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martedì 6 ottobre 2020

“Fratelli tutti” di papa Francesco - La lettura di Andrea Grillo e di Antonio Spadaro

“Fratelli tutti”, cioè ”tutti nudi”. 
Il “de amicitia” di papa Francesco
di Andrea Grillo


Appena saputo il titolo della nuova enciclica “de amicitia et fraternitate” di papa Francesco, per emozionata assonanza ho risentito la musica delle prime parole dette da mio figlio Giovanni. Eravamo vicino a Oristano, a Torregrande, insieme ai teologi, per il Convegno ATI del 2007. Mio figlio parlava ancora pochissimo, anche se sapeva intrattenere lunghe “conversazioni”, persino con sconosciuti, soltanto con gesti delle mani e toni della voce. Ma quella volta no: trovandosi intorno tanti teologi e teologhe in costume da bagno, sulla riva del mare, sotto il sole di fine agosto, esclamò, scandendo bene le parole e facendo un gesto con il braccio a indicare l’intera compagnia: “TUTTI NUDI”. Ecco, vorrei leggere il senso di questa nuova enciclica alla luce di queste parole elementari, cercando una sorta di “definizione” di “Fratelli tutti” nei termini di una “nudità universale”, da riconoscere con fatica e da custodire con cura, insieme atto di fede e gesto di intelligenza, parola primordiale e sommo bene.

La struttura del testo

Se osserviamo la struttura del documento vediamo che, dopo una introduzione segnata dalla luce che proviene dal modello di San Francesco – che ha ispirato, oltre a questo testo, il testo di Laudato sì e il nome stesso di papa Francesco – il movimento del testo procede in modo simile a Amoris Laetitia. Legge la realtà con le sue ombre (cap.1), si lascia ispirare da un testo biblico (cap. 2) e poi formula il cuore del suo de amicitia et de fraternitate nel cap. 3. Di qui discendono una serie di importanti conseguenze che occupano il resto del testo (capp. 4-8). Per utilità presento qui la struttura della Enciclica e poi svolgo solo alcune considerazioni relative soltanto ai due capitoli centrali (capp. 2-3). Sarà una lettura intenzionalmente e necessariamente parziale, rimandando ad altri momenti ulteriori necessarie considerazioni. Ecco l’indice, già di per sé significativo:

Introduzione (1-8)

Capitolo Primo: Le ombre di un mondo chiuso (9-55)

Capitolo Secondo: Un estraneo sulla strada (56-86)

Capitolo Terzo: Pensare e generare un mondo aperto (87-127)

Capitolo Quarto: Un cuore aperto al mondo intero (128-153)

Capitolo Quinto: La migliore politica (154-197)

Capitolo Sesto: Dialogo e amicizia sociale (198-224)

Capitolo Settimo: Percorsi di un nuovo incontro (225-270)

Capitolo Ottavo: Le religioni al servizio della fraternità nel mondo (271-287)

La radice della fraternità e della amicizia

Come ho detto, al centro del documento sta una lettura biblica e una meditazione che è, allo stesso tempo, teologica, antropologica e filosofica. Pur avendo come intento una “parola condivisa” e quindi non segnata in grado eccessivo da una specificità confessionale, il movimento trae ispirazione da una parola ispirata (la parabola del Buon Samaritano), ne offre una esegesi meditata e aggiornata, e quindi non è affatto illuministico, anche se dialoga a fondo e in modo non consueto con l’universalismo del concetto e con le evidenze della esperienza. Va detto, in aggiunta, che la distinzione tra “parola autorevole” ed “evidenza della esperienza” non è così drasticamente identificabile nel capitolo 2 e nel capitolo 3. Anche nel secondo capitolo si riflette a fondo, mentre anche nel terzo capitolo ci si mette in ascolto.

Una lunga e originale esegesi della parabola

La parabola, dopo essere stata citata integralmente, viene commentata in 5 passaggi di cui il primo è una lettura del cammino universalistico all’interno della tradizione biblica, giudaica e cristiana. All’inizio sta una crisi drammatica: l’esordio del racconto della fraternità è il disastro tra Caino e Abele. D’altra parte, anche nella storia civile abbiamo inizi tragici, come Romolo e Remo. I primi fratelli non conoscono fratellanza alcuna. Il sorgere della relazione fraterna come amore, come cura dell’altro tende perciò ad uscire dai vincoli, a farsi vincolo senza dipendere dai legami, fino a farsi “regola aurea” di reciproca cura tra uomini: fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Dunque la povertà, la ferita, la nudità dell’altro si rivela il luogo della nostra dignità. Saper avere compassione dell’altro significa “sentire con il suo corpo”, sentirsi con lui poveri, con lui feriti, con lui nudi. La sua dignità e la nostra dignità non sono inversamente, ma direttamente proporzionali. Addirittura dobbiamo scoprire che, della parabola, abbiamo in noi la traccia di ognuno dei personaggi:

“tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano” (FT 69)

E poi, applicando la parabola come metro di lettura del nostro tempo, si aggiunge con grande forza:

“Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. Nei momenti di crisi la scelta diventa incalzante: potremmo dire che, in questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito” (FT 70)

La “non-indifferenza” è la sola culla della fraternità sociale e universale. Nella parabola la “non-indifferenza” scaturisce in un “samaritano” (uomo discriminato e emarginato) rispetto ad un giudeo ferito e abbandonato. La universalità della fraternità è scritta in una prossimità che supera ogni “comunità ristretta” e che delinea perciò una “società aperta”.

Nelle ultime battute di questo capitolo secondo, l’universalismo della fraternità trova un ancoraggio teologico nella identificazione del Cristo con il povero, con l’assetato, con il malato e con il riconoscimento, per ogni cristiano, di poter trovare nell’altro “la sua stessa carne”. Per questo se ne trae una conclusione singolarmente franca, nei termini di una “autocritica” della tradizione, assai simile ai passi paralleli di Amoris Laetitia (AL 35-37) e con ciò si conclude il capitolo 2:

“A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi. Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti” (FT 86).

Pensiero e pratiche di fraternità

Dopo questa ricca esegesi della parabola del vangelo di Luca, la “teoria” della fraternità si delinea nel cap. 3, il più ampio e articolato del testo, dal quale vorrei trarre solo gli spunti più decisivi:

a) Le prime parole del capitolo ruotano intorno a tre termini: dono, amore e “uscita da sé”. L’uomo non trova se stesso se non si dona, se non ama e se non esce da sé. Le fonti sono il magistero della Chiesa (Vaticano II e papi), il personalismo (Marcel) e Tommaso. Anche Rahner è citato, curiosamente da un testo di meditazioni sull’Anno liturgico!

b) Questa prima acquisizione entra in dialogo con la “autocoscienza moderna” della società liberale. In particolare con i tre principi della Rivoluzione francese: “liberté, égalité, fraternitè”. Il mondo moderno ha saputo realizzare effettivamente grandi conquiste in fatto di libertà e di eguaglianza, ma sulla fraternità sembra quasi impotente. Un testo risulta qui decisivo:

“La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario” (FT 103)

c) Libertà ed eguaglianza sono necessarie, ma non sono sufficienti. Questo è la virtù e il vizio del mondo moderno: di avere molto sviluppato la libertà e la uguaglianza, ma di faticare molto a cogliere le logiche della fratellanza, senza la quale non vi è né vera libertà, né vera uguaglianza. La prima di orienta all’individualismo, la seconda alla omologazione e alla consociazione.

d) Pertanto si tratta di “dare radice” alla libertà e alla uguaglianza, che non stanno all’inizio, ma nelle conseguenze di una “amicizia sociale” e di una “fratellanza univarsale”. Si potrebbe dire che Francesco non rinuncia affatto ad abitare il mondo moderno. Ma vuole innestare la libertà e l’uguaglianza nella fraternità, non viceversa. Ciò è evidente soprattutto se si pensa alla forza con cui si pretende di pensare la società partendo dalla “libertà economica”. Questo ignorare la fratellanza dall’orizzonte originario altera inevitabilmente sia la libertà, sia l’uguaglianza, e le corrompe. La solidità del soggetto è nella solidarietà: il prendersi cura dell’altro e la garanzia del sé. Purché il sé possa scambiarsi con l’altro, mettersi nei panni, stare al posto, riconoscersi riconosciuto. Sulla base di questo atto di riconoscimento, tutti hanno dignità originaria e inalienabile:

“Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo.” (FT 121)

Questa lettura, fondata sulla originaria dignità di ogni uomo e donna, non è una fantasia, ma una profezia e una sfida che spinge a nuovi sogni e a nuovi progetti:

“se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità”. (FT 129)

L’uomo: lupo, padre, padrone, fratello

Mi fermo qui. Il cuore del messaggio di FT è racchiuso qui. Potremmo dire che prende forma in una antropologia, illuminata dalla autorità della fede (e delle fedi) e dalla esperienza dei segni dei tempi. Una antropologia che tiene sul comodino la bibbia e il giornale. E che fa sue le ansie di un mondo che è stato profondamente trasformato da nuovi modi di comprendere e di trattare gli uomini che si concentrano in quattro formule:

- homo homini lupus: la estraneità di ogni singolo di fronte all’altro;

- homo homini pater-mater/filius-filia: la predeterminazione e la genealogia della libertà

- homo homini dominus-domina/servus-serva: la produzione e la diseguaglianza di sistema

- homo homini frater-soror: la riconosciuta fragilità di una comunione ricevuta e da custodire

Conosciamo il disordine della foresta selvaggia di un uomo animale senza rispetto (e, a differenza del lupo, senza natura); l’ordine di una paternità/figliolanza che blinda identità e società; il potere del dominio dell’uomo sull’uomo, che sacrifica tutto alla produzione; la nudità riconosciuta del fratello e del cosmo, aperta alla (e dalla) dignità di tutti. Gli uomini sono anche animali, sono padri e madri, figli e figlie, sono padroni e sono servi, ma anzitutto sono e devono essere riconosciuti fratelli e sorelle. Il primato antropologico della fraternità, contro le riduzioni e le sfigurazioni delle altre letture, trova qui il suo canto. Qui viene delineato il profilo originario dell’uomo e indicata la autorità somma nella nudità, nella marginalità e nella periferia che noi tutti siamo. Una fraternità crocifissa e risorta, negata e sperata, da assumere e da costruire, da riconoscere e da insegnare.

Papa Francesco – sotto il sole di Roma, di Lampedusa, di Abu Dhabi – davanti allo spettacolo difficile e duro di una fraternità negata e svuotata dai lupi, da padri-padroni e dai figli-servi, col gesto del braccio indica tutta intera la umanità, senza distinzione alcuna, e scandisce bene le parole per dire: “tutti nudi”, “fratelli tutti”. Parola primordiale e insieme città ideale.

FRATELLI TUTTI 
Una guida alla lettura
di Antonio Spadaro

A otto anni dalla sua elezione, papa Francesco scrive una nuova Enciclica, che rappresenta il punto di confluenza di ampia parte del suo magistero (cfr Fratelli tutti, n. 5). La fratellanza è stata il primo tema al quale Francesco ha fatto riferimento dando inizio al suo Pontificato, quando ha chinato la testa davanti alla gente radunata in piazza San Pietro. Lì ha definito la relazione vescovo-popolo come «cammino di fratellanza», e ha espresso questo desiderio: «Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza».

Il titolo è una citazione diretta dalle Ammonizioni di San Francesco: Fratelli tutti. E indica una fratellanza che si estende non solo agli esseri umani, ma subito anche alla terra, in piena sintonia con l’altra Enciclica del Pontefice, la Laudato si’.

Fratellanza e amicizia sociale

Fratelli tutti declina insieme la fratellanza e l’amicizia sociale. Questo è il nucleo centrale del testo e del suo significato. Il realismo che attraversa le pagine stempera ogni vuoto romanticismo, sempre in agguato quando si parla di fratellanza. La fratellanza non è solamente un’emozione o un sentimento o un’idea – per quanto nobile – per Francesco, ma un dato di fatto che poi implica anche l’uscita, l’azione (e la libertà): «Di chi mi faccio fratello?».
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Come tra i fiori la rosa, così regnerà la «città dei fratelli» fra le metropoli del mondo, scrive Marechal. E Francesco con questa Enciclica punta diritto alla venuta del «Regno di Dio», come preghiamo nel Padre nostro, la preghiera che ci vede tutti fratelli perché figli di un unico Padre. Il senso del Regno di Dio è la capacità dei cristiani di mettere la buona notizia del Vangelo a disposizione di tutta l’umanità, a tutti gli uomini e le donne senza distinzione alcuna, come risorsa di salvezza e pienezza. In questo caso il vangelo della fratellanza.



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