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giovedì 20 agosto 2020

"INGORDIGIA REGALE" di Alberto Maggi

INGORDIGIA REGALE
di Alberto Maggi


Nell’immaginario collettivo i re sono figura di chi ha di tutto e di più. Non vivono in una casa, ma in un castello, oltre molte lussuosissime dimore, dove trascorrere i mesi freddi, e altre in paradisi esotici per i mesi caldi. Possiedono aerei, macchine extra lusso in abbondanza, yacht, e non c’è desiderio che non possano soddisfare senza dover pensare se possano o meno permetterselo. La loro vita è un sogno, ma se è vero che “non è tutto oro quel che luccica”, più spesso la loro esistenza è in realtà un incubo. Infatti, l’avere avuto da sempre tanto dalla vita, anziché portare i potenti a piena soddisfazione e sazietà, li rende molto spesso insaziabili, voraci, ingordi e sovente, per soddisfare le loro voglie, commettono passi falsi che li fanno cadere dai loro dorati piedistalli e rivelarli per quel che sono, dei miseri.

Magistrale e insuperabile al riguardo, è la breve parabola contenuta nel Secondo Libro di Samuele, dove il coraggioso profeta Natan osa affrontare e accusare il temibile re David, l’uomo spietato, conosciuto perché “non lasciava in vita né uomo né donna” (1 Sm 27,9.11), e al quale il Signore non permise di costruirgli il tempio perché aveva versato “troppo sangue” (1 Cr 22,8).

Al cospetto del re, Natan racconta a Davide di uno sgradevole episodio avvenuto a Gerusalemme. In questa città, c’era un uomo poverissimo, il cui solo bene era una pecorella piccina, che aveva cresciuto con i figli, “mangiando del suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno ed era per lui come una figlia”. Ma questo idillio è interrotto dalla brutalità di un ricco possidente che aveva un gran numero di bestiame. Presentandosi un viandante a casa del ricco, questi non esitò a prendere l’unica pecorella del povero, ucciderla e servirla all’ospite. Natan stava ancora parlando quando Davide s’infuriò “e disse a Natan: “Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte”. Al che il profeta gli disse: “Tu sei quell’uomo!”, e coraggiosamente denunciò il potente re per le sue malefatte, l’ultima delle quali l’assassino del marito della sua amante” (2 Sm 12,1-15).

Come può un re (figura rappresentativa di tutti quelli che hanno tutto), non essere contento di quel che ha, e cercare sempre di possedere di più, con ogni mezzo lecito o no? Com’è possibile arrivare a questo? La sapienza biblica aiuta a comprendere le cause di quel che appare incomprensibile e, come insegna Gesù, la felicità dell’uomo non consiste in quel che possiede, ma in quel che si è capaci di donare: “Si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35). È il dono generoso di ciò che si ha e di ciò che si è, che realizza le aspirazioni profonde dell’uomo e lo rende felice. Per questo i ricchi non possono essere felici, perché non sono generosi, e se lo fossero, non sarebbero ricchi. Di fatto, il ritratto che Gesù fa dell’uomo ricco, insensibile alle necessità del povero Lazzaro, è impietoso. Gesù lo descrive, con un’efficace pennellata, come “un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti” (Lc 16,19). La profonda miseria dell’individuo è dissimulata dallo splendore esteriore degli abiti con i quali cerca di mascherare quel che realmente è. Le persone che meno sono hanno bisogno estremo di esibire quel che hanno. E la fame interiore, il ricco cerca di metterla a tacere banchettando “ogni giorno”, senza mai riuscire a saziarsi. Il ricco, malato terminale di egoismo, vede solo se stesso, i suoi bisogni, e si accorgerà di Lazzaro solo quando sarà lui stesso a trovarsi nella necessità, ma sempre per il proprio interesse (“manda Lazzaro…”, Lc 18,24.27). Similmente, nell’ultimo libro della Bibbia, c’è l’impietoso ritratto di quanti si credono ricchi: “Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo” (Ap 3,17). Questo è il dramma dell’individuo: non sa di essere… Il ricco sa ciò che ha, ciò che appare, ma non quel che realmente è. Dissimula l’assenza di ciò che è con l’abbondanza esteriore, il lusso, il fasto, triste parvenza del nulla.

La denuncia dell’ingordigia dei re, dei ricchi, attraversa tutta la Bibbia. Dai profeti, dove la bramosia di possedere sempre di più viene così stigmatizzata: “Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nella terra”; “Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità” (Is 5,8; Mi 2,2). Il Signore aveva diviso la terra d’Israele tra tutti i membri del popolo (Nm 32; Gs 13-21), affinché ognuno avesse un campo e una casa, ovvero quel che consente una vita dignitosa, ma i ricchi per la loro insaziabile ingordigia, accumulano ed espandono se stessi senza lasciare spazio vitale ad altri, non rendendosi conto che questa è però anche la loro condanna, come ha ben denunciato Gesù: “Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero ma perderà la propria vita?” (Mt 16,26). Per questo il Signore avverte di tenersi “lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni” (Lc 12,15). E anche se la persona è pia e religiosa, la sua devozione non vale nulla; Dio e mammona non possono convivere (Mt 6,24), perché la “cupidigia è idolatria” (Col 3,5; Ef 5,5). E il ricco possidente che per tutta la vita ha accumulato i suoi beni senza pensare di condividerne con i bisognosi, non viene lodato dal Signore, ma trattato da insipiente: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?” (Lc 12,20).

La bramosia di possedere annebbia le facoltà dell’uomo, come una droga. La frenesia del possesso chiede continuamente di avere di più. Solo così è spiegabile che re ed ecclesiastici, ministri e amministratori, tutti presi dalla brama del possedere, arrivino a frodare, appropriarsi, rubare le risorse dei bisognosi, e infine essere smascherati, come “Sepolcri dell’ingordigia” (Nm 11,33).

Per questo il vangelo si apre con la coraggiosa lode al Signore, che “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53), un inno che non vuole essere una celebrazione delle azioni del passato, ma il programma dei credenti di tutti i tempi.


L’AUTORE – Alberto Maggi (nella foto grande di Basso Cannarsa, ndr), frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme.
Biblista è una delle voci della Chiesa più ascoltate da credenti e non credenti.
Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (MC), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Con Garzanti ha pubblicato Chi non muore si rivede, Nostra signora degli eretici, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi e Due in condotta. Il suo nuovo libro è La verità ci rende liberi (Garzanti, in uscita a settembre), una conversazione con il vaticanista di Repubblica Paolo Rodari.

(fonte: Il Libraio 13/08/2020)