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mercoledì 5 novembre 2025

Intenzione di preghiera per il mese di Novembre 2025: Preghiamo per la prevenzione del suicidio

Intenzione di preghiera per il mese di Novembre 2025
Preghiamo per la prevenzione del suicidio


«Preghiamo perché le persone che combattono con pensieri suicidi trovino nella loro comunità il sostegno, l’assistenza e l’amore di cui hanno bisogno e si aprano alla bellezza della vita». Con queste parole Leone XIV, in inglese, introduce la sua intenzione per il mese di novembre, nel video prodotto e diffuso dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, con il sostegno della Diocesi statunitense di Phoenix.

Alla Chiesa — diocesi, parrocchie, congregazioni religiose, associazioni di fedeli — il Pontefice chiede di impedire che la sofferenza delle persone disperate, che sperimentano la tentazione di togliersi la vita, sia resa ancora più intollerabile dalla solitudine. Tutti, anche i credenti, «possono essere vulnerabili alla tristezza senza speranza». Per questo il Papa invita a chiedere al Signore che insegni «a farci prossimi «con rispetto e tenerezza», con «un cuore aperto e compassionevole», e a incoraggiare a cercare «il necessario aiuto professionale».

Quanti combattono con pensieri suicidi, è la preghiera di Leone XIV, «possano trovare sempre una comunità che li accolga, che li ascolti e che li accompagni». Quindi l’invocazione a Dio: «Dona a tutti noi un cuore attento e compassionevole, capace di offrire conforto e sostegno, anche con il necessario aiuto professionale. Insegnaci a farci prossimi con rispetto e tenerezza, aiutando a guarire le ferite, a costruire legami e ad aprire orizzonti. Possiamo riscoprire insieme che la vita è un dono, che comunque c’è bellezza e c’è un senso anche in mezzo al dolore e alla sofferenza».

Le immagini del video, girate in Arizona, raccontano la storia a lieto fine di un uomo e una donna, sostenuti dalla comunità, dalla preghiera e dall’aiuto professionale. La Diocesi di Phoenix ha inserito il tema tra le proprie priorità pastorali, istituendo un ufficio per il ministero della salute mentale. Fornisce spazi di ascolto, promuove corsi di formazione, ha avviato partnership con organizzazioni locali e strutture sanitarie, celebra ogni anno una Messa di ricordo per le persone morte per suicidio. Inoltre la struttura definisce linee guida su come aiutare qualcuno che sta pensando di togliersi la vita e promuove campagne per ridurre lo stigma attorno alle malattie mentali. Questa intenzione di preghiera «è molto vicina al mio cuore» commenta il vescovo di Phoenix, John Dolan.

«Ho vissuto in prima persona il doloroso cammino del lutto per suicidio — racconta il presule —. Ho perso mio fratello Tom, le mie sorelle Terese e Mary e mio cognato Joe, tutti morti per suicidio. Ci sono delle ferite e dei misteri che non possiamo comprendere. E tuttavia, abbiamo speranza! Confidiamo in un Padre amorevole che tiene vicino a sé i nostri cari. Se ti senti spezzato, se stai lottando con pensieri suicidi, sappi che sei profondamente amato e che la Chiesa è qui per te. Non sei solo».

Il gesuita Cristóbal Fones, direttore internazionale della Rete Mondiale di Preghiera del Papa, sottolinea che la Chiesa non si sostituisce ai professionisti della salute, ma può svolgere un ruolo decisivo offrendo vicinanza, ascolto e speranza.

Per questo si apre oggi a Roma un convegno internazionale organizzato dall’associazione dei Ministri cattolici per la salute mentale (CMHM) con il patrocinio della Pontificia Accademia per la Vita. Fino al 7 novembre, presso la Sala Pio X, in via dell’Ospedale, persone provenienti da tutto il mondo, impegnate sulla pastorale della salute mentale, discutono di come la comunità cristiana possa accompagnare le persone alle prese con problemi di salute mentale, depressione, dolore profondo, e prevenire attraverso l’ascolto e la vicinanza il rischio del suicidio. E la Rete Mondiale di Preghiera del Papa organizza i momenti di preghiera comune.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Alessandro Di Bussolo 05/11/2025)

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Enzo Bianchi Quella comunione tra il cielo e la terra

Enzo Bianchi
Quella comunione tra il cielo e la terra

Il ricordo dei nostri cari defunti è importante in questo tempo di oblio e perdita della memoria

Famiglia Cristiana - 02 Novembre 2025
Rubrica: Cristiano, chi sei?


Preghiamo per i morti. È una prassi sempre più rara perché siamo diventati una società nella quale si dimentica facilmente e velocemente chi è vissuto accanto ed è morto, e poi perché non abbiamo più tempo né di visitare le tombe né di sostare per pregare per i nostri morti. Ne risultiamo più poveri, privati di una relazione con quelli che sono passati e che hanno condiviso con noi la vita, l’amore, le gioie e le fatiche. Siamo giunti alla barbarie dimenticando che il primo atto dell’umano (dell’ominide diventato uomo!) è stato quello di seppellire i propri morti, come testimoniano le tombe preistoriche, e oggi disdegniamo funerali che demandiamo a imprese specializzate e disperdiamo le ceneri dei morti per non avere un luogo dove andare a fare memoria di loro. Eppure è cosa bella e grande sentirsi parte di una comunità non solo orizzontale (i nostri contemporanei) ma anche verticale, che attraversa i tempi: da quelli prima di me ho ricevuto un’eredità e non posso dimenticarlo.

Pregare poi per i morti è tener viva la comunione, la relazione con loro: essi sono nel Regno, accanto al Signore della vita e della gloria. E noi presto li raggiungeremo, ma già fin d’ora sono in comunione con noi. L’amore che abbiamo vissuto insieme non va perduto e ci sarà un abbraccio tra noi e loro nel Regno dei cieli in una vita senza fine. Se non ci fosse questa comunione io mi sentirei più solo: ho bisogno di credere a questa comunione e pregando con loro ravvivare la speranza di unirci presto in Cristo.

Questa memoria dei morti è una memoria seria, che riguarda innanzitutto la nostra umanità. Non siamo monadi, siamo co-creature, siamo “comunione”, chiamati ad essere uno in Cristo!
(fonte: blog dell'autore)


#luce e morte - Gianfranco Ravasi

#luce e morte 
Il Breviario laico 
di Gianfranco Ravasi


Il vero grande coraggio è quello di tenere gli occhi aperti a fissare la luce come la morte.

È noto che l’impressione luminosa persiste nell’occhio per un decimo di secondo ed è proprio su questa fugace persistenza che si regge la possibilità della visione dinamica dei film. Puntare più a lungo la pupilla su una luce potente, come quella solare, acceca. A questa sfida, in chiave simbolica, ci spinge quello straordinario scrittore francese che è stato Albert Camus. Nonostante la sua vita limitata, stroncata nel 1960 da un incidente a 47 anni, egli ha saputo spingere la folla dei suoi lettori a fissare lo sguardo su una serie di stelle nere, che trapuntano con un ossimoro il cielo dell’esistenza umana. In particolare, ha costretto il suo lettore a non girare altrove la faccia davanti al dolore innocente, all’assurdo della storia, al male di vivere e, appunto, alla morte. Già Platone sottolineava che «gli amanti della sapienza si interessano con passione del morire».

È paradossale: lo schermo televisivo è un incessante flusso di guerre, incidenti, delitti con relativi cadaveri; eppure parlare e pensare a questa ospite, il cui arrivo è certo per tutti, è un esercizio esorcizzato. Il filosofo inglese Francesco Bacone, vissuto a cavallo tra il Cinque e il Seicento, nei suoi Saggi osservava che «gli uomini temono la morte come i bambini hanno paura del buio e questo terrore è alimentato da favole e banalità». La metafora è antitetica a quella di Camus perché ora di scena è la tenebra, ma l’esito è lo stesso: evitare e ignorare quell’intrusa che, però, anche mentre tu leggi, sta bussando a qualche porta della tua città. E non schiverà, certo, in futuro la tua soglia di casa. Allora vale quello che scriveva un altro pensatore, Erich Fromm: «Morire è tremendo, ma l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile».

(Fonte:  “Il Sole 24 Ore - Domenica” - 2 novembre 2025)



martedì 4 novembre 2025

Leone XIV nella messa in suffragio di Papa Francesco e dei cardinali e vescovi defunti nell’anno: «Non siamo tristi come chi è senza speranza» (cronaca/commento, testi e video)

SANTA MESSA IN SUFFRAGIO DEL DEFUNTO ROMANO PONTEFICE FRANCESCO
E DEI CARDINALI E VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO
CAPPELLA PAPALE
Basilica di San Pietro
Lunedì, 3 novembre 2025

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Leone XIV nella messa in suffragio di Papa Francesco e dei cardinali e vescovi defunti nell’anno

«Non siamo tristi
come chi è senza speranza»


«L’amato Papa Francesco e i fratelli Cardinali e Vescovi per i quali oggi offriamo il Sacrificio eucaristico... il Signore li ha chiamati e li ha costituiti quali pastori nella sua Chiesa». Leone XIV ha ricordato con queste parole il Pontefice argentino morto il Lunedì dell’Angelo lo scorso 21 aprile e i porporati e i presuli defunti nel corso dell’ultimo anno, nella messa di suffragio presieduta, lunedì 3 novembre, all’Altare della Cattedra della basilica Vaticana. 
Otto i cardinali deceduti tra ottobre 2024 e il mese appena concluso — Renato Raffaele Martino, il comboniano Miguel Ángel Ayuso Guixot, il salesiano Angelo Amato, il cappuccino Luis Pascual Dri, André Armand Vingt-Trois, Estanislao Esteban Karlic, Lucian Mureşan ed Edoardo Menichelli — e 134 tra arcivescovi e vescovi. Alla celebrazione erano presenti diversi presuli e cardinali, tra cui Giovanni Battista Re e Leonardo Sandri, decano e vicedecano del collegio, che si sono accostati all’altare al momento della preghiera eucaristica. Hanno concelebrato, tra gli altri, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e Luciano Russo, segretario della Sezione per il personale di ruolo diplomatico della Segreteria di Stato. Con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede erano l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto, e monsignor Javier Domingo Fernández González, capo del Protocollo. La prima lettura, in francese, è stata tratta dal Libro del profeta Daniele (12, 1-3); la seconda, in inglese, dalla prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi (4, 13-18). Dopo la recita del Salmo 41-42, «L’anima mia ha sete del Dio vivente», è stato letto il Vangelo di Luca (24, 13-35). Durante la preghiera dei fedeli, sono state elevate tra le altre intenzioni per la riconciliazione di quanti sono segnati da odio, violenza e guerra, e per la misericordia verso quanti hanno scoperto l’amore di Dio solo in punto di morte. Il rito si è concluso con il canto dell’antifona mariana «Sub tuum praesidium» intonata dai cantori del coro della Cappella Sistina, che hanno animato l’intera liturgia, diretta dall’arcivescovo Diego Ravelli, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie. 
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 03/11/2025)

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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV


Carissimi fratelli Cardinali e Vescovi,
cari fratelli e sorelle!

Oggi rinnoviamo la bella consuetudine, in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, di celebrare l’Eucaristia in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che ci hanno lasciato durante l’anno appena trascorso, e con grande affetto la offriamo per l’anima eletta di Papa Francesco, che è deceduto dopo aver aperto la Porta Santa e impartito a Roma e al mondo la Benedizione pasquale. Grazie al Giubileo tale celebrazione – per me la prima – acquista un sapore caratteristico: il sapore della speranza cristiana.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci illumina. Anzitutto lo fa con una grande icona biblica che, potremmo dire, riassume il senso di tutto questo Anno Santo: il racconto lucano dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). In esso si trova plasticamente rappresentato il pellegrinaggio della speranza, che passa attraverso l’incontro con Cristo risorto. Il punto di partenza è l’esperienza della morte, e nella sua forma peggiore: la morte violenta che uccide l’innocente e così lascia sfiduciati, scoraggiati, disperati. Quante persone – quanti “piccoli”! – anche ai nostri giorni subiscono il trauma di questa morte spaventosa perché sfigurata dal peccato. Per questa morte non possiamo e non dobbiamo dire “laudato si’”, perché Dio Padre non la vuole, e ha mandato il proprio Figlio nel mondo per liberarcene. È scritto: il Cristo doveva patire queste sofferenze per entrare nella sua gloria (cfr Lc 24,26) e donarci la vita eterna. Lui solo può portare su di sé e dentro di sé questa morte corrotta senza esserne corrotto. Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68) – trepidanti lo confessiamo qui vicino al Sepolcro di San Pietro – e queste parole hanno il potere di far ardere nuovamente la fede e la speranza nei nostri cuori (cfr v. 32).

Quando Gesù prende il pane tra le sue mani che erano state inchiodate alla croce, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo offre, gli occhi dei discepoli si aprono, nei loro cuori sboccia la fede e, con la fede, una speranza nuova. Sì! Non è più la speranza che avevano prima e che avevano perduto. È una realtà nuova, un dono, una grazia del Risorto: è la speranza pasquale.

Come la vita di Gesù risorto non è più quella di prima, ma è assolutamente nuova, creata dal Padre con la potenza dello Spirito, così la speranza del cristiano non è la speranza umana, non è né quella dei greci né quella dei giudei, non si basa sulla sapienza dei filosofi né sulla giustizia che deriva dalla legge, ma solo e totalmente sul fatto che il Crocifisso è risorto ed è apparso a Simone (cfr Lc 24,34), alle donne e agli altri discepoli. È una speranza che non guarda all’orizzonte terreno, ma oltre, guarda a Dio, a quell’altezza e profondità da dove è sorto il Sole venuto a rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte (cfr Lc 1,78-79).

Allora sì, possiamo cantare: «Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale». [1] L’amore di Cristo crocifisso e risorto ha trasfigurato la morte: da nemica l’ha fatta sorella, l’ha ammansita. E di fronte ad essa noi «non siamo tristi come gli altri che non hanno speranza» ( 1 Ts 4,13). Siamo addolorati, certo, quando una persona cara ci lascia. Siamo scandalizzati quando un essere umano, specialmente un bambino, un “piccolo”, un fragile viene strappato via da una malattia o, peggio, dalla violenza degli uomini. Come cristiani siamo chiamati a portare con Cristo il peso di queste croci. Ma non siamo tristi come chi è senza speranza, perché anche la morte più tragica non può impedire al nostro Signore di accogliere tra le sue braccia la nostra anima e di trasformare il nostro corpo mortale, anche il più sfigurato, ad immagine del suo corpo glorioso (cfr Fil 3,21).

Per questo, i luoghi di sepoltura, i cristiani non li chiamano “necropoli”, cioè “città dei morti”, ma “cimiteri”, che significa letteralmente “dormitori”, luoghi dove si riposa, in attesa della risurrezione. Come profetizza il salmista: «In pace mi corico e subito mi addormento, / perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare» (Sal 4,9).

Carissimi, l’amato Papa Francesco e i fratelli Cardinali e Vescovi per i quali oggi offriamo il Sacrificio eucaristico, questa speranza nuova, pasquale, l’hanno vissuta, testimoniata e insegnata. Il Signore li ha chiamati e li ha costituiti quali pastori nella sua Chiesa, e col loro ministero essi – per usare il linguaggio del Libro di Daniele – hanno “indotto molti alla giustizia” (cfr Dn 12,3), cioè li hanno guidati sulla via del Vangelo con la saggezza che viene da Cristo, il quale è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione (cfr 1Cor 1,30). Possano le loro anime essere lavate da ogni macchia ed essi risplendere come stelle nel cielo (cfr v. 3). E a noi, ancora pellegrini sulla terra, giunga nel silenzio della preghiera il loro spirituale incoraggiamento: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio» (Sal 42,6.12).

[1] S. Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole.

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Il Papa a Santa Maria Maggiore 
per pregare alla tomba di Francesco

Sulla strada verso Castel Gandolfo, Leone XIV ha voluto fermarsi nella Basilica liberiana e rendere omaggio al predecessore. In mattinata il Pontefice aveva celebrato una Messa in suffragio del Papa argentino e dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell'anno

Papa Leone XIV depone dei fiori sulla tomba di Papa Francesco

Prima di recarsi a Castel Gandolfo, per la ormai consueta giornata di riposo settimanale, Papa Leone XIV ha voluto fermarsi intorno alle 20.05 di questa sera nella Basilica di Santa Maria Maggiore per pregare davanti alla tomba di Papa Francesco. Sul marmo - dove è sempre presente una rosa bianca, in ricordo di Santa Teresina, presenza costante nella vita di Jorge Mario Bergoglio - Papa Leone si è inginocchiato e ha deposto un mazzo di rose bianche. Un omaggio, dunque, al predecessore sepolto tra la Cappella Sforza e la Cappella Paolina, quella che ospita l'icona della Salus Populi Romani tante volte visitata dal Pontefice argentino, prima e dopo ogni viaggio internazionale o ricovero ospedaliero.

Dinanzi all'icona mariana, anche Papa Leone si è fermato questa sera a pregare - come informa la Sala Stampa della Santa Sede - per poi lasciare Santa Maria Maggiore intorno alle 20.15 e proseguire la strada verso Castel Gandolfo.

Papa Leone XIV alla tomba di Papa Francesco

La Messa in suffragio di Francesco

Proprio la mattina Leone XIV aveva celebrato all'Altare della Cattedra della Basilica vaticana la Messa in suffragio di Francesco e dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell'ultimo anno. Con "grande affetto" il Papa ha offerto la Messa a Francesco che, ha detto nell'omelia, "è deceduto dopo aver aperto la Porta Santa e impartito a Roma e al mondo la Benedizione pasquale. Grazie al Giubileo tale celebrazione – per me la prima – acquista un sapore caratteristico: il sapore della speranza cristiana". Questa speranza, ha sottolineato il Pontefice in un altro passaggio della sua riflessione, Papa Francesco e gli altri porporati e presuli scomparsi in questi mesi "l’hanno vissuta, testimoniata e insegnata".

Le altre visite alla tomba a Santa Maria Maggiore

Già il 10 maggio scorso, due giorni dopo la sua elezione sul Soglio di Pietro, Papa Leone - di ritorno quel giorno dal Santuario di Genazzano - si era recato alla tomba con la scritta "Franciscus", visitata ogni giorno da numerosi fedeli e pellegrini. Quel pomeriggio il Papa neo eletto aveva deposto dei fiori sulla lapide e sostato alcuni istanti in preghiera. Lo stesso aveva fatto poi il 22 giugno, dopo la processione per la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo da San Giovanni in Laterano alla Basilica liberiana.

La preghiera davanti all'icona della Salus Populi Romani
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 03/11/2025)

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COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI SANTA MESSA AL CIMITERO DEL VERANO 02/11/2025 - Papa Leone XIV: “La carità vince la morte” (cronaca/commento, foto, testo e video)


COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI
SANTA MESSA
Cimitero del Verano, Roma
Domenica, 2 novembre 2025


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Papa Leone XIV: “La carità vince la morte”

Papa Leone XIV alla Celebrazione di oggi | Papa Leone XIV durante la Celebrazione di oggi | Credit Vatican Media

E' la prima Santa Messa per la Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti che papa Leone XIV celebra oggi. E' al Cimitero monumentale del Verano.

Il pontefice arriva un poco prima della Celebrazione cominciata alle 16,05 e depone, in maniera simbolica, presso un'anonima tomba un mazzo di rose bianche, raccolte in una carta semplice, bianca anch'essa. Il cielo è bigio. Il palco per la Celebrazione è posto all'interno del cimitero poco dopo l'ingresso principale del Verano: crisantemi bianchi e gialli, e qualche sterlizia color arancio, adornano il palco-altare. C'è molto silenzio tra i fedeli che attendono la Celebrazione. Un silenzio interrotto soltanto dal suono di alcune campane che suonano “a morto”.

La Liturgia è quella del giorno: La Prima Lettura è tratta dal libro del profeta Isaìa. Il salmo è il 24. La Seconda, dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,14-23). Il Vangelo è quello secondo Matteo (Mt 25,31-46): “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.


 Il piazzale dell'ingresso del Cimitero monumentale del Verano | Il piazzale dell'ingresso del Cimitero monumentale del Verano | Credit Vatican Media

"Ci siamo radunati in questo luogo per celebrare la commemorazione di tutti i fedeli defunti, in particolare di quanti sono qui sepolti e, con speciale affetto, dei nostri cari. Nel giorno della morte essi ci hanno lasciato, ma li portiamo sempre con noi nella memoria del cuore. E ogni giorno, in tutto ciò che viviamo, questa memoria è viva": queste le parole d'esordio dell'omelia che papa Leone XIV ha tenuto dopo il Vangelo di oggi.

Entra nella psicologia del ricordo, il pontefice: "Spesso c'è qualcosa che ci rimanda a loro, immagini che ci riportano a quanto abbiamo vissuto con loro. Tanti luoghi, perfino i profumi delle nostre case ci parlano di coloro che abbiamo amato e non sono più tra noi, e tengono acceso il loro ricordo" continua papa Leone XIV. L'attenzione, poi, si sposta sulla fede cristiana, “fondata sulla Pasqua di Cristo” che ci aiuta “a vivere la memoria, oltre che come un ricordo passato, anche e soprattutto come una futura speranza” afferma il papa. E precisa che tutto ciò “non è tanto un volgersi indietro, ma piuttosto un guardare avanti, verso la mèta del nostro cammino, verso il porto sicuro che Dio ci ha promesso, verso la festa senza fine che ci attende”. In questo “luogo”, lì, papa Leone XIV avrà “il Signore Risorto” assieme “ai nostri cari” e “gusteremo la gioia del banchetto eterno”.

Fa riferimento, quindi, alla lettura della Liturgia di oggi, quella del Profeta Isaia: "In quel giorno preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande. [...] Eliminerà la morte per sempre". E' questa la speranza cristiana: "non è un'illusione che serve a placare il dolore per la separazione dalle persone amate, né un semplice ottimismo umano. È la speranza fondata sulla risurrezione di Gesù, che ha vinto la morte e ha aperto anche per noi il passaggio verso la pienezza della vita" ricorda il pontefice.

Con forza, papa Leone XIV ribadisce che nella fede cristiana il “Risorto garantisce l'approdo, ci conduce a casa, dove siamo attesi, amati, salvati”. Sarà un incontro d'amore, per il pontefice, perché “per amore Dio ci ha creati, nell'amore del Figlio suo ci salva dalla morte, nella gioia dell'amore con Lui e con i nostri cari vuole farci vivere per sempre”. E ancora di amore parla: “Proprio per questo, noi camminiamo verso la méta e la anticipiamo, in un legame invincibile con coloro che ci hanno preceduto, solo quando viviamo nell'amore e pratichiamo l'amore gli uni verso gli altri, in particolar verso i più fragili ei più poveri”. Ed è a questo punto che l'attenzione dell'omelia si concentra tutta sulla carità che "vince la morte" in quanto " nella carità Dio ci radunerà insieme ai nostri cari. E, se camminiamo nella carità, la nostra vita diventa una preghiera che si eleva e ci unisce ai defunti, ci avvicina a loro, nell'attesa di incontrarli nuovamente nella gioia dell'eternità".

Il Signore - ricorda papa Leone XIV - ci attende nella sua Luce: "Egli ci attende e, quando lo incontreremo, al termine di questa vita terrena, gioieremo con Lui e con i nostri cari che ci hanno preceduto. Questa promessa ci sostenga, asciughi le nostre lacrime, volga il nostro sguardo in avanti, verso quella speranza futura che non viene meno".
(fonte: ACI Stampa, articolo di Antonio Tarallo 02/11/2025)

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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV


Cari fratelli e sorelle,

ci siamo radunati in questo luogo per celebrare la commemorazione di tutti i fedeli defunti, in particolare di quanti sono qui sepolti e, con speciale affetto, dei nostri cari. Nel giorno della morte essi ci hanno lasciato, ma li portiamo sempre con noi nella memoria del cuore. E ogni giorno, in tutto ciò che viviamo, questa memoria è viva. Spesso c’è qualcosa che ci rimanda a loro, immagini che ci riportano a quanto abbiamo vissuto con loro. Tanti luoghi, perfino i profumi delle nostre case ci parlano di coloro che abbiamo amato e non sono più tra noi, e tengono acceso il loro ricordo.

Oggi, però, non siamo qui soltanto per commemorare quanti sono passati da questo mondo. La fede cristiana, fondata sulla Pasqua di Cristo, ci aiuta infatti a vivere la memoria, oltre che come un ricordo passato, anche e soprattutto come una speranza futura. Non è tanto un volgersi indietro, ma piuttosto un guardare avanti, verso la mèta del nostro cammino, verso il porto sicuro che Dio ci ha promesso, verso la festa senza fine che ci attende. Là, attorno al Signore Risorto e ai nostri cari, gusteremo la gioia del banchetto eterno: «In quel giorno – abbiamo ascoltato nella Lettura del profeta Isaia – preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande. […] Eliminerà la morte per sempre» (Is 25,6.8).

Questa “speranza futura” anima il nostro ricordo e la nostra preghiera in questo giorno. Non è un’illusione che serve a placare il dolore per la separazione dalle persone amate, né un semplice ottimismo umano. È la speranza fondata sulla risurrezione di Gesù, che ha sconfitto la morte e ha aperto anche per noi il passaggio verso la pienezza della vita. Egli – come ricordavo in una recente catechesi – è «il punto di arrivo del nostro andare. Senza il suo amore, il viaggio della vita diventerebbe un errare senza meta, un tragico errore con una destinazione mancata. […] Il Risorto garantisce l’approdo, ci conduce a casa, dove siamo attesi, amati, salvati» (Udienza generale, 15 ottobre 2025).

E questo approdo finale, il banchetto attorno a cui il Signore ci radunerà, sarà un incontro d’amore. Per amore Dio ci ha creati, nell’amore del Figlio suo ci salva dalla morte, nella gioia dell’amore con Lui e con i nostri cari vuole farci vivere per sempre. Proprio per questo, noi camminiamo verso la méta e la anticipiamo, in un legame invincibile con coloro che ci hanno preceduto, solo quando viviamo nell’amore e pratichiamo l’amore gli uni verso gli altri, in particolare verso i più fragili e i più poveri. Gesù ci invita infatti con queste parole: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36).

La carità vince la morte. Nella carità Dio ci radunerà insieme ai nostri cari. E, se camminiamo nella carità, la nostra vita diventa una preghiera che si eleva e ci unisce ai defunti, ci avvicina a loro, nell’attesa di incontrarli nuovamente nella gioia dell’eternità.

Cari fratelli e sorelle, mentre il dolore dell’assenza di chi non è più tra di noi rimane impresso nel nostro cuore, affidiamoci alla speranza che non delude (Rm 5,5); guardiamo al Cristo Risorto e pensiamo ai nostri cari defunti come avvolti dalla sua luce; lasciamo risuonare in noi la promessa di vita eterna che il Signore ci rivolge. Egli eliminerà la morte per sempre. Egli l’ha sconfitta per sempre aprendo un passaggio di vita eterna – cioè facendo Pasqua – nel tunnel della morte, perché, uniti a Lui, anche poi possiamo entrarvi e attraversarlo.

Egli ci attende e, quando lo incontreremo, al termine di questa vita terrena, gioieremo con Lui e con i nostri cari che ci hanno preceduto. Questa promessa ci sostenga, asciughi le nostre lacrime, volga il nostro sguardo in avanti, verso quella speranza futura che non viene meno.

Guarda il video integrale della celebrazione


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La preghiera dell'Eterno Riposo conclude la celebrazione, quando già il buio cala sui cipressi del Verano. Il Papa benedice tutti i presenti: chi inchinato; chi in piedi a immortalare il momento sullo smartphone; chi, con i fiori in mano, pronto a recarsi alle tombe dei propri cari.

Guarda il video

Rientrato in Vaticano, Leone XIV si è recato nelle Grotte della Basilica vaticana per un momento di preghiera privata per i Pontefici defunti.




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COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI - ANGELUS 02/11/2025 Leone XIV: con Dio la speranza che “nessuno andrà perduto” (Commento/sintesi, testo e video)

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Piazza San Pietro
XXXI Domenica del Tempo Ordinario, 2 novembre 2025

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Leone XIV: con Dio la speranza che “nessuno andrà perduto”

Nel giorno dedicato alla Commemorazione dei fedeli defunti, il Papa rammenta nell’Angelus in Piazza San Pietro che la voce di Gesù “viene dal futuro” e “libera dal senso di impotenza con cui rischiamo di rinunciare alla vita”. L’invito a custodire la memoria come promessa di eternità: il ricordo restituisce “infinita dignità” a “chi la storia sembra avere cancellato”

Un primo piano del Papa sorridente (@Vatican Media)

"Nessuno andrà perduto": un messaggio di speranza, che scaturisce dall'annuncio della risurrezione, dalla fiducia che Dio non dimentica nessuno dei suoi amati figli. Chiamati uno a uno "per nome" dalla voce di Gesù, una voce che "viene dal futuro" e libera dal senso di impotenza "con cui rischiamo di rinunciare alla vita".

Domenica 2 novembre, nella giornata dedicata alla Commemorazione di tutti i fedeli defunti, le parole di Leone XIV si diffondono con una rassicurazione e una chiamata a sospendere il rumore quotidiano per ricordare chi non è più fisicamente presente su questa terra. Dalla finestra del Palazzo Apostolico vaticano, nella catechesi dell’Angelus il Papa si rivolge ai numerosi fedeli presenti in Piazza San Pietro, auspicando che "la visita al cimitero, in cui il silenzio interrompe la frenesia del fare, sia dunque per tutti noi un invito alla memoria e all’attesa". Il tempo meteorologico incerto acuisce la nostalgia, ciascuno ha un caro defunto che vorrebbe riabbracciare, qualcuno da tenere stretto in una promessa di eternità.

Fedeli in piazza San Pietro (@Vatican Media)

La voce di Gesù arriva dal futuro

Un dolore, però, quello del distacco, che per un cattolico è solo temporaneo, nella consapevolezza del ritorno alla vita. "Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà", il Papa ripete le parole del Credo. E aggiunge:

Commemoriamo, dunque, il futuro. Non siamo chiusi nel passato, nelle lacrime della nostalgia. Nemmeno siamo sigillati nel presente, come in un sepolcro. La voce familiare di Gesù ci raggiunga, e raggiunga tutti, perché è la sola che viene dal futuro.

Una voce arriva da un tempo ancora da realizzarsi, è quella di Gesù, che dalla certezza della risurrezione “ci chiama per nome, ci prepara un posto, ci libera dal senso di impotenza con cui rischiamo di rinunciare alla vita”.

Nessuno sia perso per sempre

Una prospettiva, la sconfitta della morte, che in questi giorni di inizio novembre “illumina il destino di ognuno di noi”, prosegue il Pontefice, ricordando quanto affermato da Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”.

È chiaro il centro delle preoccupazioni di Dio: che nessuno sia perso per sempre, che ciascuno abbia il suo posto e brilli nella sua unicità.

Leone XIV affacciato dalla finestra del Palazzo apostolico vaticano (@Vatican Media)

Ogni persona è un mondo intero

Si tratta del mistero celebrato ieri nella Solennità di tutti i Santi, una “comunione delle differenze” che “allarga la vita di Dio a tutte le figlie e i figli che hanno desiderato farne parte”, ma anche il desiderio “inscritto nel cuore di ogni essere umano”, che invoca “riconoscimento, attenzione e gioia”.

Con la Commemorazione di tutti i fedeli defunti il mistero è “ancora più vicino”.

La preoccupazione di Dio di non perdere nessuno, infatti, la conosciamo dall’interno ogni volta che la morte sembra farci perdere per sempre una voce, un volto, un mondo intero. Ogni persona, infatti, è un mondo intero.

La memoria restituisce dignità

Quella di oggi, rimarca Papa Leone, “è una giornata che sfida la memoria umana, così preziosa e così fragile”. Senza memoria della vita, morte e risurrezione di Gesù, continua, “l’immenso tesoro di ogni vita è esposto alla dimenticanza”. Nella memoria viva di Gesù, invece, appare nella sua “infinita dignità” persino chi non viene ricordato da nessuno e anche “chi la storia sembra avere cancellato”.

Ancora una volta, la pietra scartata diviene pietra angolare. “Ecco l’annuncio pasquale”, il motivo per cui “i cristiani ricordano da sempre i defunti in ogni Eucaristia, e fino ad oggi chiedono che i loro cari siano menzionati nella preghiera eucaristica”.

Da quell’annuncio sorge la speranza che nessuno andrà perduto.

Folla in piazza per Papa Leone XIV (@Vatican Media)
(fonte: Vatican News, articolo di Lorena Leonardi 02/11/2025)


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PAPA LEONE XIV
ANGELUS


Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

La risurrezione dai morti di Gesù, il Crocifisso, in questi giorni di inizio novembre illumina il destino di ognuno di noi. È Lui stesso ad avercelo detto: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39). Così, è chiaro il centro delle preoccupazioni di Dio: che nessuno sia perso per sempre, che ciascuno abbia il suo posto e brilli nella sua unicità.

È il mistero che ieri abbiamo celebrato nella Solennità di tutti i Santi: una comunione delle differenze che, per così dire, allarga la vita di Dio a tutte le figlie e i figli che hanno desiderato farne parte. È il desiderio inscritto nel cuore di ogni essere umano, che invoca riconoscimento, attenzione e gioia. Come ha scritto Papa Benedetto XVI, l’espressione “vita eterna” vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo (cfr Lett. enc. Spe salvi, 12).

Così, la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci porta il mistero ancora più vicino. La preoccupazione di Dio di non perdere nessuno, infatti, la conosciamo dall’interno ogni volta che la morte sembra farci perdere per sempre una voce, un volto, un mondo intero. Ogni persona, infatti, è un mondo intero. Quella di oggi, dunque, è una giornata che sfida la memoria umana, così preziosa e così fragile. Senza memoria di Gesù – della sua vita, morte e risurrezione – l’immenso tesoro di ogni vita è esposto alla dimenticanza. Nella memoria viva di Gesù, invece, persino chi nessuno ricorda, anche chi la storia sembra avere cancellato, appare nella sua infinita dignità. Gesù, la pietra che i costruttori hanno scartato, ora è pietra angolare (cfr At 4,11). Ecco l’annuncio pasquale. Per questo i cristiani ricordano da sempre i defunti in ogni Eucaristia, e fino ad oggi chiedono che i loro cari siano menzionati nella preghiera eucaristica. Da quell’annuncio sorge la speranza che nessuno andrà perduto.

La visita al cimitero, in cui il silenzio interrompe la frenesia del fare, sia dunque per tutti noi un invito alla memoria e all’attesa. «Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà», diciamo nel Credo. Commemoriamo, dunque, il futuro. Non siamo chiusi nel passato, nelle lacrime della nostalgia. Nemmeno siamo sigillati nel presente, come in un sepolcro. La voce familiare di Gesù ci raggiunga, e raggiunga tutti, perché è la sola che viene dal futuro. Ci chiama per nome, ci prepara un posto, ci libera dal senso di impotenza con cui rischiamo di rinunciare alla vita. Maria, donna del sabato santo, ci insegni ancora a sperare.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Con grande dolore seguo le tragiche notizie che giungono dal Sudan, in particolare dalla città di El Fasher, nel martoriato Darfur settentrionale. Violenze indiscriminate contro donne e bambini, attacchi ai civili inermi e gravi ostacoli all’azione umanitaria stanno causando sofferenze inaccettabili a una popolazione già stremata da lunghi mesi di conflitto. Preghiamo affinché il Signore accolga i defunti, sostenga i sofferenti e tocchi i cuori dei responsabili. Rinnovo un accorato appello alle parti coinvolte per un cessate-il-fuoco e l’apertura urgente di corridoi umanitari. Invito, infine, la comunità internazionale a intervenire con decisione e generosità, per offrire assistenza e sostenere quanti si prodigano nel portare soccorso.

Preghiamo anche per la Tanzania, dove, dopo le recenti elezioni politiche, sono scoppiati scontri con numerose vittime. Invito tutti a evitare ogni forma di violenza e a percorrere la via del dialogo.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare i rappresentanti del gruppo PeaceMed, provenienti da diversi Paesi del Mediterraneo, il Collegio “São Tomás” di Lisbona, le Suore Operaie di Brescia con la compagnia teatrale “Uno di noi”, i fedeli di Manerbio, le insegnanti dell’Istituto “Aurora” di Cernusco sul Naviglio e i giovani di Rivarolo.

Questo pomeriggio, nel cimitero del Verano, celebrerò l’Eucaristia in suffragio di tutti i defunti. Spiritualmente mi recherò presso le tombe dei miei cari; come pure pregherò per i morti che nessuno ricorda. Ma il nostro Padre celeste ci conosce e ci ama uno per uno e non dimentica nessuno!

A tutti, buona domenica nel ricordo cristiano dei nostri defunti.

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4 NOVEMBRE: La fine di ” una inutile strage” - Comunicato Stampa di Pax CHristi

4 NOVEMBRE: 
La fine di ” una inutile strage” 
Comunicato Stampa di Pax Christi



Comunicato Stampa di Pax Christi Italia

No! Il 4 novembre non è la nostra festa. Non celebriamo una guerra. Tanto meno lo vogliamo fare oggi quando la pace è invocata a voce ma vilipesa nei fatti con l’ONU resa volutamente sempre più impotente, con il diritto internazionale sempre più tradito, il multilateralismo stracciato dalla “legge del più forte” sempre più ostentata e praticata. In quest’ultimo travagliato scorcio del 2025, le donne, gli uomini, i frati, le suore, i preti, i vescovi di Pax Christi scelgono con tono mite ma fermo di far risuonare nuovamente quel grido (« Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità…») che 80 anni fa, il 26 giugno 1945, persone sagge vollero all’inizio della Magna Charta dell’ONU. E per impedire a tutti, a noi per primi, di rifugiarsi nella vuota retorica chiediamo:perché l’Italia, pur aderendo al Trattato di non proliferazione nucleare dal 1975. non ha ancora firmato il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari del 2017?
perché si sta facendo di tutto per rendere sempre più opaca e inconcludente la legge 185 del 1990 che regola il commercio di armi italiane, mettendo qualche paletto invalicabile che si vuole rimuovere (e intanto, come certifica l’autorevole Istituto di ricerche sulla pace di Stoccolma, il Sipri, tra il 2020 e il 2024 il nostro Paese è diventato sesto esportatore di materiale d’armamento dopo Usa, Francia, Russia, Cina e Germania, superando il Regno Unito)?
Perché l’Italia continua la folle corsa al riarmo? Secondo la Legge di Bilancio, il Ministero della Difesa disporrà nel 2026 di 32,4 miliardi di euro, oltre 1,1 miliardi in più rispetto al 2025 (fonte www.milex.org), in linea con gli impegni NATO, ma in contrasto con la lettera e lo spirito della nostra Costituzione e dei principi fondanti l’Onu e l’Europa unita.

Non stupisca dunque il nostro esprimere dissenso il 4 novembre. Non taciamo proprio perché ci sta a cuore la vita di tutti, proprio perché tentiamo faticosamente, insieme a tanti altri, di costruire una civiltà dell’amore che non si divida più in amici-nemici, che non sia più separata da muri, che non sia più affamata da un’economia selvaggia.

No! Il 4 novembre non è la nostra festa.

Quando si ricordano le stragi di mafia, si fa memoria delle vittime, ma non si celebra la mafia.

Quando si ricordano i morti della Prima guerra mondiale, ‘inutile strage’ come la definì papa Benedetto XV il 1 agosto 1917, si dovrebbe far memoria delle vittime, ma non celebrare la guerra.

In quella guerra persero la vita più di 11 milioni di militari, oltre 21 milioni i feriti. quasi 8 milioni i dispersi e 7 milioni i morti tra i civili. Solo tra gli italiani ci furono circa 650.000 morti e, con le vittime civili, si arriva a circa 1.240.000.

L’unico aspetto positivo è la fine di una guerra, di una strage. Non c’è nessuna vittoria da celebrare.

E oggi respiriamo un clima di guerra sempre più forte e asfissiante! Sempre più soldi per le armi! Miliardi di euro per preparare nuove guerre. Come ha detto il ministro Crosetto il 24 ottobre scorso a Torino durante l’inaugurazione dell’anno accademico degli istituti di formazione dell’Esercito: “ Vedo una follia dilagante nel mondo. E voi, che un giorno avrete responsabilità di comando su altri uomini e donne, dovrete essere pronti ad interpretare tutti i cambiamenti e a difendere il Paese. L’Italia, secondo me, non entrerà mai in guerra. Ma un giorno potrebbe essere costretta a difendersi? Sì, è uno degli scenari possibili, non riesco a dire di no. Per questo dovete essere pronti a quello che accadrà. Fa parte del vostro dovere”.

Siamo fortemente preoccupati per il futuro della Palestina, tuttora sotto occupazione israeliana: E davanti a molte altre guerre più o meno dimenticate, crediamo che la sicurezza dei popoli non coincida con il riarmo, bensì con il riconoscimento dei diritti essenziali delle persone e dei popoli stessi. Più armi non garantiscono pace, ma più guerre. Come abbiamo sempre fatto, continueremo a denunciare la follia del riarmo: per il 2026 la spesa militare italiana è destinata a crescere.

La Prima guerra mondiale fu una sciagurata carneficina sostenuta dalla propaganda bellicista del nazionalismo interventista che prevalse sulla volontà del Paese.

Non possiamo accettare che ancora oggi la propaganda di guerra abbia il sopravvento sul buon senso e sulla coscienza delle persone.

Non possiamo accettare un clima di guerra. Un’economia di guerra. Una cultura di guerra. Una scuola sempre più ‘militarizzata’. Ne è la conferma la decisione del Ministero dell’Istruzione e del Merito di vietare al Cestes il convegno di formazione per docenti “La scuola non si arruola”, oscurandolo dalla piattaforma ministeriale Sofia e ordinando ai dirigenti scolastici di non concedere il permesso di partecipazione. Affermando che il rifiuto della guerra non sarebbe un tema “coerente” con le finalità della formazione dei docenti. Ci sembra una cosa gravissima!

Siamo con Papa Leone che al Colosseo la scorsa settimana ha invocato con fermezza: “ Basta! È il grido dei poveri e il grido della terra. Basta! Signore, ascolta il nostro grido!”. E ricordiamo le parole, tragicamente attuali, di Papa Francesco al Sacrario di Redipuglia, il 13 settembre 2014: “ Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”

Sì, gli interessi che muovono la guerra e l’industria delle armi sono enormi.

Per questo invitiamo oggi ad una coscienza dell’obiezione. Per dire no ad ogni guerra e alla sua preparazione. Oggi più che mai abbiamo il dovere di obiettare alla guerra.

Preghiamo per tutti i morti a causa delle guerre. E, ripensando alla Prima guerra mondiale, ricordiamo anche le migliaia di militari ammutinati e disertori passati per le armi sul posto, senza regolare processo. I renitenti alla leva e i disertori (870 mila) furono così numerosi da rendere necessaria un’amnistia, promulgata nel 1919 dal Presidente del Consiglio.

Ricordando gli obiettori di ieri e di oggi, continuiamo il nostro impegno per rifiutare la guerra e gridare la speranza.

Firenze, 3 novembre 2025 – Pax Christi Italia

lunedì 3 novembre 2025

1° novembre 2025 GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO SANTA MESSA E PROCLAMAZIONE A «DOTTORE DELLA CHIESA» DI SAN JOHN HENRY NEWMAN - LEONE XIV: Formare persone che brillino come stelle - OMELIA e ANGELUS


Leone XIV nella solennità di Tutti i santi e per la commemorazione dei fedeli defunti
La Celebrazione eucaristica per il Giubileo del mondo educativo

Formare persone
che brillino come stelle


John Henry Newman proclamato Dottore della Chiesa

«In questa Solennità di Tutti i Santi, è una grande gioia inscrivere San John Henry Newman fra i Dottori della Chiesa e, al tempo stesso, in occasione del Giubileo del Mondo Educativo, nominarlo co-patrono, insieme a San Tommaso d’Aquino, di tutti i soggetti che partecipano al processo educativo». Con queste parole Leone XIV ha riassunto all’omelia il significato della messa celebrata la mattina del 1° novembre in piazza San Pietro. Alla presenza di cinquantamila fedeli e di una delegazione ufficiale della Chiesa d’Inghilterra, di cui il santo cardinale faceva parte prima della conversione al cattolicesimo, il Papa all’omelia ha rimarcato come sia «compito dell’educazione offrire» quella che Newman nel noto inno Lead, kindly light definì “Luce Gentile” a quanti «altrimenti potrebbero rimanere imprigionati dalle ombre particolarmente insidiose del pessimismo e della paura». Da qui l’invito soprattutto ad accademici, docenti e studenti a disarmare «le false ragioni della rassegnazione e dell’impotenza», facendo «circolare nel mondo contemporaneo le grandi ragioni della speranza», la quale è il tema di questo Anno Santo. «Contempliamo e indichiamo costellazioni che trasmettano luce e orientamento in questo presente oscurato da tante ingiustizie e incertezze», ha proseguito il Pontefice, incoraggiando «a fare delle scuole, delle università e di ogni realtà educativa, anche informale e di strada, come le soglie di una civiltà di dialogo e di pace».

E sempre attualizzando il messaggio del nuovo Dottore della Chiesa, Leone XIV ha evidenziato come «al centro dei percorsi educativi» debbano «esserci non individui astratti, ma le persone in carne ed ossa, specialmente coloro che sembrano non rendere, secondo i parametri di un’economia che esclude e uccide. Siamo chiamati a formare persone, perché brillino come stelle nella loro piena dignità».

(fonte: L'Osservatore Romano 03/11/2025)

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GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO
CAPPELLA PAPALE

SANTA MESSA
E PROCLAMAZIONE A «DOTTORE DELLA CHIESA» DI SAN JOHN HENRY NEWMAN

Piazza San Pietro
Solennità di Tutti i Santi - Sabato, 1° novembre 2025


 

OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV


In questa Solennità di Tutti i Santi, è una grande gioia inscrivere San John Henry Newman fra i Dottori della Chiesa e, al tempo stesso, in occasione del Giubileo del Mondo Educativo, nominarlo co-patrono, insieme a San Tommaso d’Aquino, di tutti i soggetti che partecipano al processo educativo. L’imponente statura culturale e spirituale di Newman servirà d’ispirazione a nuove generazioni dal cuore assetato d’infinito, disponibili per realizzare, tramite la ricerca e la conoscenza, quel viaggio che, come dicevano gli antichi, ci fa passare per aspera ad astra, cioè attraverso le difficoltà fino alle stelle.

La vita dei santi ci testimonia, infatti, che è possibile vivere appassionatamente in mezzo alla complessità del presente, senza lasciare da parte il mandato apostolico: «Risplendete come astri nel mondo» (Fil 2,15). In questa occasione solenne, desidero ripetere agli educatori e alle istituzioni educative: “Risplendete oggi come astri nel mondo”, grazie all’autenticità del vostro impegno nella ricerca corale della verità, nella sua coerente e generosa condivisione, attraverso il servizio ai giovani, in particolare ai poveri, e nella quotidiana esperienza che «l’amore cristiano è profetico, compie miracoli» (cfr Esort. ap. Dilexi te, 120).

Il Giubileo è un pellegrinaggio nella speranza e voi tutti, nel grande campo dell’educazione, sapete bene quanto la speranza sia una semente indispensabile! Quando penso alle scuole e alle università, le penso come laboratori di profezia, dove la speranza viene vissuta e continuamente raccontata e riproposta.

Questo è anche il senso del Vangelo delle Beatitudini oggi proclamato. Le Beatitudini portano in sé una nuova interpretazione della realtà. Sono il cammino e il messaggio di Gesù educatore. A una prima impressione, pare impossibile dichiarare beati i poveri, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i perseguitati o gli operatori di pace. Ma quello che sembra inconcepibile nella grammatica del mondo, si riempie di senso e di luce nella vicinanza del Regno di Dio. Nei santi noi vediamo questo regno approssimarsi e rendersi attuale fra noi. San Matteo, giustamente, presenta le Beatitudini come un insegnamento, raffigurando Gesù come Maestro che trasmette una visione nuova delle cose e la cui prospettiva coincide col suo cammino. Le Beatitudini, però, non sono un insegnamento in più: sono l’insegnamento per eccellenza. Allo stesso modo, il Signore Gesù non è uno dei tanti maestri, è il Maestro per eccellenza. Di più, è l’Educatore per eccellenza. Noi, suoi discepoli, siamo alla sua scuola, imparando a scoprire nella sua vita, cioè nella via da Lui percorsa, un orizzonte di senso capace d’illuminare tutte le forme di conoscenza. Possano le nostre scuole e università essere sempre luoghi di ascolto e di pratica del Vangelo!

Le sfide attuali, a volte, possono sembrare superiori alle nostre possibilità, ma non è così. Non permettiamo al pessimismo di sconfiggerci! Ricordo quanto ha sottolineato il mio amato Predecessore, Papa Francesco, nel suo discorso alla Prima Assemblea Plenaria del Dicastero per la Cultura e l’Educazione: che cioè dobbiamo lavorare insieme per liberare l’umanità dall’oscurità del nichilismo che la circonda, che è forse la malattia più pericolosa della cultura contemporanea, poiché minaccia di “cancellare” la speranza. [1] Il riferimento all’oscurità che ci circonda ci richiama uno dei testi più noti di San John Henry, l’inno Lead, kindly light (“Guidami, luce gentile”). In quella bellissima preghiera, ci accorgiamo di essere lontani da casa, di avere i piedi vacillanti, di non riuscire a decifrare con chiarezza l’orizzonte. Ma niente di tutto questo ci blocca, perché abbiamo trovato la Guida: «Guidami Tu, Luce gentile, attraverso il buio che mi circonda, sii Tu a condurmi! – Lead, kindly Light. The night is dark and I am far from home. Lead Thou me on!».

È compito dell’educazione offrire questa Luce Gentile a coloro che altrimenti potrebbero rimanere imprigionati dalle ombre particolarmente insidiose del pessimismo e della paura. Per questo vorrei dirvi: disarmiamo le false ragioni della rassegnazione e dell’impotenza, e facciamo circolare nel mondo contemporaneo le grandi ragioni della speranza. Contempliamo e indichiamo costellazioni che trasmettano luce e orientamento in questo presente oscurato da tante ingiustizie e incertezze. Perciò vi incoraggio a fare delle scuole, delle università e di ogni realtà educativa, anche informale e di strada, come le soglie di una civiltà di dialogo e di pace. Attraverso le vostre vite, lasciate trasparire quella «moltitudine immensa», di cui ci parla nella liturgia odierna il Libro dell’Apocalisse, «che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» e che stava «in piedi davanti all’Agnello» (7,9).

Nel testo biblico un anziano, osservando la moltitudine, domanda: «Questi, […] chi sono e da dove vengono?» (Ap 7,13). A tale proposito, anche in ambito educativo, lo sguardo cristiano si posa su «quelli che vengono dalla grande tribolazione» (v. 14) e vi riconosce i volti di tanti fratelli e sorelle di ogni lingua e cultura, che attraverso la porta stretta di Gesù sono entrati nella vita piena. E allora, ancora una volta, dobbiamo domandarci: «I meno dotati non sono persone umane? I deboli non hanno la stessa nostra dignità? Quelli che sono nati con meno possibilità valgono meno come esseri umani, devono solo limitarsi a sopravvivere? Dalla risposta che diamo a queste domande dipende il valore delle nostre società e da essa dipende pure il nostro futuro» (Esort. ap. Dilexi te, 95). E aggiungiamo: da questa risposta dipende anche la qualità evangelica della nostra educazione.

Tra le eredità durature di San John Henry vi sono, in tal senso, alcuni contributi molto significativi alla teoria e alla pratica dell’educazione. «Dio – scriveva – mi ha creato per rendergli un servizio preciso. Mi ha affidato un compito che non ha affidato ad altri. Ho una missione: forse non la conoscerò in questa vita, ma mi sarà rivelata nella prossima» (Meditations and Devotions, III, I, 2). In queste parole troviamo espresso in modo splendido il mistero della dignità di ogni persona umana e anche quello della varietà dei doni distribuiti da Dio.

La vita si illumina non perché siamo ricchi o belli o potenti. Si illumina quando uno scopre dentro di sé questa verità: sono chiamato da Dio, ho una vocazione, ho una missione, la mia vita serve a qualcosa più grande di me stesso! Ogni singola creatura ha un ruolo da svolgere. Il contributo che ciascuno ha da offrire è di valore unico, e il compito delle comunità educative è quello di incoraggiare e valorizzare tale contributo. Non dimentichiamolo: al centro dei percorsi educativi devono esserci non individui astratti, ma le persone in carne ed ossa, specialmente coloro che sembrano non rendere, secondo i parametri di un’economia che esclude e uccide. Siamo chiamati a formare persone, perché brillino come stelle nella loro piena dignità.

Possiamo dire pertanto che l’educazione, nella prospettiva cristiana, aiuta tutti a diventare santi. Niente di meno. P Papa Benedetto XVI, in occasione del Viaggio Apostolico in Gran Bretagna, nel settembre 2010, durante il quale beatificò John Henry Newman, invitò i giovani a diventare santi, con queste parole: «Ciò che Dio desidera più di ogni altra cosa per ciascuno di voi è che diventiate santi. Egli vi ama molto più di quanto possiate immaginare e vuole il meglio per voi». [2] Questa è la chiamata universale alla santità che il Concilio Vaticano II ha reso parte essenziale del suo messaggio (cfr Lumen gentium, capitolo V). E la santità viene proposta a tutti, senza eccezione, come un cammino personale e comunitario tracciato dalle Beatitudini.

Prego che l’educazione cattolica aiuti ciascuno a scoprire la propria chiamata alla santità. Sant’Agostino, che San John Henry Newman apprezzava tanto, disse una volta che noi siamo compagni di studio che hanno un solo Maestro, la cui scuola è sulla terra e la cui cattedra è in cielo (cfr Sermo 292,1).
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[2] Benedetto XVI, Discorso agli alunni, Twickenham – Regno Unito, 17 settembre 2010.


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ANGELUS


Cari fratelli e sorelle,

desidero salutare tutti voi che avete partecipato a questa solenne celebrazione, in particolare i Cardinali, i Vescovi e le distinte Autorità.

Sono molto lieto di accogliere la Delegazione ufficiale della Chiesa d’Inghilterra, guidata da Sua Grazia Stephen Cottrell, Arcivescovo di York. Dopo lo storico incontro di preghiera con Sua Maestà il Re Carlo III, celebrato alcuni giorni fa nella Cappella Sistina, la vostra presenza oggi esprime la gioia condivisa per la proclamazione di San John Henry Newman Dottore della Chiesa. Dal cielo egli accompagni il cammino dei cristiani verso la piena unità.

Estendo il mio saluto a tutti i pellegrini presenti, specialmente ai ragazzi che hanno dato vita alla “Corsa dei Santi”, promossa da Missioni Don Bosco e che unisce lo sport e la solidarietà con i bambini più svantaggiati.

Sorelle e fratelli, il mistero della comunione dei santi, che oggi respiriamo “a pieni polmoni”, ci ricorda qual è il destino finale dell’umanità: una grande festa in cui si gioisce insieme dell’amore di Dio, presente tutto in tutti, riconoscendo e ammirando la bellezza multiforme dei volti, tutti diversi e tutti somiglianti al Volto di Cristo. Mentre pregustiamo questa realtà futura, sentiamo ancora più forte e doloroso il contrasto con i drammi che la famiglia umana sta soffrendo a causa delle ingiustizie e delle guerre. E tanto più impellente sentiamo il dovere di essere costruttori di fraternità. Affidiamo la nostra preghiera e il nostro impegno all’intercessione della Vergine Maria e di tutti i Santi!

Guarda il video integrale della celebrazione