutti ovviamente di approfondire, segnalare dubbi e incongruenze, di contestare e di aggiungere.

Espongo così alcuni pensieri, rivolgendomi direttamente a Papa Francesco, che ora dal Cielo vive nella gloria di Dio.

Caro Papa Francesco, anzi caro papà Francesco, perché per noi sei stato un papà, ti abbiamo amato, abbiamo gioito con te, non sempre ti abbiamo compreso, abbiamo sofferto con te nel momento del ricovero attendendo con ansia il bollettino medico, ci siamo risollevati quando ti abbiamo visto uscire dall’ospedale, siamo nel dolore per la tua scomparsa,… Senza di te, il mondo è più vuoto, il nostro mondo fragile e pieno di conflitti ha perso un costruttore di pace, il nostro mondo è diventato orfano. È orfana la Chiesa, è orfana la parrocchia di Gaza, il cui parroco tu contattavi sempre per far sentire la tua vicinanza. Sono orfani le bambine e i bambini ucraini, che grazie all’azione diplomatica del Vaticano sono potuti tornare a casa. Siamo orfani sì, ma sappiamo che tu sei nella vita senza fine accolto da Cristo; il tuo Magistero vivente, scritto e concreto rimane scolpito nei nostri cuori ed è fonte preziosa per la nostra Chiesa. Volgarmente do una pennellata del tuo grande Magistero – difficilmente sintetizzabile:

La Chiesa in uscita «è la comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano […] è una Chiesa dalle porte aperte. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà. […] Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo […] Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro che finisce in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo».

È Gesù il nostro centro, è l’annuncio della salvezza che scalda i nostri cuori. Gesù si manifesta, come nel Vangelo e il discepolo che amava lo riconosce ed esclama: “È il Signore!». Sogno che anche noi apriamo gli occhi per vedere il Risorto. Sogno che diventiamo Cristiani capaci di uscire e di fermarsi per stare con gli altri, non schiacciati da urgenze, agende, mangiate e pseudoiniziative, ma interessati ad ogni uomo e donna che incontriamo.
Perché usciamo? Perché con Pietro e con gli Apostoli proclamiamo che «il Dio dei nostri Padri ha resuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo ad una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono».

La Chiesa in uscita è la Chiesa in cui ci alziamo e andiamo, siamo in movimento. «Alzatevi, andiamo!» dice Gesù a Pietro, Giacomo e Giovanni nel momento più drammatico della sua vita. «Alzatevi, andiamo!» con queste parole Gesù ci risveglia dal sonno di una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi.

Caro Papa, ho avuto il piacere di partecipare al giubileo degli adolescenti insieme ai ragazzi della nostra Diocesi. Giorni intensi, fatti di condivisione, di chiacchiere, di amicizie, di scherzi e di fraternità. Ci siamo sentiti Chiesa che cammina nella storia. C’era anche una rappresentanza della mia parrocchia di San Sebastiano, due ragazze e un ragazzo che si sono buttati in quest’avventura del Giubileo, ragazzi che stanno vivendo il proprio essere Cristiani in maniera autentica e non superficiale. Saremmo potuti essere di più, per tanti motivi… forse noi adulti dovremmo essere più attraenti, più convincenti, meno preoccupati di spazi e luoghi, non dovremmo essere tristi se i nostri figli e nipoti non vengono in oratorio, non deve importarci questo, preoccupiamoci e lavoriamo perché vivano esperienze forti di fede, perché respirino aria di diocesi e di Chiesa universale.

Durante il Giubileo, abbiamo partecipato alle tue esequie, eravamo a Santa Maria Maggiore; quando è arrivata la tua bara, caro Papa Francesco, ho pregato tanto e ho chiesto al Signore una grazia: non solo di accettare ed accogliere con affetto e calore il nuovo Papa – chiunque sarà – ma spinto dal rimorso di non aver sempre incarnato il Vangelo della Misericordia che hai annunciato, ho chiesto al Signore la grazia di accogliere e mettere in pratica il Magistero che il nuovo Papa ci offrirà insieme ai Vescovi in comunione con lui. Tutto questo per servire Gesù e la Chiesa, per vivere la fede della gioia e non della paura, facendo anche delle scelte impopolari qualora servissero per il Vangelo; prendendoci tutto il tempo per operare delle scelte di cui lo Spirito Santo sia l’autore.

Concludo, caro Papa Francesco, alzando lo sguardo verso il Paradiso: c’è una stupenda immagine creata con l’Intelligenza Artificiale, in cui tu sei in un giardino splendido, sei sorridente, insieme a tutti quei Pontefici che hanno aperto e portato avanti il Concilio Vaticano II: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Voglio pensarvi così, tutti insieme nella gioia eterna. Caro Papa Francesco, hai festeggiato con noi sulla terra la Pasqua e poi hai viaggiato verso la Pasqua eterna. Ci hai dato tante volte la benedizione del Signore, dalla sera del 13 marzo 2013 in cui abbiamo iniziato a conoscerti, fino all’ultima, il giorno di Pasqua, quando non ti sei risparmiato e hai voluto benedire il tuo popolo per l’ultima volta. Hai chiesto tante volte la nostra preghiera per te, fin dalla sera dell’elezione quando hai voluto che il popolo ti benedicesse. Ora siamo noi a chiederti di intercedere per noi, di guardarci e di benedirci. Sì, donaci la tua benedizione, Santo Padre! Non ti diciamo «ciao», o «arrivederci» o «buonasera», «addio», ma «a Dio», perché questo è il disegno di salvezza che Dio ha per tutti. Grazie, Santo Padre, per quello che sei stato, per quello che ci hai regalato; grazie Gesù per averci donato un Papa così grande!
(fonte: Vino Nuovo, articolo di William Dalé 30/08/2025)



lunedì 1 settembre 2025

Almeno 800 morti e 2.500 feriti nell’est del Paese - Un boato e la terra trema: distruzione e morte in Afghanistan


Almeno 800 morti e 2.500 feriti nell’est del Paese

Un boato e la terra trema: distruzione e morte
in Afghanistan


All’inizio un forte boato, come fosse quello di una tempesta imminente. Poi la terra ha iniziato a tremare: una prima, potente, scossa di terremoto seguita da altre repliche di assestamento, più di una decina quelle che si sono riuscite a contare.

La notte di domenica 31 agosto, nell’est dell’Afghanistan, è stata un’ecatombe. Decine di città e villaggi rasi al suolo, almeno 800 morti e 2.500 feriti: ma questi numeri saranno inesorabilmente destinati a salire, quando i soccorritori riusciranno ad arrivare in tutte le zone colpite, molte delle quali ancora isolate.

La virulenza del sisma di magnitudo 6 ha distrutto parte della provincia di Kunar, al confine con il Pakistan, e quella di Nangahar. Prima che si facesse giorno, gli abitanti, disperati ed in preda al panico, hanno iniziato a scavare a mani nude nel tentativo di poter salvare i propri cari sepolti tra le macerie. Un testimone di un villaggio dell’entroterra di una delle zone più devastate, quella vicina alla città di Jalalabad, ha raccontato che molte delle abitazioni, costruite con fango e legno, si sono ripiegate su loro stesse come fossero fuscelli senza alcuna consistenza: «I bambini sono ancora sotto le macerie, i giovani sono ancora sotto le macerie, gli anziani sono ancora sotto le macerie. Vi prego, qualcuno ci aiuti!».

Un altro sopravvissuto della zona del distretto di Nurgal ha ancora negli occhi la tragedia: «Dopo la prima scossa, sono riuscito a salvare tre dei miei figli. Ma quando sono tornato indietro per portare in salvo il resto della famiglia il tetto di una stanza è crollato uccidendo mia moglie, gli altri due miei figli e ferendo me e mio padre. Sembrava che tutto intorno a noi stesse franando, comprese le montagne».

Il portavoce del governo talebano ha fatto sapere che tutti i mezzi di soccorso disponibili «sono stati inviati nelle aree del sisma» anche se molte vie di comunicazione, per ora, risultano completamente inaccessibili.

Sul fronte delle reazioni internazionali, immediata è stata la presa di posizione del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: «Sono pienamente solidale con il popolo afghano dopo il devastante terremoto che ha colpito il Paese. Esprimo le mie più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime e auguro una pronta guarigione ai feriti» ha scritto in un messaggio su X sottolineando che il team dell’Onu presente nel Paese si è già «mobilitato e non risparmierà sforzi per assistere le persone in difficoltà nelle zone colpite».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Unione europea che ha fatto sapere che la sua squadra di protezione civile per le emergenze «si trova già sul campo e i nostri partner sono pronti ad offrire assistenza immediata».

La Cina, tramite il. portavoce del ministero degli esteri, Guo Jiakun, ha inviato le condoglianze ufficiali del governo di Pechino a tutto il popolo afghano e offerto di sostenere, in ogni modo, le operazioni di soccorso per recuperare cadaveri e feriti.

Una forte e determinata volontà di sostegno è stata inoltre espressa da alcune nazioni confinati come il Pakistan e l’Iran. Il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, si è detto profondamente rattristato e pronto ad inviare squadre di soccorso mentre il ministro degli esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha offerto beni di prima necessità e forniture mediche.

Come purtroppo avviene in simili tragedie, i più vulnerabili risultano sempre essere i bambini: per questo l’Unicef ha avviato un coordinamento locale per determinare la risposta necessaria alle esigenze dei più piccoli. «La nostra attenzione — ha spiegato in un comunicato l’agenzia dell’Onu — è rivolta all’identificazione delle priorità urgenti in materia di salute, acqua potabile, servizi igienico-sanitari, alloggi temporanei e sostegno psicosociale per i bambini e le famiglie colpiti».

Quello della scorsa notte, è il terzo, grande, terremoto che si è verificato in Afghanistan da quando i talebani hanno conquistato il potere, nel 2021.

Da allora, con la ritirata delle forze straniere dalla nazione, gli aiuti internazionali mirati a soddisfare i bisogni urgenti ed atavici della popolazione si sono assottigliati sempre di più passando dai 3,8 miliardi del 2022 ai 767 milioni di quest’anno. Situazione che complicherà, anche questa volta, la gestione dei soccorsi e l’approvvigionamento dei beni di prima necessità.

(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Federico Piana 01/09/2025)

Leone XIV: "Gesù ci chiama alla libertà. Nel Vangelo usa la parola umiltà per descrivere la forma compiuta della libertà... chiediamo oggi che la Chiesa sia per tutti una palestra di umiltà... dove Gesù può ancora prendere la parola ed educarci alla sua umiltà, alla sua libertà." Angelus 31/08/2025


PAPA LEONE XIV

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 31 agosto 2025


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Stare a tavola insieme, specialmente nei giorni di riposo e di festa, è un segno di pace e di comunione, in ogni cultura. Nel Vangelo di questa domenica (Lc 14,1.7-14) Gesù è invitato a pranzo da uno dei capi dei farisei. Avere ospiti allarga lo spazio del cuore e farsi ospiti chiede l’umiltà di entrare nel mondo altrui. Una cultura dell’incontro si nutre di questi gesti che avvicinano.

Incontrarsi non è sempre facile. L’Evangelista nota che i commensali “stavano a osservare” Gesù, e in genere Lui era guardato con un certo sospetto dai più rigorosi interpreti della tradizione. Ciò nonostante, l’incontro avviene, perché Gesù si fa realmente vicino, non rimane esterno alla situazione. Egli si fa ospite davvero, con rispetto e autenticità. Rinuncia a quelle buone maniere che sono soltanto formalità per evitare di coinvolgersi reciprocamente. Così, nel suo stile proprio, con una parabola, descrive ciò che vede e invita chi lo osserva a pensare. Ha infatti notato che c’è una corsa a prendere i primi posti. Questo succede anche oggi, non in famiglia, ma nelle occasioni in cui conta “farsi notare”; allora lo stare insieme si trasforma in una competizione.

Sorelle e fratelli, sederci insieme alla mensa eucaristica, nel giorno del Signore, significa anche per noi lasciare a Gesù la parola. Egli si fa volentieri nostro ospite e può descriverci come Lui ci vede. È tanto importante vederci con il suo sguardo: ripensare a come spesso riduciamo la vita a una gara, a come diventiamo scomposti per ottenere qualche riconoscimento, a come ci paragoniamo inutilmente gli uni agli altri. Fermarci a riflettere, lasciarci scuotere da una Parola che mette in discussione le priorità che ci occupano il cuore: è un’esperienza di libertà. Gesù ci chiama alla libertà.

Nel Vangelo usa la parola “umiltà” per descrivere la forma compiuta della libertà (cfr Lc 14,11). L’umiltà, infatti, è la libertà da se stessi. Essa nasce quando il Regno di Dio e la sua giustizia hanno veramente preso il nostro interesse e ci possiamo permettere di guardare lontano: non la punta dei nostri piedi, ma lontano! Chi si esalta, in genere, sembra non avere trovato niente di più interessante di se stesso, e in fondo è ben poco sicuro di se stesso. Ma chi ha compreso di essere tanto prezioso agli occhi di Dio, chi sente profondamente di essere figlio o figlia di Dio, ha cose più grandi di cui esaltarsi e ha una dignità che brilla da se stessa. Essa viene in primo piano, sta al primo posto, senza sforzo e senza strategie, quando invece di servirci delle situazioni impariamo a servire.

Carissimi, chiediamo oggi che la Chiesa sia per tutti una palestra di umiltà, cioè quella casa in cui si è sempre benvenuti, dove i posti non vanno conquistati, dove Gesù può ancora prendere la parola ed educarci alla sua umiltà, alla sua libertà. Maria, che ora preghiamo, di questa casa è veramente la Madre.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

purtroppo, la guerra in Ucraina continua a seminare morte e distruzione. Anche in questi giorni i bombardamenti hanno colpito diverse città, compresa la capitale Kyiv, causando numerose vittime. Rinnovo la mia vicinanza al popolo ucraino e a tutte le famiglie ferite. Invito tutti a non cedere all’indifferenza, ma a farsi prossimi con la preghiera e con gesti concreti di carità. Ribadisco con forza il mio pressante appello per un cessate il fuoco immediato e per un serio impegno nel dialogo. È tempo che i responsabili rinuncino alla logica delle armi e imbocchino la via del negoziato e della pace, con il sostegno della comunità internazionale. La voce delle armi deve tacere, mentre deve alzarsi la voce della fraternità e della giustizia.

Our prayers for the victims of the tragic shooting during a school Mass in the American State of Minnesota include the countless children killed and injured every day around the world. Let us plead God to stop the pandemic of arms, large and small, which infects our world. May our Mother Mary, the Queen of Peace, help us to fulfil the prophecy of Isaiah: «They shall beat their swords into ploughshares and their spears into pruning hooks» (Is 2:4).

I nostri cuori sono feriti anche per le più di cinquanta persone morte e circa cento ancora disperse nel naufragio di un’imbarcazione carica di migranti che tentavano il viaggio di 1100 chilometri verso le Isole Canarie, rovesciatasi presso la costa atlantica della Mauritania. Questa tragedia mortale si ripete ogni giorno ovunque nel mondo. Preghiamo perché il Signore ci insegni, come singoli e come società, a mettere in pratica pienamente la sua parola: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35).

We entrust all our injured, missing and dead, everywhere, to our Saviour’s loving embrace. Affidiamo tutti i feriti, i dispersi e i morti, ovunque, all’abbraccio amorevole del nostro Salvatore.

Domani, 1° settembre, è la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato. Dieci anni fa Papa Francesco, in sintonia con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, istituì per la Chiesa cattolica tale Giornata. Essa è più che mai importante e urgente e quest’anno ha per tema “Semi di pace e di speranza”. Uniti a tutti i cristiani la celebriamo e la prolunghiamo nel “Tempo del Creato” fino al 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi. Nello spirito del Cantico di frate sole, da lui composto 800 anni fa, lodiamo Dio e rinnoviamo l’impegno a non rovinare il suo dono ma a prenderci cura della nostra casa comune.

Rivolgo con affetto il mio saluto a tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini dall’Italia e da vari Paesi. In particolare, saluto i gruppi parrocchiali di Quartu Sant’Elena, Morigerati, Venegono, Rezzato, Brescello, Boretto e Gualtieri, Val di Gresta, Valmadrera, Stiatico, Sortino e Casadio; e il gruppo di famiglie di Lucca venuto lungo la via Francigena.

Saluto inoltre la Fraternità Laicale delle Suore Dimesse di Padova, i giovani di Azione Cattolica e dell’AGESCI di Reggio Calabria, i giovani di Gorla Maggiore e i cresimandi di Castel San Pietro Terme; come pure il Movimento Shalom di San Miniato con la Filarmonica Angiolo del Bravo, l’Associazione “Note libere” di Taviano e il gruppo “Genitori Orsenigo”.

A tutti buona domenica!

Guarda il video


Il Dio in cui non credo


Carlo Silini*
Il Dio in cui non credo


Non credo nel Dio di Vladimir Putin e del suo tirapiedi spirituale, il patriarca di Mosca Kirill, secondo i quali l’invasione dell’Ucraina è una guerra santa, una sacra battaglia contro la decadenza morale dell’Occidente che lascia sfilare masse debosciate di LGBTQ+ e abbandona i veri valori, e che presentano piamente il conflitto contro Kiev come una crociata necessaria per la salvezza spirituale del mondo.

Non credo neppure nel Dio di Benjamin Netanyahu e dei suoi sodali ultraortodossi e teo-nazionalisti che ordinano lo sterminio dei palestinesi e al tempo stesso esentano dal servizio militare i loro studenti delle yeshivot (scuole religiose) perché devono occuparsi di un servizio divino superiore. Né in quello dei terroristi di Hamas che predicano il dovere morale dello sterminio degli israeliani facendosi scudo dei corpi dei civili palestinesi e abusano del suo nome per commettere i peggiori crimini contro le persone e contro il loro stesso Dio.

Però credo nel messaggio radicale del cristianesimo e del suo fondatore, così follemente pacifico da invitare a non distruggere mai i nemici, per pessimi che siano, ma – addirittura – ad amarli e, quando scatta l’onda cieca della violenza, a riporre la spada nel fodero. Perché «chi di spada ferisce, di spada perisce» (Matteo 26:52). Credo anche alle parole illuminate del Corano, laddove recita che «chi uccide una persona innocente, è come se avesse ucciso tutta l’umanità; e chi salva una vita, è come se avesse salvato tutta l’umanità» (Surat al-Ma’ida, 5:32). Stesso messaggio: «Chi salva una vita, è come se avesse salvato il mondo intero», leggo nel Talmud (testo rabbinico), Sanhedrin 37a.

Non credo nel Dio di Donald Trump, seguace della teologia della prosperità, che – anche se non lo dice – detesta i poveri, perché se son poveri è colpa loro: non hanno abbastanza fede o non hanno «seminato» abbastanza (cioè donato denaro alla Chiesa), e quindi meritano l’indigenza, mentre la ricchezza materiale è il segno distintivo del vero credente. Non credo neppure nel Dio di J.D. Vance, vicepresidente Usa, che reinterpreta il concetto teologico di S. Agostino dell’ordo amoris, sostenendo che l’amore e l’aiuto debbano seguire una precisa scaletta: prima i più vicini – la famiglia, la comunità, la Nazione – poi, ma anche no, gli stranieri e i migranti.

Però credo nel Dio del capitolo 25 del Vangelo di Matteo che non ha in uggia i poveri Cristi, al contrario. E non stabilisce alcuna gerarchia tra chi merita la salvezza e chi no, il criterio è la vulnerabilità, e dice: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Una visione in cui sono gli ultimi i più vicini a Dio, non il contrario.

Non credo, infine, nei rosari del leader italiano Matteo Salvini, che li bacia nell’aula laica del Senato a Roma, e li brandisce come un’arma contro la decadenza identitaria dell’Europa cristiana (toh, mi ricorda il patriarca Kirill e il presidente Putin) e contro i migranti provenienti dal sud di religione islamica. Ma credo al dolore di quella madre di duemila anni fa, invocata come un mantra nei rosari, che piangeva sotto la croce di un figlio innocente, condannato, torturato e ucciso e a tutte le madri israeliane, palestinesi e di ogni parte del mondo che oggi versano silenziose lacrime per i propri cari spariti per guerra, per fame o per annegamento in un mare d’acqua o di ostilità in nome di Dio.
(fonte: Azione 18/08/2025) 

*Carlo Silini Giornalista e scrittore, nato a Mendrisio nel 1965. Laureato in teologia a Friburgo nel 1989 è sposato e ha un figlio. Editorialista e caporedattore al Corriere del Ticino e dal 2023 dirige Azione, settimanale di cronaca e cultura della Cooperativa Migros Ticino. Ha vinto lo Swiss Press Award, il più importante premio svizzero di giornalismo, nel 2015 per la categoria carta stampata e nel 2017 per la categoria local. Uscito nel 2015, Il ladro di ragazze, sua prima prova narrativa, è stato per mesi ai primi posti delle classifiche della Svizzera italiana. Stessa sorte per il sequel del 2019 Latte e sangue. Con Le ammaliatrici del 2021 chiude la trilogia.


domenica 31 agosto 2025

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli


XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
31 Agosto 2025


Per chi presiede

Fratelli e sorelle, venendo nel mondo il Signore Gesù ha scelto per sé l’ultimo posto, per poter amare e servire ogni creatura umana senza pregiudizio alcuno. Al Signore Gesù, che ha fatto della Croce il suo trono regale, innalziamo con fiducia le nostre preghiere ed insieme diciamo:

R/   Abbi pietà di noi, Signore

  

Lettore


- Signore Gesù, sii misericordioso con la tua Chiesa sempre tentata di fare proprie le logiche di questo mondo, che sono logiche di forza e di preminenza. La forza del tuo Santo Spirito e la memoria del tuo Vangelo possano spingere al largo la tua Chiesa, in modo da essere nel cuore dell’umanità un segno visibile della tua gratuità e del tuo dono di amore, soprattutto per i poveri, per i peccatori e per tutti gli esclusi da ogni possibilità di vita. Preghiamo.

- Signore Gesù, vogliamo fare nostre e presentare a Te le lacrime, i lamenti, le preghiere che salgono da Gaza e soprattutto quelle dei bambini denutriti ed in punto di morte. Fa’ che questo fiume di lacrime e di dolore possa ammorbidire il cuore indurito dell’Occidente, che continua a non voler vedere e sentire. Preghiamo.

- Ti vogliamo affidare, Signore Gesù, tutti quegli uomini e donne, che continuano a credere nel valore del volontariato. Ti affidiamo quanti operano nelle varie organizzazioni per salvare i migranti nel loro tentativo di raggiungere una patria più affidabile. Ti affidiamo, inoltre, quanti si adoperano in favore della pace e quanti continuano a tener desta l’attenzione del mondo sul disastro climatico, che si aggrava ogni giorno di più. Preghiamo.

- Ti preghiamo, Signore Gesù, per ognuno di noi. Fa’ che la tua Parola possa trovare dimora nella nostra vita di ogni giorno. Sia essa a guidare e ad illuminare il nostro modo di rapportarci con gli altri, soprattutto con coloro che ci hai messo accanto, affinché il nostro sguardo non sia di giudizio, ma di cura e di accoglienza. Preghiamo.

- Davanti a Te, Signore Gesù, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti [pausa di silenzio]; ci ricordiamo ancora delle vittime della guerra in Ucraina e a Gaza e delle vittime delle altre numerose guerre sparse nel mondo, come pure le vittime della violenza nelle famiglie e sulle strade e nei quartieri delle nostre città. Tutti possano contemplare il tuo Volto di luce e di pace. Preghiamo



Per chi presiede

Signore Gesù, Tu hai scelto di stare all’ultimo posto e di stare dalla parte degli ultimi e dei poveri. Donaci la tua sapienza, affinché comprendiamo che essere cristiani comporta una responsabilità verso noi stessi e verso le persone più fragili e indifese. Te lo chiediamo perché sei nostro Maestro e Signore, nei secoli dei secoli.

AMEN.



"Un cuore che ascolta - lev shomea" n° 43 - 2024/2025 anno C

"Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Vangelo:
Lc 14,1.7-14

Siamo tutti invitati a nozze, ma solo coloro che sono stati guariti dall'idropisia, da un ego smisurato che gonfia e deforma, possono entrare per la porta stretta. Con questo insegnamento Gesù ci avverte di evitare come la peste e con la massima urgenza quello spirito di protagonismo che ci trasforma in palloni gonfiati e ci invita ad assumere quello spirito di umiltà e di servizio che poi è il suo stesso Spirito. Non si tratta certamente di osservare le norme del galateo per guadagnarsi la tanto agognata poltroncina in Paradiso; si tratta invece di scoprire il segreto del lievito del Regno che rimane nascosto nella pasta dell'umanità e tutta la fa fermentare, la manifestazione del mistero d'amore rivelato a noi nella vita di Gesù di Nazareth. Solo seguendo Lui potremo contemplare come il Padre agisce nella vita di ognuno di noi, che l'umiltà e il nascondimento sono le caratteristiche di Dio così come si è manifestato in Gesù (cfr. Fil 2,7). E' urgente, allora, scegliere sempre l'ultimo posto servendo i nostri fratelli, soprattutto gli ultimi, perché «l'ultimo è il posto da scegliere e da cui scegliere», essendo ben consapevoli che «Gesù ha già occupato l'ultimo posto a tal punto che nessuno mai è riuscito a toglierglielo» (Charles de Foucauld)
 

sabato 30 agosto 2025

SPINGERE LA VITA “Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio" - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Maria Ronchi

SPINGERE LA VITA


Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi,
di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio



Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». Luca 14,1.7-14

 
SPINGERE LA VITA
 
Solo l'amore è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio

Questo è il terzo banchetto di Gesù in casa di farisei, che pur fieri avversari del maestro, ne subivano al tempo stesso il fascino.
Il rabbi amava i banchetti, luogo perfetto dove raccontare parabole che anticipavano il Regno, per i giusti d’Israele e per la gente dei crocicchi, per donne con vasi di profumo e farisei austeri e distaccati.
La tavola di casa è il primo altare, per Gesù. L’unico: ogni casa ha un altare che raccoglie attorno a sé sorrisi, confidenze, lacrime, perdoni e progetti. E sacrifici. Quello della chiesa viene dopo.
Mangiare insieme è il rito che ci fa umani, dove il cibo è sacro e il pane è sacramento, perché custodisce la cosa più sacra che esiste: la vita.
È un dolore vedere troppe eucaristie che, invece di un banchetto di gioia e di condivisione, si trascinano come liturgie stanche che parlano solo di se stesse e a se stesse.

“Diceva loro una parabola, notando come sceglievano i primi posti”.
La gente osserva Gesù, e Gesù osserva gli invitati. Un incrociarsi di sguardi, in quella sala che è la metafora della vita, piena di illusi, convinti che vivere sia prevalere sugli altri.
Quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto, non per falsa modestia o un basso concetto di te, ma per un rapporto diverso e creativo, dove non conta il più importante o prestigioso, ma chi spinge avanti la vita. Il nostro compito sulla terra è semplice: portare umilmente avanti la vita. Soprattutto la vita debole e minacciata.

Vai all’ultimo posto: è il posto di Dio, del Dio crocifisso, che spinge il nostro mondo dentro il suo abbraccio.

Poi a colui che l’aveva invitato disse: Quando offri un pranzo non invitare parenti, amici, vicini, tu invita poveri, storpi, ciechi.
Ma non farlo per sentirti buono. Anche la rosa è senza un perché, fiorisce perché fiorisce (A. Silesius), e lo fa anche sulle macerie, dove impavida prodiga il suo profumo. L’usignolo canta anche se nessuno lo ascolta. Il monaco prega anche se nessuno lo sa.
Riempiti la casa di chi nessuno accoglie, e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Non hanno cose da darti, e allora ti daranno se stessi nella loro fragile gioia, perché ogni tenerezza gratuita e immeritata sussurra a chiunque di Dio. Arriva come un angelo e rende più affettuosa la vita, più leggero il lungo dolore.

Solo l'amore che non ha bisogno di passare all’incasso è capace di riempire di speranza i viventi, di vita il grande vuoto della terra, il suo grande buio.


Appello interreligioso alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia

Appello interreligioso 
alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia


Questo appello nasce dalla convinzione dell’improrogabile necessità di favorire qualsiasi iniziativa di incontro per arginare l’odio, salvaguardare la convivenza, purificare il linguaggio e tessere la pace. Responsabilità di singoli e di soggetti collettivi!
È un appello che esprime il tanto che unisce, messo a dura prova da quanto sta accadendo, ma nella certezza che il dialogo deve trovare le soluzioni a quanto umilia le nostre fedi e resistere. Ciascuno di noi – primi firmatari – avrebbe certamente qualcosa da aggiungere per esprimere il dolore che proviene dalle rispettive comunità, nelle quali vi sono posizioni e convinzioni diverse, così come aspettative rispetto a determinati fatti e scelte. L’appello è aperto a quanti condividono questa preoccupazione unitaria che genera responsabilità comune, mettendo da parte, in questo documento, quanto divide, per rafforzare ciò che ci unisce, nello sforzo comune di capire il dolore e le ragioni dell’altro, generando un impegno rinnovato per trovare soluzioni giuste e durature per tutti. In modo particolare, l’appello è aperto al “Tavolo delle religioni” che da tre anni si trova presso la sede della CEI nell’intento di cercare una “Via italiana del dialogo interreligioso”.

***

Appello alle Istituzioni Italiane, ai cittadini e ai credenti in Italia

“Sta lontano dal male e fa il bene, cerca e persegui la pace”. (Salmo 34, 15)

“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli
che sono nel pianto”. (Rm 12,15)

“Abbiamo prescritto ai figli di Israele che chiunque ucciderà una persona
è come se avesse ucciso l’intera umanità, e chiunque avrà dato la vita a una persona sarà come se avesse dato la vita all’intera umanità.
Sono giunti loro i Nostri inviati con le prove chiare eppure molti di loro,
pur dopo questo, sono stati intemperanti sulla terra”. (Corano, V: 32)

La coscienza dei tempi oscuri che stiamo attraversando e del potere di illusione che soffia anche sulla tragedia in corso in Medio Oriente, ci richiama, come leader di comunità religiose, come credenti e come cittadini, a denunciare l’insinuarsi di pericolose generalizzazioni e dannose confusioni tra identità politiche, nazionali e religiose e ci spinge a richiamare alla cautela nello scambio di informazioni e alla pacatezza nei toni e nelle azioni.

L’abuso della religione per la sopraffazione altrui ci costringe ad assistere a una polarizzazione che si nutre di un fanatismo travestito da servizio verso il nostro comune Dio e il bene dei fedeli, assecondando una falsa giustizia superiore e nascondendosi dietro una finta fratellanza.
Il giustizialismo populista, una folle prospettiva suprematista e la mediatizzazione di un vittimismo sordo alle ragioni della responsabilità ci obbligano a denunciare una strumentalizzazione anche della politica: si tratta di un male che si nasconde dietro il paravento della “maggior ingiustizia dell’altro”, e che mira solo a rendere tutte le parti in gioco pedine inconsapevoli della distruzione del mondo ricostruito e ricostituito nel secondo dopoguerra.

Dobbiamo denunciare la nefandezza di una propaganda che, sfruttando ingenuità e visceralità, ottenebra un discernimento sano e banalizza il senso profondo della nostra stessa umanità, inducendo a schierarsi l’uno contro l’altro, ma mai a favore del Bene, fomentando alternativamente antisemitismo e islamofobia o rianimando le inveterate avversioni al cristianesimo cattolico e alle religioni in generale, anziché collaborare insieme per una vera Pace. Condividere originalità, curiosità per i significati dei nostri testi sacri, con studio e conoscenza, e difendere da ogni abuso e distorta interpretazione, che allontanano verso derive dell’odio, pregiudizio e violenza altrui.

L’odio e la violenza non hanno mai alcuna legittimità, portano solo alla diffusione della crudeltà di chi cura ambiguamente interessi paralleli volgarizzando e corrompendo le interpretazioni e la natura autentica dei testi sacri per benedire l’uso delle armi e organizzare la morte dell’altro. “Nessuna sicurezza sarà mai costruita sull’odio. La giustizia per il popolo palestinese, come la sicurezza per il popolo israeliano, passano solo per il riconoscimento reciproco, il rispetto dei diritti fondamentali e la volontà di parlarsi” (Dichiarazione “Fermi tutti” di Bologna).

Il dovere di lavorare per una responsabile convivenza ci richiama come religiosi alla necessità di promuovere coesione sociale sulla base di valori condivisi, a fronte della grande costernazione che ci suscita il dolore degli altri.
Bisogna ripartire dalla testimonianza della sacralità della vita e dalla santità della terra come doni di Dio che nessuno possiede in esclusiva a discapito dell’altro. Questo patrimonio va custodito insieme come occasione per riconoscere la dinamica della scienza sacra, la fratellanza autentica e la vera Pace nella vittoria dello Spirito sulla tragica ostinazione al male.

“Incontriamoci tutti!”, incontriamoci subito – almeno in Italia – vescovi, rabbini e imam, dalle varie regioni. Un incontro semplice, diretto, non convenzionale né confessionale, per testimoniare insieme una responsabilità comune (Lettera aperta “Incontriamoci tutti” della COREIS da Milano). Una responsabilità che sappia trasmettere il messaggio autentico di pace, speranza, carità, fratellanza e giustizia dei discendenti di Abramo anche attraverso soluzioni concrete: auspichiamo che, sulla scia di questo messaggio, le nostre comunità religiose possano promuovere attività locali e nazionali, culturali e formative, con l’attivo coinvolgimento delle Istituzioni nazionali e delle amministrazioni comunali.

Dobbiamo assieme riconoscere quel germe di odio che pianifica anche qui la devastazione e l’abuso di spazi reali e ideali. Lo sviluppo del nostro Paese si è affermato grazie ai ponti tra comunità antiche e di nuova immigrazione che siamo chiamati a difendere attraverso la prova della convivenza e il rigetto del
nemico inventato. Poter credere che esiste un domani libero verso il quale alzare lo sguardo e impegnarsi assieme.

Come segno di speranza, in queste settimane, in alcune città italiane, religiosi ebrei, cristiani e musulmani hanno già trovato l’ispirazione e il coraggio per incontrarsi e confrontarsi, nella preghiera e nella fede certa che la Giustizia divina non si riveste delle barbarie cui l’umanità sembra oggi essersi assuefatta nella “normalizzazione del male”.
Il 23 luglio è stata infatti diffusa la dichiarazione congiunta “Fermi Tutti” dell’Arcivescovo di Bologna, Card. Matteo Zuppi, e del Presidente della Comunità Ebraica di Bologna, Daniele De Paz, “Sulla guerra a Gaza e sulla responsabilità comune per la pace”. Un appello ai credenti e ai cittadini a unire le proprie voci per reagire alla guerra in corso dentro la striscia di Gaza e gli attacchi su Israele: “Tacciano le armi, le operazioni militari in Gaza e il lancio di missili verso Israele. Siano liberati gli ostaggi e restituiti i corpi. Si sfamino gli affamati e siano garantite cure ai feriti” (Dichiarazione “Fermi tutti” di Bologna).

L’appello di Bologna ha avuto un precedente e un seguito significativi:
• la Marcia per la Pace del 5 dicembre 2023 a Bologna, guidata dal Card. Matteo Zuppi, dal Presidente della Comunità Ebraica, Daniele De Paz, e dal Presidente dell’UCOII, Yassine Lafram, con la partecipazione di centinaia di cittadini;
• il 24 luglio la COREIS Italiana ha aderito all’appello inviando la lettera di sostegno “Incontriamoci tutti”, rivolta anche alla CEI, all’UCEI, all’Assemblea Rabbinica Italiana, all’Arcivescovo di Milano e alla Senatrice Liliana Segre;
il 4 agosto anche il “Tavolo della Speranza”, costituito a Torino da rappresentanti cristiani, ebrei, musulmani e laici, ha sostenuto pubblicamente l’appello. “La coscienza dei credenti, indipendentemente dalla fede di appartenenza, non può non essere fortemente turbata dalle notizie provenienti dal teatro di guerra e l’impegno personale nella preghiera e nel dialogo è l’unico modo per liberarsi dal senso di impotenza che, per ammissione dello stesso Papa Leone XIV, sta attanagliando chi invoca la tregua e l’accordo”.

Siamo grati per queste testimonianze di una reazione e di un coordinamento da parte di diversi esponenti interreligiosi che vogliono ora, con questa dichiarazione nazionale, promuovere una chiarezza di intenzioni, di metodo e linguaggio, di contenuti e di finalità, per giungere alla vera pace e, soprattutto, in nome della nostra comune responsabilità, a preservare l’autentica dignità di ogni comunità religiosa e di ogni essere umano.

Noemi Di Segni
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI)
Yassine Lafram
Presidente dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (UCOII)
Abu Bakr Moretta
Presidente del Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS)
Naim Nasrollah
Presidente della Moschea di Roma
Imam Yahya Pallavicini
Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS)
Cardinale Matteo Maria Zuppi
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI)

29 Agosto 2025
(fonte CEI)

Quel gioco perverso che fa della donna una merce da esibire di Massimo Recalcati

Quel gioco perverso
che fa della donna
una merce da esibire
di Massimo Recalcati



(Pubblicato su "La Repubblica” - 24 agosto 2025)


Un dispositivo che sembra nuovo, figlio dell’epoca dei social network e della loro logica esibizionista, ma che, in realtà, ha radici antiche: si compila una lista, un catalogo di donne, le “proprie”, per ridurle a corpi da valutare, commentare, mettere in classifica da parte di un gruppo esteso di uomini. Lista clandestina che raduna uno spogliatoio virtuale di maschi che nel turpiloquio e nell’insulto, nell’apprezzamento pesante e nelle fantasie porno estreme, realizzano, in una complicità gruppale innocentemente feroce, la degradazione maschilista del soggetto femminile a un oggetto di consumo.

Il fatto che tutto ciò sia avvenuto rubando le immagini della propria donna per darle in pasto ad altri maschi non solo ribadisce una concezione padronale del rapporto, ma realizza altresì una fantasia perversa. Quale? In gioco non è tanto il desiderio erotico nelle sue trame labirintiche, ma una sorta di scambismo virtuale. Lo scambismo non viene effettivamente praticato, non diviene una pratica sessuale, ma si mantiene sul piano del puro voyeurismo. Questo tipo di scambismo non ha bisogno di professioniste del sesso, ma recluta, in un abuso selvaggio della privacy, la compagna, la moglie, la fidanzata, l’amante.

Lacan ci ha insegnato che il voyeurismo non è semplicemente «guardare senza essere visti». Il voyeur, infatti, non è affatto padrone dello sguardo ma ne è piuttosto posseduto. Fotografando, filmando, spiando, egli cerca di trasformare la donna in un oggetto catturato una volta per tutte. In questo modo prova a sostituire l’angoscia provocata dallo sguardo imprevedibile dell’Altro con la rassicurante fissità di un’immagine. Ma quello che possiede non è mai la donna, ma solo il catalogo senza vita delle sue rappresentazioni. Da un lato, mette in lista la propria compagna per ricevere dagli altri la conferma del suo valore («guarda cosa ho!»); dall’altro, si illude di possederne l’essenza più segreta, di averla finalmente sotto controllo. A che fine? Mi limito a isolare tre punti.

Il primo consiste nel ribadire l’assioma maschilista per eccellenza: «Sono tutte puttane!». In ogni donna vi sarebbe una femmina ammalata di sesso, una Eva insaziabile pronta a soddisfare gli appetiti più smodati degli uomini. Qui la mitologia maschilista svela le sue radici più ideologiche: di fronte all’inafferrabilità del godimento femminile, alla libertà irriducibile della donna, si prova ad operare una riduzione violenta della donna stessa ad una bambola del sesso sempre disponibile.

Il secondo punto riguarda invece la logica del voyeur. Egli, come la psicoanalisi insegna, non guarda tanto l’Altro, ma guarda se stesso nell’atto di catturare quello che non può catturare: il mistero del desiderio dell’Altro, il suo sguardo. È come se l’esperienza autentica dell’incontro fosse troppo fuggevole, rischiosa, indeterminata. Allora si preferisce venirne a capo filtrandola attraverso una lente che offre l’illusione di metterla in pausa, riavvolgerla, possederla. Incitare al commento osceno, scurrile, alla manifestazione priva di ogni pudore delle proprie fantasie, significa scambiare solo virtualmente la propria donna preservando però un potere di governo sul suo corpo. Nondimeno, diversamente dalla prostituzione tipo Onlyfans, qui l’oggetto sessuale deve avere un nome, una storia, un legame con chi la espone. Ed è proprio questa contaminazione tra la realtà e la finzione a produrre un godimento perverso. Mentre il triste Casanova di Fellini si trovava al termine della sua vita tra le mani solamente una bambola meccanica — simulacro della morte che fatalmente lo attendeva per ricordagli che nemmeno il sesso compulsivo poteva essere una via di fuga dalla sua inesorabile presa — in questo caso si tratta di nutrire l’illusione di avere a disposizione una bambola non meccanica ma viva e reale. L’uomo che getta le immagini rubate della propria compagna in pasto al branco non è più un amante, ma un manager della propria vita affettiva costantemente ansioso di ricevere un feedback dal suo pubblico. In questo modo è diventato schiavo di quello sguardo che credeva di dominare. Non è più in grado di desiderare ma solo di organizzare un godimento omogeno, tra simili. In questo senso, al di là delle apparenze, il godimento di ogni voyeur resta solipsistico, uomo-sessuale, tale, cioè, da escludere l’incontro reale con una donna.

Infine, il terzo motivo che può giustificare questo dispositivo osceno concerne il tentativo disperato di rianimare il desiderio. Se la vita di coppia porta con sé, nella sua ripetizione abitudinaria, il rischio di una flessione o di una estinzione del desiderio, la convocazione sulla scena di un altro sguardo può offrire l’illusione di una sua riattivazione. È un gioco di specchi: il vero oggetto del desiderio non è più la “propria” donna, ma il desiderio dell’altro che deve qualificare il suo corpo come ancora desiderabile. È una formula di Lacan: il desiderio umano è desiderio dell’oggetto solo in quanto desiderato da un altro desiderio. In altre parole: se tu desideri quello che io possiedo, quello che possiedo riacquista valore.

La donna-bambola diventa così la merce suprema, il biglietto da visita per entrare in una fratellanza patologica di sguardi maschili, un club esclusivo in cui ci si riconosce e ci si valuta per il valore della merce che si è in grado di esibire e, almeno virtualmente, di mettere in circolazione. È la logica del capitale applicata: il valore di un bene — il corpo-oggetto della propria partner — è determinato dalla domanda che riesce a generare. Si tratta di un meccanismo perverso per provare ad accendere un desiderio assopito, morto, sfiancato dall’abitudine. Ma preferire il catalogo illimitato delle immagini all’enigma singolare, l’archivio all’avventura, la sicurezza claustrofobica della prigione voyeuristica al cielo aperto e pericoloso del desiderio condiviso è una strada senza vie di uscita.

(Fonte: sito dell'autore)

venerdì 29 agosto 2025

Migliaia di operatori sanitari (e non solo) hanno digiunato per Gaza


Migliaia di operatori sanitari hanno digiunato per Gaza

Chiedono la fine dei bombardamenti, che il governo non venda più armi ad Israele, che venga riconosciuto il genocidio in atto a Gaza. A Pavia raccolti 120 mila euro per la Palestina. Tante persone in fila per donare cibo per la Global Sumud Flotilla. Il 30 agosto don Nandino Capovilla invita a partecipare alla marcia verso la tomba di don Mazzolari.

Operatori sanitari digiunano per Gaza

C’è una marea di solidarietà, pietà e indignazione che sta crescendo, in Italia, chiedendo la fine dei bombardamenti a Gaza. La fine dell’evacuazione forzata dei palestinesi, la fine dell’affamamento di migliaia di bambini e delle loro famiglie. La fine dell’occupazione della terra perpetrata dai coloni israeliani nei confronti delle comunità, anche cattoliche, della Cisgiordania. La fine di quella che viene vissuta come una enorme ingiustizia nei confronti di un popolo ormai allo stremo.

Palestinesi aspettano di ricevere un pasto nel sud della Striscia di Gaza. Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD

In un’intervista del 2018, la giornalista Francesca Fagnani chiese alla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni cosa la commuovesse. La risposta dell’attuale premier fu: “I bambini. Da quando è nata mia figlia, non posso più sentire storie tristi che riguardano i bambini perché attacco a piangere…”.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Meeting “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. 
Foto del Governo con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Mercoledì 27 agosto scorso, al Meeting di Rimini la premier ha rivendicato l’accoglienza di piccoli palestinesi malnutriti e mutilati nei nostri ospedali e ha affermato: “Chiediamo a Israele di cessare gli attacchi, di fermare l’occupazione militare a Gaza, di porre fine all’espansione degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania, di consentire il pieno accesso degli aiuti umanitari nella Striscia, di partire dalle proposte dei paesi arabi per definire un quadro di stabilità e sicurezza”.


Tuttavia, le sole dichiarazioni non sono sufficienti. La ragion di Stato non può prevalere sulle vite umane: vanno bloccate le forniture d’armi, vanno imposte sanzioni, servono azioni concrete. Bisogna fermare il genocidio e l’esodo forzato dei palestinesi. Lo chiedono da settimane anche medici, infermieri, personale amministrativo, farmacisti e operatori sanitari di tutt’Italia che oggi hanno digiunato per Gaza “mettendoci la faccia”. Le loro foto stanno rimbalzando su tutti i social da Firenze a Caserta, Lecce, Parma, Torino, Napoli, Milano, Catania, Bologna… Gli operatori che hanno aderito sono decine di migliaia e gli ospedali coinvolti circa 500.

Giornata di digiuno e presidio contro il genocidio a Gaza promossa dagli operatori e dalle operatrici del servizio sanitario della rete #digiunogaza, dalla rete Sanitari per Gaza presso ospedale Molinette. Torino 28 agosto 2025 ANSA/TINO ROMANO

Migliaia e migliaia di operatori sanitari impegnati a difendere la vita e la dignità umana stanno dicendo basta al massacro in atto in Palestina.

È bastato poco per provocare quest’ondata di indignazione. Tutto è iniziato appena un mese fa, dal senso di impotenza di Daniela Gianelli e Francesco Niccolai, rispettivamente responsabile dell’ufficio stampa e responsabile della formazione dell’Asl Toscana Nord Ovest.

Operatori sanitari toscani in digiuno contro il genocidio a Gaza

Dal loro desiderio di fare qualcosa per la popolazione palestinese. «Io e il mio collega Francesco Niccolai stavamo parlando della situazione di Gaza, pensando a cosa potevamo fare. A un certo punto ci siamo detti: perché non proviamo a fare un giorno di digiuno per la Palestina, per dare un segnale che la sanità c’è?».

In poche ore è arrivata l’adesione di centinaia di operatori sanitari, non solo toscani, ma anche di altre città italiane. Fino alla manifestazione di oggi.


A promuovere la giornata di digiuno per Gaza – che si è svolta fuori dall’orario di lavoro, dalle 12.30 alle 14.30 – sono stati gli operatori e le operatrici del servizio sanitario delle reti #digiunogaza e “Sanitari per Gaza” e della campagna BDS “TEVA? No grazie”.

«In nome dei valori deontologici che ci accomunano e che ci impegnano a difendere sempre e comunque la dignità umana – hanno scritto – esprimiamo la nostra profonda indignazione e rifiutiamo di rimanere in silenzio di fronte al genocidio in corso a Gaza, pianificato deliberatamente dal Governo di Israele con la complicità dei governi occidentali».


I promotori hanno spiegato che «assistiamo da mesi con sgomento alle bombe, alle deportazioni, alle uccisioni di persone in fila per ottenere cibo, alla distruzione di tutte le infrastrutture civili e sanitarie, alla gravissima carestia e malnutrizione che sta subendo la popolazione. All’arresto, alla tortura e all’uccisione di personale sanitario (secondo l’OMS almeno 1.400 sanitari uccisi) anche nel pieno esercizio delle sue funzioni».


Gli operatori sanitari fanno tre richieste. Chiedono al Governo di “sospendere immediatamente accordi militari e fornitura di armi ad Israele e di chiedere con urgenza il cessate il fuoco e l’apertura di corridoi umanitari per aiuti alimentari e sanitari alla popolazione di Gaza”. Alle Aziende ed Istituzioni sanitarie, agli Ordini professionali, alle Società scientifiche, alle Università ed ai Centri di ricerca chiedono di adottare formalmente una Dichiarazione ove si riconosca il genocidio in corso e si affermi l’impegno a contrastarlo con ogni mezzo a disposizione.


Infine, chiedono a medici, farmacisti, ai pazienti, a Regioni e Comuni di aderire alla campagna di boicottaggio No Teva promossa contro la società farmaceutica israeliana TEVA, complice di occupazione e apartheid, da cui trae profitti, ma anche attivamente coinvolta nel genocidio.


“I medici non possono tacere”, ha dichiarato Pietro Dattolo, presidente dell’Ordine dei Medici della provincia di Firenze. “Auspico – ha affermato il presidente dell’Ordine dei medici di Lecce, Antonio De Maria – che questo giorno di digiuno che attraversa la sanità italiana scuota le coscienze e spinga tutti a una protesta corale contro il genocidio in corso. Alla violenza opponiamo la resistenza pacifica che spesso è più potente di un’arma”.


“Sono mesi che cerco di sentirmi meno inutile informandomi, protestando, donando e boicottando i prodotti israeliani e delle aziende che lucrano su questo massacro. Sono felice come infermiera – ha scritto Francesca M. – di partecipare a questa iniziativa”. Laura M. ha invece digiunato “in memoria dei colleghi uccisi, in solidarietà a quelli che lavorano per attenuare la sofferenza di tutte le vittime di questo massacro pur in una condizione di estrema sofferenza e privazione personale (fame, lutti familiari, turni infiniti) e con strutture sanitarie al collasso. E perché non è più possibile sopportare il silenzio e l’inazione del nostro governo di fronte a questo genocidio”.


Andrea M. ha aderito “perché è una delle poche cose che posso fare per essere dalla parte giusta della storia”. Giusi S. ha digiunato “perché la vita va difesa, sempre”, mentre Cristiana V. perché “non voglio che venga distrutto un popolo con la sua terra”. Al digiuno si sono uniti anche i volontari dell’associazione Libera contro le mafie, fondata da don Luigi Ciotti.


Gli operatori sanitari non sono gli unici ad essersi mobilitati. A Pavia, in un incontro organizzato dalla Diocesi e dalla Caritas a cui doveva intervenire il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, poi assente per l’aggravarsi della situazione a Gaza, sono stati raccolti oltre 120 mila euro in pochi giorni per la popolazione palestinese.

“La situazione che si sta vivendo a Gaza è molto grave. La parte sud della città – ha detto Pizzaballa, secondo quanto riportato da Agensir – è stata quasi completamente rasa al suolo, al nord l’80% è distrutto. Manca il cibo. Non arrivano le medicine. Molti vivono nelle tende, senza nulla, senza privacy. Trasferire le popolazioni, come si vuol fare a Gaza, è immorale, oltre che contrario alle convenzioni internazionali”.

Decine di artisti, youtuber, attivisti stanno invece promuovendo da giorni la mobilitazione della Global Sumud Flotilla: una missione navale pacifica, che coinvolge persone di decine di Paesi del mondo, che cercherà pacificamente di rompere il blocco illegittimo imposto da Israele e di portare a Gaza, via mare, medicine e cibo. Nei vari depositi allestiti, come per esempio a Genova, ci sono state lunghe file di cittadini che volevano dare un contributo. Alla fine, sono state raccolte 50 tonnellate di cibo.

Nandino Capovilla, a destra, in una foto di archivio del 2024 in Palestina. Fonte: Bocche scucite

Di pace a Gaza si è parlato anche alla Mostra del cinema di Venezia. Nel suo intervento, don Nandino Capovilla, sacerdote espulso da Israele al suo arrivo a Tel Aviv, nelle scorse settimane, per il suo impegno per i palestinesi, ha dichiarato: “Da prete che crede fermamente nella nonviolenza attiva, non posso che condannare l’uso delle armi, da qualsiasi parte le si impugni. Da cittadino sostengo la manifestazione che si terrà sabato” a Mantova, con una marcia verso la tomba di don Mazzolari, e — ha aggiunto don Capovilla -“tutti i modi pacifici con cui la società civile, in ogni parte del mondo sta ‘disertando il silenzio’ e la scorta mediatica del genocidio, facendo fiorire creativamente azioni di dissenso, partecipazione e impegno. Ricerchiamo la bussola verso cui orientarci per fermare il massacro, perché si ritorni alla parola, al diritto, all’umanità che tutti ci accomunano. Per non perdere ancora vite umane. Per non perderci. Aggrappiamoci ai valori che sottendono i diritti che i nostri padri e nonni hanno formulato: mai più per tutte e tutti, per una vita degna per tutte e tutti. E con coraggio uniamoci, sempre di più. Perché si fermi tutto questo male”.

Un ragazzo piange la morte del fratello presso l’Al-Shifa di Gaza City, 23 luglio 2025.
Ansa, EPA/MOHAMMED SABER

È con il cuore spezzato che vediamo bambini morire di fame ogni giorno, le loro case distrutte, le loro famiglie umiliate per un po’ di farina e cacciate dalle loro terre. Se fossimo noi, o i nostri cari, al loro posto, continueremmo a far finta di niente?
(fonte: Città Nuova, articolo di Sara Fornaro 28/08/2025)