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giovedì 13 agosto 2020

"Covid, i negazionisti puberali" di Massimo Recalcati

"Covid, i negazionisti puberali" 
di Massimo Recalcati

pubblicato su "La Repubblica" del 10 agosto 2020



Marce negazioniste no-Covid si susseguono in diverse regioni del mondo mentre l’epidemia continua a seminare malattia e morte. L’appello alla libertà calpestata dal biopotere risuona come un mantra non solo tra le masse ma anche tra illustri intellettuali. Nelle adunate no-Covid esso si contorna, più o meno delirantemente, da motivi ideologici, primo fra tutti quello dell’accusa dello Stato liberticida, dell’abuso di potere, del rischio di un ritorno totalitario reso possibile dal prolungamento politico, non necessario ma solo strategico e strumentale, dello stato di eccezione. In questa manifestazione sintomatica gli estremismi politici si toccano non senza sollevare un effetto perturbante: colpisce dover notare che l’irritazione di fronte alle misure sanitarie di sicurezza assimilano discorsi che trovano la loro ispirazione in ideologie profondamente antagoniste. Eppure la retorica libertaria sembra essere proprio la stessa: il riferimento al pericolo Covid trasforma le nostre democrazie in maschere inquietanti di uno stato totalitario. Mettere ancora la mascherina, esigere ancora il distanziamento sociale, non considerare ancora del tutto vinto il virus significa avallare un esercizio autoritario del potere che comprime i nostri inalienabili diritti, significa autorizzare una pratica politica chiaramente liberticida. Si tratta, a mio giudizio, di una critica che ha come suo fondamento una versione ciecamente individualistica della libertà che non tiene conto di nessun criterio di solidarietà e di condivisione e che, non a caso, ha avuto i suoi massimi e sciagurati rappresentanti internazionali in Donald Trump e Jair Bolsonaro. Il teppismo politico irresponsabile di questi due tragici leader ha una matrice fantasmatica che potremmo grossolanamente definire puberale-adolescenziale: «La morte e la malattia non esistono e se esistessero non mi riguarderebbero; l’onnipotenza della mia immagine è immune ad ogni rischio; se qualcun altro invece viene colpito fa parte del gioco ma questo fatto non determinerà la fine del gioco di cui io resto padrone». Come, dunque non vedere il nesso tra questa matrice fantasmatica che annebbia i sostenitori della retorica liberticida e quella che incendia, in questa difficilissima estate, le risse pre-politiche tra i giovani, la tendenza alla scarica pulsionale violenta che prende le forme erratiche dell’insofferenza e della protesta aggressiva verso tutto ciò che rappresenta l’ordine pubblico, la necessità del limite, il rispetto della legge? Se il trauma del Covid ci ha obbligato ad essere adulti, ad avere una visione della vita che non può restringersi a quella del nostro Ego, a verificare l’impotenza delle nostre azioni individuali se non concertate con quelle del nostro prossimo, questa recente e nuova ondata anti-politica mostra, ancora una volta, quanto sia antropologicamente difficile vedere al di là della nostra vita individuale, cogliere la dimensione solidale della libertà, rispettare la dimensione collettiva del legame sociale. Non a caso l’attitudine negazionista appartiene clinicamente al tempo dell’adolescenza patologica dove il reclamo assoluto della propria libertà appare sganciato da ogni riferimento etico a quello della responsabilità considerato solo come una impostura per imbrigliare la forza in sé indomabile di una libertà che non vuole sottomettersi a nient’altro se non a se stessa e che, soprattutto, respinge di assumere le conseguenze dei propri atti. Ecco nuovamente spiccare i paradigmi di Trump e Bolsonaro. Le loro sconsiderate scelte politiche hanno generato conseguenze di morte e di distruzione che hanno falcidiato i loro popoli. Il loro teppismo politico non è allora psicologicamente diverso da quello che ispira l’inclinazione alla rissa, al distruggere tutto, alla scarica aggressiva fine a se stessa, al rifiuto della legge che hanno sempre contrassegnato la dimensione, insieme disperata e onnipotente, dell’adolescenza patologica. Il tempo delle restrizioni delle libertà imposte dalla solidarietà non può essere tollerato da chi pensa alla propria libertà come ad un diritto assoluto che viene prima di ogni altro diritto. Da chi si dimentica che una vita adulta è quella che si sforza di assumere su di sé, innanzitutto, le conseguenze dei propri atti.

(Fonte: sito ufficiale dell'autore)