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lunedì 24 agosto 2020

"Il turismo, la vacanza e il riposo" di Piergiorgio Cattani

Il turismo, la vacanza e il riposo 
di Piergiorgio Cattani 


L'estate batte il virus. Sono inutili gli appelli alla precauzione. Occorre andare quasi per scaramanzia. Come atto liberatorio. Poi, si vedrà. D'altra parte la cosiddetta "industria del turismo" è un asse portante del nostro Paese. Imporre nuove restrizioni - per luoghi affollati, spiagge, trasporti, locali al chiuso - viene visto come la mazzata finale a un settore già in ginocchio a causa del lockdown di primavera. Infine, più di altre, questa stagione induce al desiderio di fare una pausa e di spostarsi. Cambiare l’orizzonte esteriore influisce certamente su quello interiore e a volte aiuta a sanare il disagio accumulato in un anno di lavoro, ansie e preoccupazioni. Occorre però distinguere tra vacanza, turismo e necessità di riposo. Si cerca di coniugarle insieme ma la loro origine storica è sostanzialmente diversa. 

Il turismo nasce con il “Grand tour” ossia la “discesa” in Italia di intellettuali, poeti, musicisti, ricercatori europei per vedere le meraviglie paesaggistiche, culturali e artistiche della penisola nonché gli imponenti resti archeologici che stavano piano piano venendo alla luce. Il turismo dunque nasce come un viaggio di formazione necessario per la vita, come una profonda esperienza esistenziale. Il turismo allora richiede tempo, immersione, capacità di guardare l’alterità – umana e naturale – per quello che è. Deve essere “sostenibile”. Il vero turismo è incontro, conoscenza reciproca, itinerario, sorpresa, anche fatica e scomodità necessarie per raggiungere il traguardo prefissato. 

La vacanza trae origine invece dal soggiorno che i nobili facevano in centri termali e nelle prime stazioni alpestri. Il fine era il riposo e il benessere, lontani dagli affari di corte. Però in quei luoghi si doveva replicare il comfort e lo stile di vita abituali se non maggiori: comodità dell’alloggio, efficienza nel servizio dei domestici e degli inservienti, buon cibo, compagnie di pari rango, gli stessi ricevimenti che abitualmente scandivano il tempo. Che senso avrebbe avuto organizzare carovane per spostare i potenti di mezza Europa nella villeggiatura, se si fosse andati in posti scomodi, magari finendo per mischiarsi con la gente comune? La vacanza era uno “status symbol”. Ed è rimasta così anche quando, a partire dagli anni ’60, è diventata di massa. Così luoghi a prima vista non attraenti dal punto di vista ambientale o culturale, sono diventati mete gettonatissime. Basta essere come gli altri, “staccare” da scadenze e fatiche, divertirsi, essere serviti: insomma sentirsi come i nobili. Non paghiamo forse per questo? E al contrario: siamo così poveri da non poter offrire alla famiglia questo svago? La vacanza come “diritto umano” a cui non si può rinunciare per nulla. Eppure questa è soltanto l’apparenza. Molti restano a casa perché faticano a sopravvivere già nel contesto domestico. Sono magari malati o non hanno le risorse economiche: che senso avrebbe spostarsi con il pericolo di stare peggio? Non avendo la forza fisica o psichica per farlo? Con problemi reali per mettere insieme “il pranzo con la cena”, cioè i soldi per mangiare? 

Ricordiamoci che anche loro avrebbero il diritto, forse non del turismo o della vacanza, ma del “riposo”, bisogno ancestrale di ogni cultura, fissato da un giorno di sospensione settimanale. Forse questo virus accorcerà le distanze tra il viaggio, la vacanza, il riposo e anche tra chi si sposta e chi resta fermo. E allora dovremmo inventarci nuovi modi di conoscerci, di spostarci, di “cessare” almeno ogni tanto dalle difficoltà quotidiane.
(fonte: “Trentino” del 14 agosto 2020)