"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo della domenica
a cura di Santino Coppolino
«Restituite a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio!». E' la risposta di Gesù alla domanda trappola che farisei ed erodiani gli hanno teso. Qualsiasi altra risposta avrebbe messo Gesù in cattiva luce agli occhi dell'occupante romano o a quelli del popolo che mal digeriva di dover pagare le tasse a un re straniero. E' la ragione della richiesta di Gesù di vedere la moneta del census dove, oltre all'effige di Tiberio, vi era una scritta che ne attestava la divinità: «Tiberius Caesar, Divi Augusti Filius, Augustus Pontifex Maximus». La risposta data da Gesù, che sembra eludere la domanda, sposta invece il problema ad un altro livello ed appare adesso assai più chiara. Se possiedi la moneta di Cesare ne riconosci l'autorità ed anche la divinità. La scena fra l'altro si svolge nel tempio dove è fatto assoluto divieto di introdurre monete non ebraiche, in modo particolare quelle recanti effigi idolatriche. Chi ha tentato di cogliere in fallo Gesù è caduto nella sua stessa trappola e adesso è lui a essere accusato di idolatria, il peccato più grave secondo la Legge di Dio. Ed inoltre: che cosa spetta a Cesare e che cosa a Dio? La risposta data da Gesù non sta ad indicare di certo la separazione tra il potere temporale e quello spirituale, quasi una tacita alleanza tra altare e trono, come, purtroppo, in passato è stato inteso e, ahimè, in alcuni gruppi "tradizionalisti" lo è anche adesso. Restituire a Cesare ciò che è suo significa restituire all'idolo-Cesare ciò che gli appartiene: l'idolatria del potere, della forza, del denaro; significa disconoscere la sua presunta divinità e la sua signoria riaffermando quella di Dio. Al Signore bisogna dare ogni altra cosa, ogni bene, la vita dei suoi figli, il suo popolo, poiché TUTTO appartiene a Dio e nulla a Cesare, soprattutto quando Cesare si impone come una divinità dal potere assoluto. Questa parabola è uno sviluppo di quella della Domenica precedente (21,33-43) e serve a rammentare che quanto è stato compiuto da Israele, può essere purtroppo fatto anche dalla Chiesa. La Storia della Salvezza non è una finestra aperta sul passato, per vedere cosa è accaduto in quel tempo. E' piuttosto uno specchio, che fa vedere ciò che accade ora in chi legge.