Se la vacanza insegna a pensare
di Enzo Bianchi
La Repubblica - Altrimenti
10 agosto 2020
Tempo di vacanze: tempo per guardare, o meglio per contemplare. Sì, perché di solito vediamo le persone o le cose ma non le guardiamo. Non abbiamo tempo per fermare lo sguardo, abituato a rispondere a uno stimolo di qualcosa che lo attira in modo subitaneo: un semaforo, un cartellone pubblicitario…
Oppure guardiamo quel che ci viene detto di guardare: i nostri occhi sono attirati da ciò che è pensato per sedurci, per richiamare la nostra attenzione, per accendere il nostro desiderio. Non a caso spesso constatiamo: “Non avevo visto, non me n’ero accorto”, solo perché una cosa non s’impone al nostro sguardo. Le vacanze sono un tempo propizio per vacare, per fare nulla, esercitandosi a guardare: su una spiaggia tenere gli occhi aperti verso il cielo; fermarsi a vedere il mare che cambia sempre colore e forma; guardare come una formica trasporta una briciola di pane; osservare com’è fatto un fiore…
È così che si impara a “vedere con il cuore”, come consigliava il Piccolo Principe. Allora, aprendo gli occhi del nostro cuore, possiamo dedicarci a contemplare, a vedere in grande, dunque a sentire in grande. Così si inizia a vedere davvero ciò che esiste e vive accanto a noi, anche se spesso non ce ne rendiamo conto; ci si allena ad ammirare e accogliere l’inatteso, ciò che è sconosciuto e differente da quanto pensiamo.
Le vacanze sono anche un tempo propizio per esercitarsi a riflettere sulla propria vita. Anche questa è un’operazione non spontanea, faticosa, ma è fondamentale ascoltare le domande che ci abitano. Domande che non possono essere eluse se non rimuovendole, oppure “distraendoci”, inebriandoci di attivismo. Questi giorni “vuoti” sono invece l’occasione per lasciarci abitare con calma dalle domande cruciali: “Come va la mia vita? Dove sono arrivato? Cosa mi manca?”…
Schopenauer annotava che “l’uomo è un animale metafisico”, abilitato a porsi delle domande che vanno oltre il visibile. Cosa vuol dire vivere e morire? Cosa significa amare veramente? L’amore può finire? L’uomo è un animale capace di porsi questi interrogativi, perché vuole interpretare la propria esistenza e di essa vuole darsi e dare delle ragioni. Non ci sono risposte chiare e certe? Non per questo bisogna vietarsi di ascoltare queste domande, anzi!
Occorre allora trovare tempo per restare soli, in silenzio, e “dimorare nelle domande” (Rilke) che ci abitano. Se non facciamo mai questo “lavoro”, rischiamo di vivere alla superficie, senza essere consapevoli, senza riuscire a leggere la nostra vita e a misurarla nelle sue attese e nei suoi fallimenti. I latini dicevano che ogni essere umano maturo deve giungere ad habitare secum, ad abitare con sé, ad ascoltarsi. Non è un’operazione narcisistica, ma un atto di verità su di sé e sul rapporto con gli altri. È una necessità per prendere la propria vita in mano con un minimo di lucidità e così imparare ad amare sé e gli altri con intelligenza e creatività.
In vacanza diamo dunque del tempo alla riflessione, al pensare. E a chi ci chiede: “Cosa fai?”, diciamo: “Guardo e penso”. Rara ma straordinaria risposta!
Pubblicato su: La Repubblica