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venerdì 23 ottobre 2020

Covid e scuola - La scuola in presenza - Alberto Pellai: “Non può esserci crescita senza rischio”

Covid e scuola



Bisogna "lavorare nell'interesse dei ragazzi, l'assenza da scuola avrebbe conseguenze drammatiche per il loro futuro". Così la Ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina.

E sulle ordinanze di diverse Regioni che stabiliscono che gli istituti superiori dovranno nuovamente ricorrere alla didattica a distanza, interviene Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi: "La didattica in presenza è un valore da preservare il più possibile", afferma. Sulle ordinanze di Lombardia e Campania il presidente Giannelli esprime perplessità: "Ho dei dubbi sul fatto che la regione possa imporre in questo modo una modalità organizzativa della didattica alle scuole, le scuole sono autonome e l'autonomia è tutelata dalla Costituzione".

Si mobilitano gli studenti, scioperi dalle lezioni e flashmob in tutto il Paese per chiedere scuole aperte e sicure.


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La scuola in presenza



La scuola in presenza è ciò che resta per non affondare nel baratro della solitudine. È ciò che tiene ancorati i ragazzi, le ragazze, i bambini e le bambine alla normalità, al procedere della vita. È lo sguardo rivolto avanti. Al presente. Che non sfugge. È la parete invisibile che li sostiene in un momento di precarietà. Non importa come siano i banchi, che sia insopportabile a volte la mascherina, quel lavarsi le mani costante, ciò che conta è sapere che non sono solo.

È sapere che il futuro sta nel sorriso della mia compagna di banco. In quella battuta, quella lezione in cui qualcuno ha aggiunto un’informazione importante. In quel corpo vicino al mio che mi obbliga a stare qui e ora, a non poter fuggire.

È la mia mano che annota appunti di filosofia, si prepara nervosa per una verifica di matematica, scrive storie fantastiche di maghi e coccodrilli, prende un pennarello e fa uno scarabocchio perché ancora sono piccolo o piccola e non so disegnare.

La scuola in presenza è ciò che resta per sconfiggere la povertà o per lo meno per vederla e provare a farci qualcosa. È quel bambino o quella bambina o quel ragazzo o ragazza che torna a scuola e sta al riparo per sei otto ore quando a casa è successo l’indicibile, quando a casa, magari, non c’è il riscaldamento ma solo stanze buie affacciate su vite buie.

La scuola in presenza è ciò che resta della diversità possibile nell’uguaglianza. La storia personale conta, ci dice da dove veniamo, cosa ci portiamo dietro, di cosa abbiamo bisogno ma in classe abbiamo tutti lo stesso valore.

La scuola in presenza è ciò che resta per non abbandonare gli alunni con disabilità che sono una risorsa inestimabile all’interno di una classe. I ragazzi e le ragazze disabili, a un certo punto, spariscono dall’istituzione scolastica, non si capisce come mai un bambino disabile debba faticare per avere una copertura totale del suo tempo scuola, eppure sarebbe un diritto. Eppure è un bambino, una bambina, un ragazzo o una ragazza. Questo dovrebbe contare.

La scuola in presenza ci tiene ancorati alla vita, ai progetti, a prospettive di continuità.

La scuola in presenza, anche a spizzichi e bocconi, mi ricorda che io sono l’altro, che il mondo non è la mia cameretta, quello schermo a cui dedico il mio tempo. La scuola mi ricorda che l’esistenza è fatta di relazioni. Non permette il confinamento.

Perché dopo il covid, questo è il rischio, che la memoria di lavoro sia brevissima, la capacità di attenzione pure, che i miei bisogni diventino la mia ossessione, che il tempo perda la consistenza dell’impegno.

Che sia più facile bivaccare che aprire un libro e provare a studiare anche qualcosa che non mi piace. Il rischio è non sapere cosa ci piace, non avere un altro adulto, oltre a mio padre e a mia madre che mi dica: dai che ce la fai. Oppure che mi strigli un po’ e mi richiami al rispetto delle regole.

Non conoscere la consistenza della fatica, la gioia del risultato. Non venire a patti con gli altri.

È un rischio non aprire la pagina del diario e non tracciare nessuna scritta colorata della mia squadra del cuore o del mio cantante preferito. È un rischio non vedere nemmeno gli occhi del compagno di banco per ricordarci che in questa battaglia ci siamo tutti e siamo insieme.

La scuola in presenza, anche a spizzichi e bocconi, è quel filo invisibile, quella corda tesa, a cui i nostri figli e le nostre figlie, di qualunque età, possono ancorarsi per non perdersi del tutto. Non confinarsi.

Percepirsi ancora parte di qualcosa.

La scuola in presenza è ciò che resta di noi  
(fonte: Comune info, articolo di Penny, 22/10/2020)

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Pellai: “Non può esserci crescita senza rischio” 

"Il lockdown nel rapporto costi benefici nell’età evolutiva fa decisamente più danni del Covid. Di conseguenza, tenere aperta la scuola significa permettere ai bambini di avere meno danni, mettendo contemporaneamente all’interno della scuola un’attenzione specifica, come è stato fatto, con le norme di prevenzione per la diffusione del contagio. La scuola è diventata un luogo non solo sicuro, ma un luogo in cui viene rinforzata la norma sociale proprio nel gruppo, che frequentando la scuola riceve un addestramento all’applicazione delle regole e norme che servono per la protezione dei contagi". Parla Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, nonché ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano 


(Foto ANSA/SIR)

L’attività didattica ed educativa per il primo ciclo di istruzione e per l’infanzia continui a svolgersi in presenza; forme di flessibilità si cerchino per le superiori. Questo dice – tra l’altro – l’ultimo decreto del capo del governo. Quindi la scuola è salva. Dopo la mossa isolata della Campania, il timore è stato che l’indicazione della ministra per l’istruzione Lucia Azzolina, “la scuola non si chiude”, potesse sgretolarsi in fretta. Sarebbe stato estremamente deleterio, come spiega Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, nonché ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano, marito e padre di quattro figli. Una voce che si è spesa molto in questi mesi a difesa dei più giovani e del loro diritto alla scuola, che si è messa in ascolto delle famiglie e dei ragazzi. Da questo tempo sconvolto è nato anche il suo libro “Mentre la tempesta colpiva forte. Quello che noi genitori abbiamo imparato in tempo di emergenza” (De Agostini ed.). “Non può esserci crescita senza rischio”, dice Pellai.

Risalgono i contagi, ma questa volta la scuola pare al momento resti aperta. Che significherebbe un nuovo lockdown per i nostri figli?

Significherebbe togliergli quel pezzo di vita che per loro rappresenta la zona di sviluppo, crescita, benessere, salute. La scuola non è luogo in cui loro apprendono solo le materie, ma luogo che tutela il loro benessere bio-psico-sociale.

Tra rischio sanitario da contagio e rischio chiusura scuole qual è la cosa più pericolosa?

La risposta l’ha già data l’Oms, considerando il benessere in età evolutiva e i bisogni di crescita: il lockdown nel rapporto costi benefici nell’età evolutiva fa decisamente più danni del Covid. Di conseguenza, tenere aperta la scuola significa permettere ai bambini di avere meno danni, mettendo contemporaneamente all’interno della scuola un’attenzione specifica, come è stato fatto, con le norme di prevenzione per la diffusione del contagio.

La scuola è diventata un luogo non solo sicuro, ma un luogo in cui viene rinforzata la norma sociale proprio nel gruppo, che frequentando la scuola riceve un addestramento all’applicazione delle regole e norme che servono per la protezione dei contagi.

Frequentare la scuola dà più vantaggi che tenere i bambini in lockdown.

Ritiene sicure le nostre scuole oggi?

Sono medico e non sottovaluto in nessun modo la situazione e so che la cosa più importante è tutelare la salute delle persone, ma se penso alla scuola, è vero che ci sono in atto tutte le condizioni che possono farci dire: stiamo tranquilli se lasciamo le scuole aperte. E in effetti c’è un problema trasporti, dove quelle condizioni non sono in essere. C’è da provare ad ampliare lo soluzioni, prima di bloccare una cosa così importante che avrebbe un impatto pazzesco sull’esistenza dei bambini e della famiglie intere.

Che cosa ha già lasciato nei più giovani il confinamento vissuto nell’anno scolastico scorso?

La sofferenza emotiva e sociale dei minori si è palesata a livelli diversi di intensità e a seconda degli altri fattori di protezione che entravano in gioco, essendo la deprivazione imposta dal lockdown un palese fattore di rischio. Abbiamo visto di tutto: nei bambini più piccoli sintomi regressivi, nei minori manifestazioni di natura ansiofobica, abbiamo visto la sindrome della tana alla riapertura dei cancelli e quindi alla possibilità di ritornare nel fuori.

È come se tutti, non solo i piccoli, fossimo costantemente in una situazione in cui suona una sirena di allarme che ci allerta di un potenziale pericolo che è in giro, senza che lo vediamo, ma ci tiene costantemente attivati.

È una condizione di notevole stress che non si interrompe mai. Ora dobbiamo favorire il collegamento tra due o tre famiglie che costituiscono una bolla circoscritta in qualsiasi situazione ci dovessimo trovare, in modo da rendere possibile una socializzazione tra bambini e un auto mutuo aiuto tra famiglie, perché in assoluto la cosa che fa più male, è sentirsi affaticati, isolati e impotenti.

Vuole lanciare un messaggio agli insegnanti, ai genitori e ai ragazzi?

Agli insegnanti direi: considerate che in questo momento il vostro ruolo, la vostra presenza, resilienza competenza, vi rende non solo gli insegnanti dei nostri figli, ma i più importanti operatori di salute dei nostri figli. Se la quarantena è un dispositivo emergenziale serve la didattica a distanza, in modo che le classi non siano sguarnite di tutto.
Ai genitori direi che è il momento in cui dobbiamo sviluppare un sano equilibrio per imparare a convivere con il Covid: siccome abbiamo di fronte un lungo tempo di incertezza, è prioritario strutturare un modo per “stare” con questa emergenza, che non vuol dire “ripararci da”, ma “starci dentro” tutelando più cose possibili.
Ai ragazzi direi: quel desiderio fortissimo di tornare a scuola, comparso dentro il lockdown, fa percepire che la scuola non è un dovere ma un diritto fondamentale, un bisogno che ha dentro un po’ tutto quello che serve per diventare grandi; fanno bene a reclamarla a gran voce, e a cercare modi con cui far sentire la loro voce a un mondo che è sempre più adulto-centrico, e rende sempre più invisibili le voci e i bisogni dei più piccoli.
(fonte: SIR, articolo di Sarah Numico 22/10/2020)

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