L'ultimo saluto a Aurelio Visalli
Mons. Santo Marcianò, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia:
"Aurelio, con il sacrificio della tua vita e della tua morte,
hai scritto una pagina stupenda di giustizia e amore"
LA COMMOVENTE OMELIA DEL FUNERALE DEL SOTTOUFFICIALE EROE
Aurelio Vissalli era morto per salvare due giovani in pericolo in mare. Un'onda altissima e violenta gli aveva causato lesioni alla colonna vertebrale e al cranio. Oggi i funerali a Milazzo
Si sono svolti stamattina (02/10/2020) nel Duomo di Milazzo i funerali del Aurelio Vissalli, il sottufficiale della Marina morto da eroe nel mare in tempesta per salvare due ragazzi. Davanti la chiesa, il picchetto d’onore della Marina Militare attende l’arrivo del feretro. La messa officiata dall’Arcivescovo di Messina, Monsignor Giovanni Accolla, è stata seguita dalla folla gremita nella Piazza del Duomo attraverso gli altoparlanti. Erano presenti i ministri della Difesa e dei Trasporti . Oltre le transenne, palloncini bianchi e uno striscione con scritto “Ciao Aurelio”. Oggi è lutto cittadino a Milazzo, Venetico, dove il sottoufficiale viveva, e Rometta.
Riportiamo il testo integrale dell’Omelia di Monsignor Santo Marcianò, Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia
Carissimi Tindara, Riccardo e Chiara, carissimi genitori, fratelli, parenti, amici e colleghi di Aurelio, cari fratelli e sorelle, siamo attoniti, sconvolti, e ci sentiamo stretti in una morsa di morte. È la morte di un eroe – molti hanno commentato -; è la morte di un giovane, sposo e padre, la cui famiglia è straziata dal dolore; una morte ingiusta, ci verrebbe da dire dinanzi a una vita spezzata così precocemente e bruscamente. Eppure, non possiamo non definirla la morte di un giusto; non possiamo non riconoscere la lezione alta di giustizia che l’uomo, il militare Aurelio ci ha dato. Quella giustizia che non ha bisogno di processi per essere realizzata, che fa riferimento a leggi scritte non con la penna o nei Codici ma nel profondo del cuore umano.
Nelle profondità di un mare in tempesta, Aurelio è andato incontro al pericolo, non certo inconsapevole del rischio e neppure solo per un sia pur lodevole senso del dovere, ma in obbedienza a questa legge, impressa nell’intimo del suo cuore, che lo ha guidato ad agire, come qualche suo collega ha commentato, in modo “istintivo”. Un “istinto” che non ha nulla di improvvisato o irrazionale, ma, in realtà, nasce dalla scelta matura di «non morire per se stessi», come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura (Rm 14,7-12).
«Nessuno di noi muore per se stesso… se noi moriamo, moriamo per il Signore».
La morte è un evento che nessuno può evitare o programmare. La morte è sempre drammatica, a volte umanamente insopportabile, che accada in modo improvviso o sia il risultato di lunga malattia. Ma, mentre ci sono morti causate da violenza, odio, guerre - i militari in particolare lo sanno bene -, morti che tirano fuori il peggio dall’essere umano; mentre ci sono morti pretese come diritto e autodeterminazione, nel rifiuto di accogliere e curare la vita fragile, c’è invece chi, in modo misterioso, ha il coraggio di morire per qualcosa, per qualcuno, per la vita altrui; chi, pure nella morte, mostra il meglio di se stesso: in una parola, chi riesce a fare della sua morte un dono!
Ecco, al di là di tutte le discussioni che agitano, in questi giorni, la superficie e superficialità dei dibattiti, o accendono i toni sui social, ci dobbiamo fermare silenziosi, ammirati, riverenti e grati dinanzi a questa verità, a questo dono di Aurelio, che ci sorprende e ci spiazza. Sì, perché il dono ci spiazza, sempre. Tanto più il dono della vita! E perché ogni cosa assume un valore più grande, infinitamente grande, nella misura in cui è dono: un valore che non si può misurare, se non con l’economia della gratuità e dell’amore.
Cari amici, in questa Eucaristia noi celebriamo un dono d’amore generoso, smisurato: l’amore smisurato che ha spinto Aurelio a tentare tutto per salvare la vita di due ragazzi; l’Amore smisurato che ha portato Gesù a morire in Croce per salvare la vita di ciascuno di noi, anche quella di Aurelio, il cui gesto eroico, il cui donarsi fecondo, ha trovato in Cristo la forza, l’esempio, la vicinanza. Sì, pur nello sconvolgimento che ci agita, come il mare in tempesta, rimane una certezza nel profondo dei nostri cuori: Aurelio ha avuto Gesù accanto a sé; morendo per salvare la vita altrui, egli è morto «per il Signore» e con il Signore.
Così, il messaggio che la sua morte ci lascia è un forte e paradossale messaggio di vita: muore per qualcosa, per qualcuno, chi vive per qualcosa, per qualcuno!
«Nessuno di noi vive per se stesso… se noi viviamo, viviamo per il Signore».
Aurelio ha vissuto per gli altri, tutti lo testimoniano. Io non lo conoscevo personalmente ma era figlio di questa comunità parrocchiale, della nostra Chiesa dell’Ordinariato Militare, della bella terra di Sicilia, figlio della famiglia della Guardia Costiera. In questi giorni, poi, per tutta la Nazione egli è diventato figlio, padre, amico, fratello, collega, testimone... In tanti hanno voluto dare attestazioni di affetto e stima, con la presenza o con commossi messaggi: dalle più alte cariche dello Stato - primo fra tutti il Presidente della Repubblica –, alla gente comune. In poco tempo, tutti abbiamo avuto la sensazione di conoscere lui e lo stile del dono di sé, con cui ha speso per gli altri la vita.
Egli ha vissuto anzitutto per la sua famiglia, per la moglie e gli adorati figli. Cara Tindara, cari Chiara e Riccardo, cari genitori, oggi lo strappo del distacco è terribile e non è facile accettarlo. Ma Aurelio, papà, non vi ha lasciato, non vi ha abbandonato, come a volte dolorosamente accade con alcuni padri. Egli è morto proprio donando a piene mani quell’amore con cui vi ha amato: l’amore che ha ricevuto da voi e ha sempre dato a voi; un amore ancora più grande di quello che conoscevate, con cui ha superato quanto è umanamente possibile, diventando uno degli «angeli custodi» che la giornata di oggi ci invita a ricordare. Aurelio è stato un «angelo» per gli altri; continua a essere angelo per voi, ora che, come dice il Vangelo (Mt 18,1-5.10), «vede la faccia di Dio in cielo»; e voi ne sperimenterete sempre più la vicinanza e la guida, che vi aiuterà a crescere nella sua stessa infinita bontà e capacità di amare. Siate fieri di tale eredità che vi lascia, siate fieri della sua testimonianza!
Siatene fieri assieme agli amici di Aurelio, ai fratelli di questa comunità parrocchiale e cittadina, negli ultimi tempi afflitta da tanti dolori e oggi stretta a voi in un abbraccio che solo chi soffre sa condividere.
Siatene fieri assieme ai colleghi con i quali Aurelio ha condiviso l’amore per il lavoro, per il mare, con una passione comprensibile solo a chi viva la vita come vocazione, missione. E per questa missione Papa Francesco, anni fa, ha ringraziato voi, militari della Guardia Costiera, perché «rischiate la vita, lasciate la famiglia... Io ho ammirazione per voi – ha detto - mi sento piccolo davvero di fronte al lavoro che voi fate rischiando la vita». Un «lavorare fra la vita e la morte» : così ha definito il vostro compito, pensando alle volte in cui, nel tentativo di salvare vite umane in mare, non riuscite a evitare le morti di stranieri, profughi, uomini, donne e bambini… Oggi, però, è la morte di uno di voi che non si è riuscita a evitare: un militare, un «angelo», il quale non ha vissuto per se stesso ma ha pensato a «custodire» i due ragazzi che sembravano annegare, vedendo in essi quei «piccoli» che Gesù mette al «centro» e affida ai suoi angeli.
Il sacrificio di Aurelio, la sua prontezza nel dare la vita per voi, dice a voi, cari ragazzi, e a tutti voi giovani, quanto la vita umana, la vostra vita sia preziosa, meravigliosa; quanto sia necessario decidere se viverla o meno per voi stessi, magari sciupandola in quel consumismo e non senso che noi, adulti, spesso indichiamo come via appetibile, portandovi a sfidarci con il rischio o le dipendenze, la violenza o il suicidio, l’apparente indifferenza… Ma voi, giovani, non siete indifferenti! Siete piuttosto assetati d’amore e di quel senso che Aurelio ha insegnato: il “senso” che siete chiamati a cercare e scegliere, per scegliere come vivere e come morire; per fare, della vostra vita e della vostra morte, uno splendido dono d’amore.
Abbiate il coraggio di fare questa scelta e illuminare di speranza il mondo, immerso nel materialismo e oggi messo in crisi dalla pandemia. Lasciatevi ispirare e custodire da angeli come Aurelio, come gli uomini e le donne delle Forze Armate e Forze dell’Ordine; come i tanti che, nel silenzioso servizio, offrono ogni giorno la loro vita e che Dio mette a nostra difesa.
Sì, cari amici, non si vive che grazie al dono di altri! Non lo dimentichiamo e diventiamo tutti veri custodi della vita, ogni vita umana, la cui unicità insostituibile la morte ci svela in modo forse ancora più evidente.
Cari Tindara, Chiara, Riccardo, cari genitori e amici, Aurelio è insostituibile e insostituibile sarà la sua presenza: è la legge dell’amore! Ma proprio questa legge egli ci aiuta a ritrovare, scritta nel profondo del cuore, che dà senso alla vita e può cambiare la storia. La legge grazie alla quale tu, Aurelio, con il sacrificio della tua vita e della tua morte, hai scritto una pagina stupenda di giustizia e amore, nella storia di questa terra, della Guardia Costiera, del nostro Paese.
Grazie! Prega per noi. E così sia!
(fonte: Famiglia Cristiana 02/10/2020)
L'ingresso del feretro al Duomo di MIlazzo
Funerali Aurelio Visalli, l’omelia del vescovo:
«Chi dona la propria vita per gli altri non muore mai»
All’interno del Duomo di Milazzo c’erano duecento persone. In chiesa le misure restrittive legate al contenimento del Covid 19 hanno lasciato spazio solo ai familiari, alle autorità e ai colleghi. Niente telecamere. Niente giornalisti. Erano presenti il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il ministro dei Trasporti Paola De Micheli. Al loro fianco tantissimi vertici delle autorità civili e militari interregionali di Carabinieri e Guardia di Finanza. Fuori, però, c’era un’intera città in piedi pronta a dare l’ultimo saluto a Aurelio Visalli, il sottufficiale della Guardia Costiera morto nelle acque impetuose del mare di Ponente durante le operazioni di salvataggio del quindicenne milazzese rimasto, sabato scorso, un’ora in balia delle onde. Un saluto solenne e composto. Pochi applausi. Nessuno fatto dentro la chiesa ma solo quelli scroscianti e commoventi partiti dalla piazza all’ingresso e all’uscita del feretro dalla chiesa. Un saluto, quello fatto ad Aurelio, quasi silenzioso.
Esattamente come silenziosa è stata la sua morte. Era lì tra le onde con un salvagente arancione in mano legato ad una fune, senza vestiti, tolti per non bagnare la divisa, con un occhio sempre verso il ragazzo che in mare lottava per sopravvivere e l’altro verso la spiaggia in attesa dei riforzi che dovevano supportarlo. Riforzi che non hanno fatto in tempo ad arrivare. Aurelio è sparito inghiottito da un’onda. In silenzio. Senza fare rumore.
Un gran rumore nel cuore della gente, invece, hanno fatto le parole del cappellano militare Santo Marcianò che, con l’arcivescovo di Messina monsignor Giovanni Accolla e il vescovo ausiliare monsignor Cesare Di Pietro, ha officiato la messa per i funerali.
«Chi dona la propria vita per gli altri non muore mai». Le sue parole sono piombate su un dolore che ha scosso tre comunità. Quella di Milazzo dove il sottufficiale lavorava e di Rometta e Venetico, città d’origine e di residenza. In chiesa erano presenti i sindaci Nicola Merlino e Franco Rizzo insieme al primo cittadino della città del Capo Giovanni Formica accompagnato dagli assessori Pierpaolo Ruello e Ginevra Schiavon. «Siamo attoniti, sconvolti e ci sentiamo stretti dalla morsa del dolore per la morte di un eroe, che era anche giovane, marito e padre. Una vita spezzata in maniera troppo improvvisa. Non possiamo non riconoscere la lezione di giustizia alta che ci viene dal sacrificio di Aurelio. È andato incontro al pericolo, al mare in tempesta per una legge morale scritta nel cuore».
Aurelio Visalli, aveva 41 anni e la sua famiglia era anche quella della Guardia Costiera, oggi in chiesa tutti vestiti di bianco hanno pianto sulla sua bara. A porgere l’ultimo saluto c’era anche Enzo Vecciarelli, Capo di Stato Maggiore della Difesa, Giovanni Pettorino, Capo di Stato Maggiore della Capitaneria di Porto e Cavo Dragone, Capo di Stato Maggiore della Marina.
Proprio Pettorino a conclusione della celebrazione ha fatto rimbombare in chiesa parole bellissime. «Oggi – ha detto – è il giorno in cui si celebrano i Santi Angeli Custodi. Tu per noi sei un angelo del mare». «La morte – ha aggiunto Marciano – è sempre drammatica a volte umanamente insopportabile, ma ci sono morti come questa dove lo si fa per gli altri e si fa della propria morte un dono. Ci dobbiamo fermare davanti a questo gesto di Aurelio che ci spiazza, ha dimostrato un amore smisurato verso quei ragazzi in difficoltà. La sua morte ci lascia un messaggio importante: Aurelio muore per qualcuno ed ha sempre vissuto per gli altri. E’ stato un angelo tutta la sua vita. Ha scritto una pagina stupenda con il suo amore».
Ad attenderlo prima del trasferimento a Venetico una città che ha bloccato le sue attività, ha chiuso le strade, per consentire l’accesso in sicurezza alle autorità, ed è rimasta in rigoroso silenzio per tutta la durata della celebrazione religiosa. Davanti l’ingresso delle chiesa, invece, un grappolo di palloncini bianchi sono stati liberati in cielo dai compagni di classe del figlio undicenne. Un volo verso il cielo lento e silenzioso. Silenzioso anche questo.
(fonte: Oggi Milazzo, articolo di Rossana Franzone 02/10/2020)