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venerdì 9 ottobre 2020

"La battaglia su tre fronti di papa Francesco" di Giuseppe Savagnone

"La battaglia su tre fronti
 di papa Francesco" 
di Giuseppe Savagnone


Le notizie sul gelo tra Stati Uniti e Santa Sede si stanno intrecciando, in questi giorni, con quelle sulla corruzione all’interno del Vaticano. In realtà, sono solo gli ultimi sviluppi di una storia più complessa, che dura dall’inizio del pontificato di papa Francesco e, almeno per il secondo versante, ha le sue radici in quelli precedenti. Quello che, alle prime battute, sembrava dovesse essere uno dei papi più popolari e amati della storia, sta sperimentando, invece – insieme a un’ammirazione che gli viene tributata spesso anche da non credenti –, una conflittualità e un dissenso senza precedenti, soprattutto all’interno della Chiesa.

Non era mai accaduto che noti intellettuali cattolici, come il giornalista Antonio Socci e il vaticanista Aldo Maria Valli, mettessero in dubbio con libri e articoli la legittimità dell’elezione del sommo pontefice, negando la validità delle dimissioni di Benedetto XVI, né, tanto meno, che esponenti di spicco della gerarchia ecclesiastica, come l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, chiedessero pubblicamente le sue dimissioni. Per non parlare dell’ondata inarrestabile di attacchi contro il papa che dilaga sui social.

La vera svolta dell’Amoris laetitia
Tutto è cominciato quasi subito, quando lo stile decisamente inedito e innovatore di Francesco gli ha attirato in egual misura la simpatia e l’interesse di tanti che non si riconoscono nella Chiesa cattolica e lo scandalo di molti credenti.

I due sinodi sulla famiglia e l’Amoris laetitia – l’esortazione apostolica che ha fatto loro seguito – hanno portato al diapason i toni della rottura, polarizzandola, con un’enfasi sicuramente eccessiva, sul problema della comunione ai conviventi fuori del matrimonio.

In realtà è vero che il magistero di papa Francesco presenta delle novità rispetto a quello dei suoi predecessori. Così, è calato il silenzio sulla dottrina degli «assoluti morali» – atti in sé malvagi, a prescindere dal contesto in cui vengono compiuti – insegnata da Giovanni Paolo II, così come è scomparsa l’insistenza sui «valori non negoziabili» – vita biologica, famiglia e libertà di educazione (cattolica) – del tempo di Benedetto XVI.

Nell’Amoris laetitia si è, invece, sottolineato che i comportamenti delle persone vanno sempre considerati in relazione alla loro storia e alle loro intenzioni. Dove questa relatività non è affatto relativismo – come dicono i suoi critici –, perché non esclude affatto la linea di demarcazione tra il bene e il male, ma la cerca non in una rigida regola fissata univocamente una volta per tutte, bensì nella concretezza dei percorsi esistenziali delle persone e nell’orientamento di fondo della loro coscienza.

La risposta dei «conservatori» a queste distinzioni è la menzione più o meno esplicita della possibilità di uno scisma, di cui il papa sarebbe il vero responsabile, per il suo tradimento.

La critica al neocapitalismo
Ma la loro opposizione nei confronti di papa Bergoglio si è potuta sviluppare anche per il convergere in essa di fattori politici. Mentre al tempo di Benedetto XVI la giustizia sociale e la lotta contro le cause della povertà non rientravano tra i «valori non negoziabili», con l’attuale pontificato sono diventati obiettivi prioritari della stessa comunità ecclesiale. E, in un mondo occidentale dove in questi ultimi anni si sono alzati muri sempre più alti per impedire ai poveri del Sud della terra di accedere alle condizioni di vita dei paesi del Nord, la posizione di Francesco è suonata come una follia inaccettabile anche agli orecchi di molti cattolici.

Un secondo fattore politico intervenuto a sostegno della polemica contro le posizioni dottrinali del papa è legato alla sua critica nei confronti dello sfruttamento indiscriminato del pianeta e al tempo stesso dei più deboli operato da una finanza capitalistica senza scrupoli. L’enciclica Laudato si’ non è piaciuta soprattutto negli Stati Uniti.

Proprio in questi giorni in una intervista il cardinale Maradiaga ha denunciato una rete – la cui esistenza in realtà era nota da tempo – che lavora contro Francesco e che ha le sue basi economiche e politiche nella destra conservatrice americana, di cui sono esponenti di spicco l’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, e il già menzionato arcivescovo Viganò.

I rapporti con la Cina
È in questo quadro che si inserisce la pesane intromissione del governo del segretario di Stato USA Mike Pompeo, volta a bloccare il rinnovo, il prossimo 22 ottobre, dell’accordo già stipulato dalla Santa Sede nel 2018 con il governo della Cina per consentire, per la prima volta dalla rivoluzione comunista, la nomina da parte del papa di vescovi cinesi, a condizione che siano accettati anche da quel governo.

Un accordo che, come ha spiegato il card. Parolin, non implica alcun avallo dei metodi di Pechino, ma ha una valenza essenzialmente pastorale. Alla Chiesa è sempre interessato portare il Vangelo alle persone. Lo ha fatto sempre anche all’interno di contesti politici in sé inaccettabili e questo ha comportato un rischio – che c’è ovviamente anche in questo caso – di una pericolosa coesistenza e, al limite, di una connivenza, ma che si è sempre accettato di correre con innumerevoli altri regimi.

La battaglia contro la corruzione
Abbiamo parlato finora della battaglia di papa Francesco sul fronte religioso-politico. Ma ce n’è un altro, di antica data, che le vicende di questi ultimi giorni hanno portato in piena luce, ed è quello contro i «poteri forti» del Vaticano. La vicenda dell’ex cardinale Becciu è ancora troppo recente per dare giudizi definitivi. Quello che è certo, però, è il groviglio di interessi oscuri, di manovre finanziarie poco trasparenti, di operazioni gestite da personaggi equivoci, che l’attuale inchiesta sta portando alla luce.

Benedetto XVI fu vittima anche lui delle convulsioni di questo sistema malato – scandali, fughe di notizie, reciproco gioco al massacro – e, non ritenendo di avere le forze per contrastarlo, lealmente preferì rassegnare le sue dimissioni. Papa Francesco non si arrende e lotta.

Non si può dire che finora la sua battaglia sia stata coronata da successo, anche per i suoi errori nello scegliere alcuni collaboratori – come fu il cardinale Pell e ora lo stesso mons. Becciu – rivelatisi del tutto inaffidabili. Ma forse è preferibile un papa che sbaglia mentre cerca di fare le cose giuste, rispetto ad uno che, per non sbagliare, si rassegnasse ad accettare le cose ingiuste.

Il terzo fronte: i «progressisti» delusi
Più recentemente è sorto però anche un terzo fronte su cui papa Francesco ora si trova a lottare, ed è quello di coloro che sono delusi della sua cautela nei confronti di riforme di fondo, come l’abolizione del celibato dei preti e l’ammissione delle donne al diaconato (alcuni in effetti pensano anche al presbiterato). La protesta è esplosa dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Querida Amazonia che, contrariamente alle raccomandazione del sinodo non prevede nessuna delle due innovazioni.

Non a tutti è noto che il problema non è limitato all’Amazzonia. La prudenza di Francesco è probabilmente legata al fatto che un’apertura in quel particolare contesto avrebbe rafforzato le spinte che già sono presenti nel sinodo inaugurato dalla Chiesa tedesca nel gennaio scorso e dove si parla apertamente di riforme che vanno nella direzione voluta dai «progressisti».

Da Roma si sottolinea che ci sono scelte di fondo che non possono essere adottate su base nazionale, ignorando la linea della Chiesa universale. Ma anche su questo fronte si risponde alle prese di posizione del papa con accenni velati al pericolo di uno scisma, questa volta di marca «progressista».

Un compito immane
Insomma, tra minacce di scismi di segno opposto e corruzione vaticana, papa Francesco è uno dei pontefici più in difficoltà della storia, probabilmente quello che ha più aperte opposizioni da molti secoli a questa parte. Eppure, con i suoi 83 anni, combatte con coraggio le sue ardue battaglie, che in realtà non sono state originate soltanto dalle sue scelte, ma nascono da situazioni pregresse che egli ha ereditato.

Traghettare la Chiesa nella post-modernità non era un’impresa facile e forse proprio i suoi predecessori, evitando personalmente i conflitti che sarebbero nati da passi decisi in questa direzione, hanno reso ora più difficile il compito del papa attuale.

C’è da chiedersi se non si possa aiutare in qualche modo il pontefice, non lasciandolo solo. Per la verità non sembra che ci sia, in questo momento, un deciso apporto da parte della base della comunità ecclesiale e dello stesso episcopato. E i pochi che parlano lo fanno, ad altissima voce, solo per protestare.

Forse è il momento di valorizzare la sinodalità, lo stile che nella Chiesa permetterebbe, anzi esigerebbe, la partecipazione attiva di tutti, ognuno nel suo ruolo, al confronto e al discernimento comunitario.

Le battaglie di papa Francesco sono quelle di tutti coloro che vogliono una Chiesa diversa da quella del passato, ma al tempo stesso avvertono la responsabilità di un cammino che eviti rotture rovinose. Ogni credente è chiamato, in questa difficile congiuntura, a farsene carico. Oggi non è possibile ritagliarsi solo un ruolo di spettatore, che tifa per l’uno o per l’altro, evitando di uscire allo scoperto e prendere posizione, senza rischiare di sentirsi rivolgere un giorno il rimprovero che il Signore nell’Apocalisse rivolge a coloro che non sono né caldi né freddi, e che egli perciò ha rigettato.

(Fonte: rubrica "I Chiaroscuri"  - 2 ottobre 2020)

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